29 August 2013

La chiamano rentrée


Il rientro è sempre un po' fatica, ma anche entusiasmo, grattando via la patina oziosa del vorrei essere ancora in campeggio.

Per esempio mi piace quando al mattino sei sul balcone in braccio a papà per salutarmi. Esco dal portone spingendo la bici e tu scoppi a sorridere. Poi punti il dito perentorio verso la strada: vai mamma, voglio vederti pedalare. Ed io pedalo, mi volto in alto a guardarvi, alzo la mano destra, ché posso reggere il manubrio solo con la sinistra, faccio ciao sorridente e vado serena.

Tutto il giorno sono altrove e mi sento leggermente fuori luogo, ma non troppo. Sono però contenta quando è ora di andare. Inforco la bici e mi aspettano 20 minuti con parecchia ma leggera discesa. Mi servono per ventilare, non tanto lo stress, forse sono diventata brava ad arginarlo, ma quel leggero senso di estraneità. Distendo i pensieri, lasciandomi portare dalla discesa. Finchè arrivo da te, bello come il sole. Anzi come la luna, che hai preso ad adorare fin dal primo giorno che hai saputo il suo nome. Nuna, ah nuna, nuna! Sospiri ogni volta che la vedi. Ho cercato il calendario lunare per sapere quando di giorno ha senso cercarla, ma tu la scovi prima, dal tuo seggiolino, anche tu in sella alla bici, alzi il naso al cielo, punti il dito e felice chiami Nuna, oh nuna!

Mi piace portarti con me a casa, anche se pedaliamo in salita. Mi serve a pensare a te, a noi, alla vita in fondo lieve, anche se ancora tristemente solitaria, che abbiamo sistemato in questi 10 mesi da ri-espatriati. Al prossimo passo, la prossima casa. Casa nostra.

Più di tutto adoro i mezzi Mamadag, il mercoledì pomeriggio, per i quali mi sono battuta. Danno una pausa importantissima alla settimana, del tempo uno a uno con te. Dei momenti per esplorare. Non credo lo ammetterebbe, ma credo che questo valga anche per papà.
Pistacchio, puntino arancione e coraggioso



I Mamadag servono anche ad affrontare la parchetto-fobia di MammaSqua
Eccoci qua ad un nuovo inizio, i francesi la chiamano la rentrée. Ricordo un altro inizio, qualche tempo fa. Non riesco ancora a fare a meno di pensare all'Olanda e a quella vita che fu. So che un giorno ci sarà anche qui lo stesso calore, lo stesso colore, la stessa allegria. Con un po' di pazienza.

24 August 2013

Voglio andare a vivere in campeggio

Aha ahaaaa
Voglio la rugiada che mi bagna
Aha ahaaaaaa

il Fiume


No ma  non si scherza mica. Noi dobbiamo davvero andare a vivere in campeggio. Il campeggio è LA via. Certo ci sono alcune cose da perfezionare. La tenda che abbiamo acquistato, tanto per cominciare, della quale siamo scontenti. Dettaglio minimo direi, no!? Se riesco a trovare altri -ormai preziosissimi- momenti di santissima pace per scrivere, qualche appunto tecnico ci provo a buttarlo giù.  Per altre cose ci sono ampi margini di miglioramento... ma in generale: il campeggio spacca, come si dice a Milano. Il campeggio è tempestato, come si dice da noi. Il campeggio vince su tutto e tutti. Il campeggio è la via. In campeggio siamo la famiglia del Mulino Bianco. Sembriamo degli sfollati, con tutto il rispetto per gli sfollati, ma siamo felici. Sereni. Contenti. Allegri. Di buonumore.

Intanto Pistacchio in campeggio dormiva fino alle 8 anche 8 e mezza. Odiatemi pure tutti in coro, tanto vi sento anche se borbottate. Verso le 6 io che ero già sveglia sentivo un versetto, poi, si vede che si girava dall'altra parte: il silenzio e il suono del fiume riprendeva a fare da sottofondo. Non importa che faceva un freddo becco (ma forse era proprio per quello che dormiva? ce lo domandiamo ancora) e io non potevo fare una cippa nel tempo gentilmente concessomi dal mio amato risveglio all'alba... di nuovo in armonia con l'universo grazie alle sveglie più tarde del nanetto. Nessun sarcasmo, io adoro seriamente la mia insonnia mattuttina: alle 6 il mondo è mio e solo mio.
E allora speravo in una tacca volante di cellulare per leggere qualche post (ma lettori di feed che scaricano e poi si può leggere off line non ce ne sono?!). Comunque anche senza tacche non importava, ero felice lo stesso, rannicchiata nel mio saccoapelo, leggevo. A seconda delle condizioni di luce e batteria, su carta: Asha Phillips - Saying No: Why it's Important for You and Your Child, aka I no che aiutano a crescere. Come ebook: Carlos J. González Rodríguez - Bésame mucho : cómo criar a tus hijos con amor che ancora non ho finito e fatico un po'. Poi i primi capitoli, quelli sui bimbi, di: Jesper Juul - I no per amare. Comunicare in modo chiaro ed efficace per crescere figli forti e sicuri di sè, gentilmente consigliatomi da Fede. Mi mancava un testo in francese e facevo poker di lingue. Il chercheur dice che alzato lo sguardo dai libri, in quanto a comunicazione orale avevo un po' di difficoltà. 
Un attimo di monotematicità dite? In realtà ho intervallato le letture di bimbologia con un romanzo di Matteo: Supermarket24. Tagliente, frizzante e un po' cinico. 
Un cocktail micidiale.

Ma tornando al campeggio, dicevo: io -finalmente!!!! da quanto tempo...- leggevo, mentre Pistacchio dormiva. Poi si svegliava canticchiando alle otto e passa oppure dopo 2-3 ore di pennica ed era, per lo più, perfettamente allegro, persino più del solito, se la passeggiava su e giù spingendo il suo mini carretto per la spesa, incantandosi a guardare i bimbi più grandi che passavano, sorridendo a tutti i campeggiatori del circondario. Soprattutto la sua mamma era serena e rappacificata col mondo. Il suo papà... il suo papà ciccia, lui sta bene ovunque, dove lo metti sta, senza mai un lamento (volendo talvolta anche duepalle, che resti tra noi, lamentarsi è segno di vita!).
Io finalmente c'avevo la fregola sedata. Quel devo fare, voglio andare, pacificato all'istante: stesa a leggere su un'amaca, incorniciata di verde, con il fiume di sottofondo, non c'è posto migliore da bramare. Sono felice di fare quello che devo fare. Persino cucinare e lavare i piatti ero felice. Chè capisco chi dice che se deve cucinare allora non è vacanza e in effetti è un pensiero condividibilissimo. Ma se intorno c'hai la pace, il massimo che devi fare poi è dare un colpo di spugna al tavolino e poi, sì, andare a lavare i piatti, ma lì al lavabo in mezzo agli alberi... Allora nessuna fatica, anzi: armonia col cosmo. Mi mancava solo di lavare i panni a mano, che peraltro è cosa che odio come poche altre, se mi tocca farlo... Certo ci vuole un campeggio da sogno per sentirsi così in pace. Fortuna che lo abbiamo trovato! Francesca ti immagino con gli occhi che brillano e prometto che poi condivido questo splendore con te e i tuoi lettori, e stavolta cercherò di essere breve :)


Bisogna dire che noi in realtà un po' in campeggio ci viviamo sempre. Non siamo più ai livelli di quando siamo arrivati, 10 mesi orsono. Gli scatoloni dall'Olanda ci sarebbero stati consegnati dopo un mesetto. Avevamo un bimbino gattonante di 8 mesi e tutti i mobili da acquistare, noi intanto tentennavamo. Ci abbiamo messo 4 settimane a comprare i materassi. Allora per quattro-settimane-quattro abbiamo dormito sui materassini gonfiabili. Gli stessi su cui abbiamo dormito in campeggio peraltro. Solo Pistacchio ha avuto il suo lettino da subito e poi una stanzetta minimal-zen. Adesso non siamo più ai livelli di Ottobre dell'anno scorso, però le pareti sono ancora spoglie e  qualche scatolone da smaltire c'è ancora. La cucina è creativa, per non dire 'na ciofeca. Il tavolo da pranzo è rimasto quello da giardino che doveva essere provvisorio, ma poi il giardino l'abbiamo abbandonato e il tavolo c'è rimasto sul groppone. Tutto questo merita qualche riflessione a parte.... ma, per farla breve, diciamo che fatichiamo a prendere atto di essere a casa o più o meno. Il pensiero del prossimo trasloco, ci paralizza talmente tanto da impedirci persino di cercar casa. Eppure sarebbe ora.

Campeggio è stato un po' come esorcizzare la nostra incapacità di credere che, adesso sì, possiamo contare su una vita stanziale. Dovremmo poterci rilassare. Invece no.

Pistacchio, lui, pare non abbia bisogno di tanti complimenti. La sua prima notte di campeggio, dopo appena 2 ore che si era addormentato -senza protesta alcuna- in una delle due stanzette della mega-tenda familiare, faceva un freddo pinguino. Io ho cominciato a sentirmi una madre degenere a pensarlo solo all'addiaccio, allora ho preso il mio saccoapelo e sono andata a dormire con lui. Cosleeping da campeggio, per così dire. Nonchè la prima notte prima che dormo con lui nello stesso metroquadro di mondo, alla faccia di González e il suo Besame mucho. Sono una madre snaturata. Poi è finita che non ho chiuso occhio vegliando ad aggiustargli la coperta, intanto morivo di freddo e cercavo un po' di calore vicino a lui, volevo infilarlo nel sacco a pelo con me... ma più mi avvicinavo, più quello si allontanava. Pussa via mamma, io dormo da solo. Da sempre. E non saprai mai se te la sei voluta tu o l'ho deciso io. Quel Nature versus Nurture di cui mi pare si finisca sempre a parlare. Neanche a dirlo le altre dieci notti le ho passate nell'altra stanzetta di stoffa, col chercheur, quel Pistacchietto là ronfava beato e sprezzante del gelo. Che poi la scomparsa di ogni moccio dal naso e di ogni rumore dalla sua cassa toracica, insieme al sonno tranquillissimo, pare forse suggerire che di solito dorme troppo caldo. O che l'aria di città fa schifo? Senza dubbio un bébé da campeggio, comunque. Cosa che ci riempie di gioia, perchè adesso era troppo piccolo per godere delle gioie di una vacanza di questo tipo, e goderle noi con lui, soprattutto. Ma tra qualche anno, se la passione verrà coltivata... arriveremo a quell'idillio che scorgevamo nelle famiglie con bimbi 'capaci di intendere e volere' (tipo dai 4-5 anni in su, direi) che era tutto un fioccare di: 
- Ah ecco dove eri finita!, dice il papà della bimba bionda che gioca con un gruppetto intorno la tenda al lato della nostra.
- Non si preoccupi, risponde la mamma della tenda, stanno giocando tranquilli, tutti insieme. Dove state voi? Vuole che gliela mandi ad una certa ora?  
Odddio che sogno. Non è che ne volete anche uno formato mignon? Me apunto dicono gli spagnoli. Tradotto male:  mi iscrivo affinchè questa cosa fantastica accada anche a me a tempo debito. Dove devo firmare? Quindi si può dire che siamo stati benissimo, ma più che altro eravamo in avanscoperta per studiare cosa ci riserverà il futuro.

Perchè io, l'ho già detto: voglio andare a vivere in campeggio.
Aha ahaaaa

Amaca, letture e le unghie laccate (di blu): succede solo in campeggio

08 August 2013

Todo sobre Pistacchio y mas

Caro Pistacchio,
Domani compi 18  mesi e mi sento di dire che ci troviamo ad un punto chiave della nostra avventura. Giusto pochi giorni fa scrivevi quel post lunghisssssimo, papà tuo l'ha persino letto tutto. Quella parte che parlava dei no da ripetere calmi e sereni, l'ha fatta sua. O piuttosto dovrei dire l'aveva fatta sua, mio bel Pistacchietto. La cosa pareva assimilata, ti parlava dolce e calmo e poi grato mi diceva: Squa, funziona! Barlume di felicità, di contentezza, di ma vedi che allora ce la si fa? Poi, non so se hai smesso tu di ascoltare o papà (e io con lui) il tono serafico...

Sbam 

La pappa è tornata a volare per terra. E ci ritorna ancora e ancora alla fine di ogni pranzo e di ogni cena, in quello che sospetto sia ormai il tuo rituale di fine pasto. Sbam, io ho finito, fatemi scendere. Come a dire: Ti piacevano i rituali mamma? Eccoti accontentata. E oramai io e tuo padre siamo così tesi, così attenti a guardare come si muovono le tue manine paffute che se ti sfugge il cucchiaio e scivola per terra, passi. Capita. Ma quando afferri quel che hai davanti e con tutti i sentimenti lo sbatti per terra, Sbam... insomma c'è parecchia tensione. E allora Pistacchio, fallo per mamma tua, capiscilo che non si fa. Non solo capiscilo, che dai è chiaro che capirlo l'hai capito. Accettalo pure, ti prego. Che tu non lo sai ma qui, proprio qui, su uno Sbam che pare innocente, ci giochiamo invece il parenting style tutto.

Tu non lo sai mica, queste cose non sono cose da bimbini, ma io, per esempio, ho convinto papà tuo che abborriamo la punizione fisica, fosse anche simbolica. Per lui non era mica tanto scontato, invece l'ho convinto che niente sculacciate, neppure schiaffetti sulle mani. Sono anche, per lo meno teoricamente, fermamente convinta che alzare la voce non aumenti l'efficacità del gesto educativo. La cosa essenziale è spiegarti le cose, che dall'alto dei tuoi 18-mesi-domani capisci eccome. Ma forse non tutto e forse ogni tanto ti perdi anche un po'. Però vedi, proprio da lì viene la frustrazione: dal vederti sveglio, comunicativo, reattivo e anche parecchio collaborativo, su tutto. E però la pappa Sbam, per terra, anche dopo che ti è stato detto cinquemilioni quattrocentoventisettemila novecentocinquantaquattro volte che non si fa. In tutte le salse e umori. Col tono serafico, ma anche scocciato o persino arrabbievole andante. Perchè stiamo a uscire pazzi qui, se non cambiamo discorso...

Tuo padre dice che sono una mollacciona. E che a ripeterti le cose miliardi di volte con quella dolcezza non otterrò niente. Questi duetti di parenting-briefing mi lasciano parecchio stupita. Ognuno degli amici che ci conoscono entrambi -e anche non troppo intimamente- può essere testimone, che qui quella impulsiva, impaziente e poco tollerante tra i due sono io. Che invece quello serafico, pacato, con più pazienza che le gocce d'acqua nell'oceano, quello è tuo padre. 
Forse è questa l'essenza del diventare madri, ci si snatura per il verso giusto o ci si rinatura... ché dei due quella cresciuta a pane e nevrastenia sono io, quella che ha sentito troppe volte alzare la voce, subìto quel disagio della mancanza di calma e della minaccia di un temporale che può sempre scoppiare, all'improvviso, quando meno te lo aspetteresti, quella sono sempre io. Sono così segnata da quei climi tesi che adesso ho il terrore di rivivere quella mancanza di pazienza, ma dall'altro verso. Io voglio, io devo trovare la chiave. Non mi posso arrendere. E se la chiave non la trovo a breve, voglio almeno imparare da te, che due-secondi-due dopo che è finita l'incazzatura il tantrum, sei lì che sorridi spensierato, come se niente fosse stato un attimo prima. Anche io voglio che il malumore passi come un nuvolone che corre veloce su un cielo blu da favola.

Questa primavera scorsa una chiave, una delle milioni chiavi che ci sono da scoprire, o da inventare, l'abbiamo trovata. Tu all'improvviso eri diventato manesco. Dal nulla, ti avvicinavi ad un bimbo o anche a me, dei due soprattutto a me, in effetti, e pizzicavi o tiravi forte i capelli o mollavi una brutta botta in faccia. Gratuitamente, per così dire.
Mi dicevano tutti che era normale, che passerà, di non darci peso. Le maestre parevano stupite che ogni giorno, immancabilmente, al riincontrarti al nido io chiedessi: e oggi come è andata? è stato ancora manesco? Se mi dicevano che si, anche oggi il n'a pas été gentil avec les copains.. io senza perdermi d'animo chiedevo, ancora una volta, se avessero notato se avveniva in coincidenza con la fame o la stanchezza o la noia. Non c'erano risposte sicure, non c'erano correlazioni solide. Una cosa però era più che certa: io un bimbino manesco non lo volevo. E che tu facessi del male ai tuoi compagni non riuscivo proprio a tollerarlo, tanto normale non mi sembrava. Tutto il contrario: normale non volevo assolutamente che lo diventasse. 

La noia e la stanchezza sembravano due motivi plausibili. Poi un'altra idea si è fatta strada nei miei pensieri. Pareva assurdo ma forse lo facevi per cercare contatto, anche se in modo certamente  maldestro. Sei sempre stato un bimbo sulle sue, tu. Poca fisicità, mi addormento solo, non voglio stare in braccio, mi lasci solo per favore? ...ad un certo punto forse ti sei reso conto, ma solo ad un livello recondito, che c'era qualcosa che ti faceva stare meglio, ma chissà non sapevi bene cosa e come ottenerlo. Ho pensato che erano le carezze,  le coccole, il contatto, appunto. E così ne ho parlato con tuo padre e gli ho detto che secondo me valeva la pena provare a venirti a cercare e farti tante coccole, anche se te ne stavi sulle tue, anche se giocavi tranquillo per i fatti tuoi. Abbiamo promulgato un programma intensivo di coccole e abbracci, insomma. E così è stato.  Ogni volta che ti accarezzavo e ti stringevo con dolcezza ti ripetevo: la mamma ti fa le carezze, les caresses, le coccole, les câlins. E lo so bene che dovrei evitare il più possibile di parlarti, io, in francese, ma lo facevo perchè tu sapessi che suono ha quello di cui hai bisogno. Perchè tu, anche tu, ne hai bisogno. Tutti hanno bisogno di coccole. Non lo sapevi e con tutta l'umiltà possibile ho cercato di insegnartelo, di mostrarti la via. C'è voluto un po' di tempo, ma alla fine, con mia grande commozione, hai smesso di essere irruento con i tuoi compagni, finchè le maestre hanno cominciato a raccontarmi... che te ne andavi in giro sorridente cercando coccole...

Adesso graffi e pizzichi ancora un pochetto quando sei stanco o arrabbiato, ma quando è di una coccola che senti il bisogno, ora riconosci quella sensazione e vieni a prendertela con gioia. Quindi secondo me, in quel caso, la chiave l'abbiamo trovata.

Perchè sto raccontando questo? Perchè allora tuo padre si è fidato di me. Certo non costava nulla e faceva solo piacere cercarti per un poco di coccole dissimulate da solletico, e un abbraccio e i massaggini nel lettino, che ora pretendi, prima che lui ti saluti, all'ora della nanna... Però ecco papà si fida ancora di me, a volte mi dice persino che sono brava e io faccio fatica a crederlo, anche se sì, penso che un tempo  non avrei mai immaginato di essere capace di questa forza e pazienza... e che sì un po' brava forse lo sono. Per lo meno in confronto alle aspettative...

E comunque sono brava in teoria, non sempre nella pratica. Anche io alla lunga mi innervosisco. Papà mi lascia essere la teorica del duo, ma poi le teorie, per quanto istintive, devono funzionare. Se le riflessioni che faccio ad alta voce non portano da nessuna parte allora è normale che papà metta un po' in discussione le cose.   Aiutami a capire come lo convinciamo che Sbam la pappa per terra è una fase che passerà con o senza alzare la voce ed essere sgradevoli. Che se manteniamo la dolcezza e la pazienza la passiamo più allegra? Che forse pretendiamo troppo da te e i tuoi 18 mesi-domani? Che se è anche vero che al nido mangi tutto e da solo senza un solo Sbam (ma sarà vero??), forse a casa possiamo ancora imboccarti per un po' di tempo, magari il tempo che ti sarai dimenticato di quel gusto proibito di farlo e  vedere di nascosto l'effetto che fa.
Ma poi tu lo sai perchè papà è così esigente con te? E poi forse basta dire NO tutto il tempo e parlare di regole. Forse se insistessimo su come si fa, invece che su come NON si fa. Che se tu sei testardo e orgoglioso come tua mamma... si salvi chi può! Insomma bisognerà avvertire il papà chercheur che sto forse per tornare alla carica con un'altra delle mie teorie... tu intanto aiutami a capire però. indicami il cammino.

Buona notte, amore mio grande. Domani, alle 7 e 19 o forse e 21, c'è un certa discrepanza al riguardo, compi 18 mesi e io ti ringrazio di questa avventura, nonostante la fatica e la stanchezza che non ci abbandona mai.
la tua mamma


P.S.
Per vedere di dare una smossa allo scenario io ho ricominciato a leggere. Ho ricominciato da un titolo che vedevo sempre citato ovunque, e che all'inzio della lettura mi ha fatto esclamare: esattamente quello di cui avevo bisogno! Poi invece, ma non lo ho ancora finito e fatico un po', mi ha delusa. Leggerlo come ebook (su cellulare) non ha aiutato, mi manca il contatto con la carta, tornare indietro con facilità, ritornare su quel passo là (per farlo leggere al chercheur)...
Questo libro ad un certo punto mi ha fatto sentire una madre degenere. Poi mi sono assolta, non sono io quella degenere, forse è Pistacchio che è un alieno. E non sono più totalemente convinta che sia un alieno per pura responsabilità mia, come credevo un po' di tempo fa. Io l'ho forse assecondato, quello sì.

Bésame Mucho di Carlos González

Di questo libro mi piace che è spudoratamente dalla parte dei bambini. Certi esempi che porta, per dimostrare che in genere i bambini vengono trattati come esseri inferiori, sono illuminanti. Poi diventano francamente troppi e troppo svincolati da un contesto e privi di riferimenti molto importanti: per esempio l'età presa in causa. 
Ma non l'ho ancora finito. Se non mi passa la verve torno a parlarne. Tanto la lista dei post che avrei voluto scrivere è già così lunga che uno più, uno meno...

E voi questo libro lo conoscete, l'avete letto? Lo condividete? 
Ma soprattutto ce l'avete un metodo infallibile da condividere per fermare lo Sbam che ci affligge?

07 August 2013

Ho un piccolo annuncio da fare

E' successo, senza che io lo abbia deciso, in ogni laboratorio dove ho lavorato. Negli States c'è stata Hacca, in Olanda la Dottoranda Portoghese. Qui, ora, c'è il DottorandoDolce, che chiamero DiDì e si è già conquistato, proprio per la sua dolcezza, quel posticino del mio cuore che ha nome: il mio dottorando preferito. Didì viene da un paese dell'Africa occidentale, è sempre pacato e infinitamente gentile, anche se a volte dai suoi gesti trapela come un po' di stress. Quattro mesi che divido con lui l'ufficio, quante volte gli avrò chiesto: Tutto bene? No è che mi sembri un po' stressato... che è l'ultima delle domande da fare a qualcuno che è veramente stressato, ma se invece si ha il dubbio non conclamato, forse, e dico forse, la domanda è ancora accettabile. Lui comunque risponde sempre No, no, perchè me lo chiedi? E sorride timido coi suoi denti bianchissimi, tenendosi ancora addosso quell'aria nervosetta. Sarà, penso io...

Qualche giorno fa era il suo compleanno, compiva quasi 30 anni, non proprio 30, ma un poco meno. Devo ammettere che lo facevo più giovane. Didì, che sembra più giovane, è andato ad acquistare una bellissima torta al cioccolato con tantissima crema e  l'ha adagiata vicino alla macchinetta del caffé. Dopo pranzo ci siamo riuniti tutti per mangiarla, dove per tutti é da intendersi i superstiti delle vacanze estive, comunque un discreto gruppetto di 6 persone. Lui ci ha solo guardati mangiare la pannosissima torta al cioccolato, perché stava rispettando il Ramadan, che proprio in questi giorni è agli sgoccioli.

Si é seduto con noi ai divanetti, dolce e nervosetto, come da suo personaggio, timer in mano, in quanto nel bel mezzo di un esperimento. Nel giro delle due decine di minuti che siamo rimasti -noi sì- seduti a mangiare la sua torta, si é alzato due o tre o forse più volte per andare in laboratorio. Prima dell'ultima volta ha farfugliato delle frasi nervose, prima in inglese, poiché nel gruppetto c'erano le due giapponesine poco francofonofile, per poi passare al francese, perché forse lo imbarazzava meno.

In effetti, c'é una cosa che vorrei dire...
Vorrei prendere questa occasione per dirvi...
E' che... sono stato proprio uno stupido...
...a non dirlo prima...
Ecco, io...

io volevo dirvi che...
...ho un figlio...
E' nato a fine maggio...

E lo shock, mascherato da grandi sorrisi, si é impossessato di noi.

Noi tutti che cercavamo di dominare i milioni di punti interrogativi che si affacciavano alla mente.
Tutti noi tranne la dottoranda giapponese che un pochetto di francese lo parla ma non ci aveva comunque capito niente e ha dovuto chiedere lumi anglofoni. Dopodiché ridendo nervosa ha preso a ripetere:
Ma perché? 
Ma com'é possibile che non ci hai detto niente
E così via, in loop, come fosse un disco rotto, mentre noi altri cercavamo di spostare il fulcro del discorso. Anche se a lasciarla fare, la conversazione sarebbe stata un interessantissimo confronto tra civiltà lontane.

Io stavo seduta lì con uno sguardo di circostanza, mantenendo un sorriso nè troppo nè troppo poco, dicendo Mais Didì c'est merveilleux. T'as une photo du petit?
Intanto  pensavo un po' a tutte quelle volte che gli ho domandato se fosse stressato... e magari suo figlio stava nascendo. Ma soprattutto pensavo ad un batuffolino che sarà sì nato in un piccolo villaggio dell'Africa nordoccidentale, circondato da familiari e persone di fiducia e sorelle, cugine, e zie, e nonne.

Ma non c'era il suo papà. 
Non c'era ad aspettare fuori dalla stanza, non c'era il giorno dopo e neppure quello dopo ancora e così via, da fine maggio ad oggi. 

Ed è tanto dolce il suo papà, ma gli è scappato di annunciarci che sua moglie -salta fuori che è anche sposato, e almeno questo qualcuno lo sapeva- aspettava un figlio da lui. Poi gli è scappato anche di annunciare la nascita. E' che se taci per nove mesi, poi deve essere difficile...

Io, barricata dietro al mio sorriso, pensavo ad un batuffolino venuto al mondo col papà lontano, ma soprattutto zitto, e mi veniva un poco da piangere. E per quanto mi ripetessi come un mantra che si tratta di una cultura lontana anni luce e via così, non è che riuscissi poi tanto a guardarlo più negli occhi, il dottorando Didì.

Il giorno dopo ci siamo ritrovati soli in laboratorio. Io facevo bricolage cercando di domare a colpi di forbice una scatola di cartone, colpevole di avere le dimensioni giuste per trasformarsi in quelchedicoio. Lui pipettava silenzioso, finchè dal silenzio si mette a ridere, una risatina discreta ma udibilissima, poi rivelatasi essere il là per una conversazione che io direi avesse voglia di fare. Mi racconta che uno dei ricercatori ieri assenti gli ha mandato una mail di congratulazioni molto spiritosa. Perchè nel frattempo l'unico ricercatore che non era in vacanza, ed era seduto tra i sei in preda allo shock, davanti ad una torta panna e cioccolato, il ricercatore superstite ha pensato bene di diffondere l'annuncio per via telematica, che chissà quando a Didì gli torna il fiato per fare l'annuncio una seconda volta.

Insomma per fortuna con la scusa di questa email Didì torna sul tema per primo e ne possiamo parlare un poco, che io c'avevo un macigno.... Riesco a dire alcune cose col punto interrogativo alla fine. Non che poi riceva delle risposte che mi pare abbiano un senso, ma almeno ci ho provato. 

Dice che insomma era un evento lontano, che se il figlio fosse nato qui in Francia certamente lo avrebbe detto.
Che poi quel giorno che nasceva era domenica e lui si diceva che sì, che il giorno dopo era lunedì e lui lo avrebbe annunciato a tutti. Ma poi invece...
Riesco a dirgli che sì devo ammettere che ci sono un po' rimasta... non male... non giudico, ma... shockata, sì, devo dire di sì. Mi sento un poco stupida a pensare quante volte gli ho parlato del mio piccolo. E che vorrei lui sapesse che, anche se non siamo proprio amici, mi piacerebbe che sapesse che con me può parlare di qualsiasi cosa, anche che gli è nato un figlio a fine maggio. Insomma, la butto sul ridere, in fondo sono o non sono la maman du labò? Giusto qualche tempo fa mi hanno detto che proprio lui mi ha soprannominata così, saperlo mi aveva già riempito gli occhi di lacrime.

Continuiamo a parlare. Adesso sì.
Ora non sa se sua moglie e suo figlio verranno a vivere in Francia, ci deve ancora pensare. Gli sembra una cosa difficile da immaginare perchè lui lavora molto duro e non avrebbe tempo per badare a loro.
Vaglielo a dire, con la fatica che ha fatto finora per arrivare dove è arrivato, che il giusto è che lui lavori 8 ore al giorno, nè più nè meno. 

Lo capisco bene, ma lei avrebbe voglia di venire?
Non è importante cosa vuole lei, sta  a me decidere. E questo riesce a dirlo, comunque, con infinita dolcezza. Resto disarmata ma ci riprovo. Si, lo capisco, ma ti chiedo solo lei cosa preferirebbe?
Lei vorrebbe venire.

Ma da quanto sei sposato?
5 anni. Ha scelto mia madre e non è stata una scelta sensata. Veniva da un altro paese, non l'avevo mai vista. E' stato un problema. Infatti poi a causa della mia situazione abbiamo deciso che nella mia famiglia questo non sarebbe mai più successo. Quando dico famiglia, intendo una grande famiglia. Siamo tante persone. Penso che non succederà più che ad un uomo venga imposto di sposare una donna senza il suo accordo.
Be, spero che lo stesso varrà anche per le donne, che anche loro potranno scegliere.
C'è un attimo di silenzio, poi lui scuote il capo e mi fa, no per le donne è diverso....

Proprio su questo punto la conversazione viene interrotta dalla dottoranda giapponese, ucita nottetempo dal loop. Aveva bisogno del suo aiuto e lui, dolce e serafico come sempre, si è scusato ed è andato ad aiutarla. Lasciandomi lì basita, giusto a poche ore dalle mie ferie.