18 December 2014

invece

Squabus respirava molto profondamente da giorni e giorni. Sferruzzava e respirava fondo visualizzando una forte energia mistica e natalizia e facendola sua. Squabus ogni anno intorno al solstizio invernale subisce un incantesimo scuro e vischioso e si perde, più ancora del resto dell'anno. Squabus ha deciso che quest'anno invece no e sperava che respirando e visualizzando, visualizzando e sorridendo, si sarebbe sentita abbastanza forte al momento della partenza. Mancavano ancora cinque giorni, da visualizzare anche sul calendario dell'avvento di lana e cartoncino riciclato, quello dei biscotti e della pasta e del pacco degli yogurt quello da sedici. Il primo calendario dell'avvento della sua storia . Cinque giorni intorno all'albero di natale più strano del mondo. Il primo albero di natale della sua storia familiare, quella nuova.

E invece. E invece il nonno de chercheuris si è sentito poco bene, proprio mentre la nonna de chercheris era in ospedale per un'operazione. E allora squabus, il chercheur, con al seguito un piccolo pistacchietto felice di "andare a Italia" e anche un po' confuso che oggi non è la lana del 23 che tiriamo, perché erano 18 giorni che parlavamo di quel giorno lì per andare a Italia.


E allora non c'è più tempo per respirare preventivamente, tocca respirare dentro e confidare nella saggezza dei momenti di emergenza. Anche se Squabus questo déjà vu che ha provato nel fare le valige a tempo record gliel'ha spezzato il fiato. Anche se il nonno si è già ripreso, la nonna si rimetterà in piedi prestissimo perché è di fibra forte. Squabus ha pensato a chi in piedi non avrebbe voluto rimettersi neanche potendo.

Per un attimo ha sentito una vertigine al toccare con mano la solidità della famiglia de chercheuris...
Squabus è annegata un attimo in un mare di lacrime invisibili poi le ha invisibilmente asciugate. In questo istante guarda il mare nizzardo che tante volte ha lenito I suoi pensieri. Tra poco arriveranno le gallerie del confine ed un silenzio radio riempito di lana e collane e guantini....

Squabus spera che la forza del respiro sia con lei.
A risentirci dall'altra parte del confine.


07 December 2014

Abbiamo (almeno) due cervelli - una definizione di intelligenza emotiva

(sottotitolo: gettando appunti sulle base teoriche di quella Risalita...)

Il Sistema limbico o Cervello emotivo è la parte del sistema nervoso che governa la sfera emotiva (quella che viene spesso chiamata la via bassa o animale o istintiva) ed è contrapposto alla Corteccia prefrontale o Cervello razionale che governa il linguaggio, il pensiero logico e cosciente (via alta).
Il Cervello emotivo controlla tutto ciò che è implicato nel benessere psicologico e anche gran parete della fisiologia del corpo: la tensione arteriosa, gli equilibri ormonali, il sistema immunitario e digestivo e il funzionamento del cuore.



Le due vie sono molto diverse. quella bassa è velocissima e grezza, è l'istinto, il cervello nella sua forma primitiva, quella alta è lenta ma precisa e rappresenta la parte più  evoluta del sistema nervoso.
E' normale e meravigliosamente efficace che le due vie siano così diverse, perchè non sarebbe pensabile dover controllare in maniera logica e cosciente la respirazione, il ritmo cardiaco e tutto il resto. Il sistema limbico potrebbe essere assimilato al nostro pilota automatico.


La vita psichica è il risultato di uno sforzo costante di simbiosi tra i due cercelli. Da un lato il cervello razionale, cosciente, razionale e volto al mondo esterno. Dall'altro il cervello emotivo, incosciente, preoccupato della pura sopravvivenza e direttamente collegato al corpo. Questi due cervelli sono relativamente indipendenti e contribuiscono in modo diverso al nostro comportamento. I disordini emotivi conseguono dal disfunzionamento del cervello emotivo. Per gran parte questi squilibri originano da esperienze dolorose vissute nel passato e che si sono impresse in maniera indelebile nel cervello emotivo continuando a influenzare le nostre emozioni e il nostro comportamento anche moltissimo tempo dopo. Il compito di uno psicoterapeuta è riprogrammare il cervello emotivo in modo che sia adattato al presente piuttosto che continuare ad essere influenzato da situaizioni e vissuti del passato. A questo scopo spesso è più efficace usare metodi che passino per il corpo piuttosto che contare sul linguaggio e la ragione dai quali a conti fatti il Cervello emotivo è totalmente scollegato.
In effetti le emozioni sono l'esperienza cosciente di un insieme di reazioni fisiologiche che avvengono nel nostro corpo in risposta a stimoli esterni ed interni.  Si potrebbe quindi quasi dire che il cervello emotivo è  collegato più strettamente al corpo piuttosto che al cervello razionale. Talvolta è più semplice accedere alle emozioni attraverso il corpo piuttosto che attraverso il linguaggio.



Quando i due cervelli non vanno d'accordo
Il cervello emotivo e quello razionale ricevono stimoli dal mondo esterno in contemporanea. L'interazione tra loro, cooperazione o competizione, determinerà quello che proviamo e persino il nostro rapporto con il mondo e con gli altri. Detto in parole molto povere, se la dissociazione  tra i due cervelli è molto spinta saremo infelici. Al contrario se c'è cooperazione tra i due piani staremo bene (sempre in soldoni).

Il compito del cervello emotivo è di dare l'allarme. E' per sua natura sul chivalà ed è pronto a dare avvio ai processi che  vengono definiti  “combatti o fuggi”. Qualora individui un'emergenza, interverà annullando all'istante tutti i processi del cervello razionale. E' effettivamente una buona strategia di sopravvivenza, se c'è un pericolo, inutile perdersi in discorsi e sottigliezze. Il problema è che quando le emozioni sono troppo forti, la predominanza del cervello emotivo governa e annulla i nostri processi mentali impedendoci di riflettere in maniera razionale e controllata.


Questo meccanismo può spiegare molte cose interessanti. Per esempio perchè  siamo incapaci di concentrarci e di rendere nell'ambito cognitivo e razionale se siamo depressi o abbiamo subito un evento traumatico (per inciso quanto mi parlano questi quadretti!!!). O perchè persone che hanno subito abusi fisici o meno, abbiano spesso un temperamento troppo sensibile ed emotivo. In alcuni casi si può parlare di vero e proprio corto circuito tra i due sistemi. Per esempio nel caso di disturbo post traumatico da stress, in seguito ad un forte stress il cervello emotivo subisce una deregolazione, secondo la quale prenderà a segnalare allarmi e situazione di pericolo a stimoli esterni anche (oggettivamente) minimi, con il solo e comprensibilissimo scopo di protezione. L'allarme viene dato al minimo segnale di pericolo e il cervello emotivo è incapace di ricevere rassicurazioni sull'effettiva, razionale, assenza di pericolo, dal momento che il cervello razionale viene silenziato e bypassato.

Il cervello razionale in condizioni normali serve a dirigere quello emotivo. In seguito ad un segnale di allarme spropositato, un buon equilibrio tra i due prevede che la parte razionale rassicuri quella emotiva. Una predominanza della via alta  su quella bassa è anche nociva al benessere. Essere governati dal cervello razionale significa non prestare attenzione a quello emotivo e banalmente costringersi in situazioni che ci fanno male. Quel che ne deriva è: stress, con tutte le problematiche che gli sono legate (stanchezza, ipertensione, disordini intestinali e dermatologici, problemi cardiaci e così via).

Secondo questo modello stiamo bene se c'è  equilibrio tra reazioni emotive immediate che ci fanno reagire al pericolo imminente e le risposte razionali che sono in grado di guidarci a costruire il nostro avvenire e quello delle nostre relazioni sociali. Stiamo bene se ci troviamo in equilibrio e armonia tra quello che pensiamo (e diciamo) e quello che proviamo.

Questa capacità di armonia è anche detta intelligenza emotiva.
Se il nostro cervello razionale funziona molto bene siamo intelligenti nel senso classico del termine. Se i due cervelli lavorano in armonia e serenità siamo emotivamente intelligenti.


 I metodi naturali di cui si parla nel libro di cui parlavo in questo post, sono tutti -direttamente o indirettamente- volti a coltivare questa armonia.

03 December 2014

La metafora dell'uncinetto


Sono andata in centro a prendere nuova lana, ne avevo già quintali, ma quintali troppo assortiti, provenienti da diversi cicli della spirale, non abbastanza colori e lane incompatibili. E poi ho perso di vista gli uncinetti del numero 6 e questo era inaccettabile. Avevo bisogno di sferruzzare proprio col numero 6.

Ho imparato l'uncinetto da mia madre e se ci penso non ci sono molte altre cose che mi abbia insegnato. Non a cucinare, nessun particolare segreto casalingo, nessun segreto del mondo e degli uomini. Non eccelleva in nessuno di questi campi, almeno da un certo punto della sua vita in poi. Prima, dicono le voci, era una persona eccezionale e vincente. Cullo il desiderio, il bisogno, di scrivere alle sue amiche di gioventù per farmi raccontare com'era la mia mamma prima. Per soffrire fino in fondo di quella malasorte ingiusta e poi perdonare tutto e tutti e anche lei. E infine anche me stessa.

Non mi ha insegnato molte cose, neanche a fare gli spinaci e i broccoli che faceva lei, che in mezzo a tutte le cose così così che cucinava, quando cucinava, erano buoni. Erano suoi.

Però l'anno della maturità mi ha fatto da spalla nella preparazione dell'interrogazione di scienze sulle rocce. Lei, da bravo architetto secchione-110-e-lode, le rocce le conosceva a menadito e mi aveva dato un sacco di trucchi per ricordarmele. Presi 9 e fu l'unica volta. Quel 9 rappresenta per me la potenzialità. Quello che avrebbe potuto essere e non stato. Povera la mia mamma che la vita se l'è fagocitata. Povera la mia mamma che nessuno ha saputo aiutare.

Però si, l'uncinetto me l'ha insegnato. Credo sia stato nello stesso anno delle rocce,  un anno fortunato. Mi ha insegnato la maglia bassa, quella alta e il punto gambero, mi pare. Dopo moltissimi anni ho scoperto, o almeno mi è parso di capire, che uno di quei punti non era fatto in maniera canonica. La mia mamma era un po' anarchica, soffriva nei ranghi, aveva l'esigenza di rompere gli schemi, come si poteva vedere nelle cose che ha progettato. La sua deve essere stata una maniera per reagire al suo papà militare e alla sua mamma meticolosa e pignola. La sua Ribellione.
Questa cosa è passata nei miei modi di fare para-para. Sono la testa per lo più saggia, ma molto calda della situazione, sono quella che si ribella e che non ci sta. Al limite per me ribellione è quella metodicità che anelo e non compio mai completamente. Quel delirio che ho per l'archiviazione, per la catalogazione senza speranza del mio caos (che guarda un po' si sta arginando...ma quella è un'altra metafora , quella dell'dell'armadio...)

Tornando all'uncinetto, resterò sempre col dubbio se per mia madre il fare la maglia bassa in quella maniera non canonica fosse intenzionale. Ci sta col personaggio. Ma anche non fosse intenzionale, era lei, lei era una maglia bassa non canonica. Però contava, contava le maglie e ripeteva lo schema sempre uguale a se stesso. In maniera stranamente ligia e stretta. Era testarda la mia mamma.


Io sono più creativa. Non riesco a contare, non riesco a seguire un pattern e con l'uncinetto questa cosa è limitatamente limitante. L'uncinetto, rispetto al lavorare a maglia che ho provato in una stagione invernale  olandica, quando la mia amica canadese K aveva montato un circolino di maglia (e uncinetto). Sono risucita a fare due berrettini, uno è andato alla bimba di H, la mia dottoranda americana preferita. Poi la maglia l'ho abbandonata perchè facevo fatica costretta in quei ranghi prefissati... L'uncinetto , dicevo, è un'arte molto versatile, il lavoro può cambiare continuamente e adattarsi senza troppo sforzo alle esigenze. L'uncinetto può anche somigliare alla scultura per certi versi. Se Pistacchio mi lasciasse più volentieri la sua mano quei guantini li avrei già finiti già da mo'. Invece sono ferma ad un pollice. Medito di fargli il calco della mano per andare avanti, perchè di questo passo quando ho finito o sarà estate o i guanti saranno piccoli.



Oggi sto pensando che non sembra poi così grave aver appreso quella maglia bassa anarchica ed atipica. Non canonica. Io, all'uncinetto, posso costruirci lo stesso un mondo che è colorato, bello e funzionale come tutti gli altri. Pur con la consapevolezza, a volte dolorosa, di non poter parlare maglie basse con gli uncinettari canonici. Non è grave.Ne troverò di atipici sul cammino, spero.

Quello che mi pesa è non aver imparato la rifinitura. O come diavolo si chiude il lavoro. La mia mamma andava come un treno a sferruzzare e sfornare sciarpe, ma restavano « grezze ». Nel suo ultimo anno di vita ha intrecciato tonnellate di lana distribuendo sciarpe non rifinite a figli, nipoti, nuore e genero. L'uncinetto portava anche lei in the flow, mi sà. Quando era più giovane probabilmente aveva conosciuto quel desiderio di sperimentare che io sto assecondando con le collane. Nessuna sarà uguale alla precedente, perchè io non ce la faccio a replicare. E' più forte di me e per certi versi è un peccato. 


In quegli anni lontani delle rocce mi ero fatta una lunghissima sciarpa in due tonalità di grigi, che poi era andata in prestito all'economo di Madrid. Anni dopo qualche altra sciarpa. Poi dei bei guantini per la Teddy, una cappello per Sonrisa (era pure finito sul blog a ripensarci...), uno per il chercheur. Una coperta terribile per  Hnita-bebè. Anni dopo una collana semplicissima per me, che molte persone mi hanno sorriso. Molte persone hanno sorriso la mia collana, come dire ah tu sai fare questo. Io posso fare cose belle. Quindi adesso mi rimetto in creazione. So fare poco, ma quel poco che so fare deve creare cose belle. Voglio coltivare questa maglia bassa anarchica e farci cose meravigliose. Il DIY esistenziale è in mood ON.

(questo post ha perso un pezzettino nel suo lungo peregrinare, se lo ritrovo ce lo rimetto qui... che blogger distratta questa Squa... intanto buon uncinetto a tutti)