28 February 2007

Un po' far west


C'e' un treno merci che taglia in due la citta' a due kilometri all'ora e facendo tu-tuuuu ad ogni dannato passo. Attraversa la città senza alcuna separazione fisica. C'è una strada dove puoi guidare vicino al treno, superarlo.
Il treno del far west passa non lontano dal campus ad orari ormai temuti... le quattro di notte, le sette. Trovarselo sul proprio cammino è ancora piu' temibile, bisogna aspettare un'eternità prima di poter attraversare la strada... che già -da pedoni- è dura. Scatta il verde e subito dopo il conto alla rovescia 10, 9, 8, 7... un incubo.

Ho intercettato una foto del treno. Era una rara giornata di nebbiolina milanese.



25 February 2007

Ugo e la Pina a Little Italy


Era sabato. Con una macchina in prestito abbiamo percorso la quarantina di chilometri che ci separavano dal Tempestone bianco. Il chercheur mi ha lasciato guidare per le strade del Colorado, sonnecchiando sul sedile. Il sole era forte ed avevo dimenticato gli occhiali da sole, i miei occhi chiedevano venia. Non mi era mai successo prima di pensare annuvolati ti prego, pietà.
Viva il sole del Colorado [[e viva le birre del Colorado chebbbuone, consolano ogni frustrazione. Tornerò alcolizzata]].
Giornata ventosa, comunque, balle di polvere rotolanti.

Ripercorriamo la strada in senso contrario, il chercheur davanti col bestione, io dietro a subire il riverbero del sole contro le sue parti metalliche posteriori. Finchè al secondo rosso che chercheur e bestione bruciano, dico basta alle torture, supero e vado a guidare le danze, gli occhi a mezzaluna.
Stiamo uscendo dalla highway, siamo a Fort Nox, sul ponte di uscita, quando proprio alla fine della salita, vedo Tempestone rallentare, poi viene la discesa ed io non vedo piu' nulla. Freccia, accosto, aspetto, niente. Qualche lungo minuto. Faccio inversione, trovo il chercheur sguardo disperato, Tempestone è svenuto.
...chiamiamo il carroattrezzi, lo portiamo da un meccanico, dove sapevamo sarebbe dovuto andare -non era in perfettissime condizioni- ma non così presto. Ci sentiamo Ugo e la Pina e ci ridiamo sopra, machissenefrega.
Sorridiamo ma siamo depressi e frustrati. Decidiamo di andare alla festa di italiani a cui siamo stati invitati. Ad una festa ci sarà birra, mi dico. In breve veniamo catapultati in un mondo surreale. Nienteaffatto only-Italy, siamo troppo pochi per fare una festa. Un giorno un collega indiano mi chiede se conosco Michele, il successivo vengo invitata alla festa, tra gli invitati nella mail c'è quello stesso Michele.
Il padrone di casa ci viene a prendere, dovevamo essere motorizzati oggi, sai, invece no. In macchina ci presentiamo, è napoletano, ha aperto una pizzeria in città, non sa neanche lui se ha passato più tempo in Italia o negli usa, parla come Troisi, e poi come Pacino nel padrino. Vuole raccontare. Parla, parla. Dieci parole in italiano, tre in inglese ed a volte viceversa. Erano tutti hhhappy. Mia madre s'è rotta the knee. Passiamo a prendere un tizio rumeno, un folletto. Sessanta anni, piccolo e nervoso, barba e capelli lunghi. Ha passato dieci anni in un circo poi si è fatto male ed è diventato chiropratico, fisioterapista, una cosa così. Si siede in macchina e mostra la maglietta celebrativa dei suoi sessanta anni. Rappresenta lui in verticale. Quasi subito si scusa, dice vi devo avvertire che sono parecchio ubriaco. Non beve acqua, dice il pizzaiolo a mo' di spiegazione. Il folletto lo corregge, bevo 1 gallone (circa 4 litri) di acqua all'anno. Per il resto tequila. Parla italiano, non benissimo ma quello che dice è forte ed incisivo, si fa capire. Durante la festa verrà avvistato alternativamente bere, impartire qui e là esercizi di allungamento e flessibilità, stare in verticale su una mano su una sedia, alle prese con l'hula hop che non gli riesce, dire 'mi sono dimenticato di invecchiare'.
La festa è in questo gelido seminterrato, c'è una sorta di ciringuito in un angolo, una strutturina di legno con paglia. La moglie del pizzaiolo ci chiede che vogliamo bere, alle pareti ci sono applicazioni simulanti finestre su un paesaggio tropicale, pappagalli, palme. Nell'altro angolo c'è un biliardo e un biliardino (calcetto, balilla, come lo chiamate). Gente che gioca, musica disco. Più tardi partirà il karaokee. La mamma della moglie del pizzaiolo, che sembra una quindicenne ha cucinato arancini, melanzane alla parmigiana, crocchette, pasta al forno, cannoli alla siciliana. Tutti le fanno i complimenti ed anche io, tutta quella fatica. Ma odo i miei avi piangere dall'oltremondo. La cuoca, che di anni ne ha quarantotto, ci imbastisce su quando faceva la manager a Milano e su come le sue coetanee siano noiose, perchè lei è gggiovine dentro. Ma lei è quella più comprensibile e 'lineare' nel guazzabuglio della festa. Per il resto, io ed il chercheur ci cerchiamo con lo sguardo, ogni tanto. Ci diciamo con gli occhi sono tutti pazzi, che bello.

20 February 2007

Luigino è partito













L'altro di' ho smarrito un orecchino. Uno di quelli che avevo comprato in India, lunghetto, con un disegno spiraleggiante. Mi ha pulsato strano il cuore quando me ne sono accorta.

Terminata la mia prima missione, sono tornata a seguire come un'ombra la persona a cui sono stata affiancata. Un ragazzone alto e grosso, un bel po' piu' giovane di me ed anche un bel po' piu' esperto. Si chiama qualcosa tipo Salvia, viene dal Neèèvada (e si incazza se non lo pronunci come si deve... con me è ancora indulgente), ha una macchina enorme e fa prodezza col lazo. L'ho visto lanciare la corda e 'catturare' una persona che camminava per il corridoio, serrandole il cappio alle caviglie. Ma dove sono finita?
Salvia mi sta svelando gli arcani dell'arnese grande ed inquietante che dovrò usare per i prossimi cinque mesi tutti interi. Un cosone grosso e quadrato con un ripieno di meccanismi fragili e delicati. Gli faccio "Ehi Salvia, ma il coso ce l'ha un nome? Mi sentirei più a mio agio piuttosto che chiamarlo analizzatore genetico" Salvia mi guarda, sorride ed approva. "Dobbiamo dargli un nome Italiano, visto che sarai la sua balia per i prossimi mesi. Perchè non lo chiamiamo Mario?" "Uhm, impossibile, Mario è il mio amico immaginario, troppa confusione." Salvia è un po' spiazzato ma alza le spalle e riprova: "Luigi?" (devono essere gli unici nomi italiani che conosce). Guardo di nuovo il cosone grosso, quadrato, fragile e delicato e la butto là: "Luigino." Sono già un po' pentita, ma ormai è fatta. Il coso si chiama Luigino ed ora ha tanto di targa sulla porta.

Oggi a pranzo stavo appresso a Luigino quando il compagno chercheur mi ha chiamato in laboratorio. Oggi era il grande giorno. Il chercheur ha portato la macchina -il furgone- che avevamo addocchiato la settimana scorsa da un meccanico per un parere. Mi racconta delle trattative col concessionario (di usato), che il meccanico ha detto che ci sono lavori pari a piu' della metà del prezzo di vendita e via dicendo. Bisogna prendere una decisione. Lo compriamo? Non so che dire, lo sguardo basso, che facciamo? Gli occhi mettono a fuoco senza che me ne accorga... ed è lì, ai piedi di Luigino... Il mio orecchino indiano...
Compriamolo.
Così è stato lasciato l'acconto, sabato dovremmo saldare il resto. Se riusciamo ad andare a fare l'esame per la patente che lo stato del colorado pretende per poter fare l'assicurazione. Se non faccio pratica su un cambio automatico a me mi bocciano.

Nel tardo pomeriggio Luigino è stato affidato alle mie amorevoli cure e per la prima volta gli ho dato istruzioni tutta sola. E' partito verso le otto stasera. Devo aspettare fino a domani per sapere che ha combinato.

Tornando al furgone... abbiamo dovuto abbandonare l'idea del Westfalia... ed il coso di cui stiamo per venire in possesso è esattamente quello che si vede in foto. Io dopo tre anni su due ruote senza motore, mi vergogno non poco.
Come lo chiamiamo?
"Bob?"

15 February 2007


Pare che ieri fuori l'edificio di ingegneria ci fosse una fontana di cioccolato... per celebrare san valentino. Ma noi lavoriamo fuori dal campus e ce la siamo persa.
Giorni fa siamo stati invitati ad un pizza party organizzato per la medesima ricorrenza da un tizio di non so bene che nazionalita', che per pagarsi gli studi fa il responsabile di non so bene cosa nelle residenze del campus. E' venuto a conoscerci a dirci delle cose anche utili e poi a parlarci della community... E' una parola molto gettonata in generale. Un volta devo mettermi a contare quante volte la sento nell'arco della giornata. Pensare che pure sul lavoro mi sto occupando di community. Batteriche, ma sempre community. Sono stata depressa per un po' di giorni, durante la giornata pensavo alternativamente, a distanza di poche decine di minuti, 'ce la posso fare' e poi 'non ce la farò mai'. A fine giornata ero stremata, dalla stanchezza e dall'incertitudine. Ora che ho finito la mia prima piccola e dura impresa, mi sento un tantino meglio, anche se dovrei forse attendere di avere un feedback. Almeno (questa) e' finita.

Ieri ho assaggiato il burro di arachidi, sotto forma di cioccolato ripieno di... Non so se sono disgustata o se ho creato una nuova dipendenza. Giusto per rimpiazzare i cerotti nicotinici che hanno sostituito.... etc etc.
Mi sento un po' fuori. Intanto nevica.

04 February 2007

primo bucato










ieri ho incontrato il concetto di asciugatrice.

La mia coscienza ecologista ha vacillato.