28 June 2011

i sognatori


Bisogna ringraziarli i sognatori! E mai abbastanza... Che non hanno notizie di te da mesi, e ti sognano proprio ora e ti scrivono i messaggi, le email chiedendoti se va tutto bene. E come fare a sentirsi soli? anche se soli si cammina, soli si pensa e soli si spera che vada tutto "bene", soli non si e' piu': grazie ai sognatori.

25 June 2011

chiamate la protezione civile


Aspetta che lo ripeto, me lo riscrivo, mi cito, che' si' ho trovato il nodo:
La vita e' fatta di priorita' e di accettazione delle emergenze che te le fanno cambiare. Vivere bene richiede saggezza nel valutare le priorita', ed adattarsi il piu' serenamente possibile quando cambiano.

Avevo inizialmente pensato diversamente il fulcro di quello che ho scritto sotto. Essenzialmente raccontando di tutto il tran tran degli ultimi giorni, di K, Y e T, quello che volevo mettere a fuoco e' che amicizia -almeno quella che anelo io- e' quando si sa vivere lo stato di emergenza. Io ho bisogno di essere circondata da persone con le quali ci si sappia dire 'emergenza' ed allora si molla tutto e si va a lustrare forni, ad essere presenti. Anche se per i lati ameni delle emergenze: anche tipo fare il tiramisu, dimmi tu se e' il momento di mettersi a fare un tiramisu, invece e' questione di semi-emergenza, ho bisogno delle fruste.
Certo e' che bisogna rassenerarsi con se stessi e sapere quali sono le proprie priorita': capirle ed accettarle. E poi bisogna saperle esprimere. Mica briciole.
Ma in fulcro quelli sono gli amici che vuoi: quelli che riescono a chiederti aiuto e quelli a cui riesci a chiedere aiuto. Ed a volte la cosa non e' biunivoca. Ma questo e' un altro discorso.

E sono appena stata folgorata del perche' non organizzo piu' cene, feste, ritrovi, che' io e il chercheur eravamo sempre stati dei simpatici padroni di casa. E' perche' nell'ultimo anno mi sono concentrata piu' che mai sul io ce la faccio da sola. Ed invece da sola non ce la faccio. Perche' lo stato di emergenza puo' vigere anche in tempi sereni, quando si e' alle prese con qualcosa di pur allegro e gioviale, pero' piu' grande di te. Tipo una festa o una cena per tot persone.

Io ci ho i modelli dello stato di emergnza che mi piace: la mia zia giovane D. (detta anche zia Susanna) ne e' maestra, casa sua non e' casa sua ma un porto mare: lei e' il centro nevralgico degli stati di emergenza altrui. Milena un'altra bravissima destreggiatrice di emergenze positive. Ed anche M. la mia amichetta storica. Che mi ha appena cazziata che non mi sono fatta piu' sentire ne' vedere e le ho appena risposto: hai ragione, pero' anche tu e comunque ora emergenza...

Io ho bisogno di amici cosi' e vorrei essere capace che anche la mia casa sia sempre in stato di emergenza positiva, modello protezione civile...



Qui mi devo promettere che mi rileggo e ci ripenso, perche' nello stato d'assedio in cui mi sento, puo' essere anche che riesca ad esprimere solo una marea di stronzate cosmiche.

24 June 2011

Tiromisu

... il ritorno del post kilometrico...

K. e' partita. I suo aereo per il Canada deve essere decollato una mezzoretta fa. L'ennesimo addio. Ci abbracciavamo ieri sera e mi tornavano in mente tutti gli abbracci di addio, in particolare l'abbraccio con Milena partendo da Nizza, quante lacrime. Ma K. e' di stoffa forte e vedendola liberarsi dalla presa asciutta e sorridente, le ho ricacciate dietro le mie. Si cresce anche. E di lacrime ne avevamo viste scorrere fin troppe negli ultimi giorni.

Dalle brutte notizie mie e sue. Lei che si preparava per un ultimo viaggio europeo in solitaria, Siviglia, Cadice, Granada, Barcellona. Invece si ritrova a impacchettare tutto in fretta e furia sperando di arrivare a casa in tempo per salutare suo padre per l'ultima volta. Sono andata da lei appena ho potuto, l'ho trovata ad occhi rossi, seduta al tavolo, correggeva i compiti di inglese dei suoi piccoli alunni. E mi e' sembrato buono e giusto questo suo impulso di andar via lasciando tutto in ordine. Sono andata a comprare cosa le mancava: spugne, sacchetti dell'immondizia. Ho chiamato il chercheur per i rinforzi. Poi mi sono messa in silenzio a pulire il forno, mentre lei finiva di correggere i compiti. Che' in ogni caso non riuscivo a stare ferma. E strofinare un forno incrostato fino a farlo tornare a specchio mi sembrava l'attivita' piu' sensata possibile. Il bisogno irrefrenabile di sistemare qualcosa, di combinare qualcosa di buono. Poi K. ha finito la correzione ed e' arrivata la cricca francofona al completo. Il chercheur si e' dedicato a fare spola alla pattumiera per buttare il buttabile (un'impresa: l'immondizia nel centro dei paesini chic olandesi...). D. si e' dedicato al bagno, mentre F. l'indisciplinato svuotava il frigo bevendo birra. Io continuavo a strofinare il forno.

Il giorno dopo, compro i biglietti per Milano, vado a lavorare tardissimo, parlo col capo, faccio partire i fermentatori in batch, lavo bicchieroni da 20 litri. E poi e' il giorno dei saluti. Avevamo stabilito che K. dormira' da noi, cosi' e' ad un passo dalla stazione, che' deve prendere il treno prima dell'alba. Io avevo finalmente stabilito per quella sera un appuntamento con Y. l'amica siberiana. Non c'eravamo piu' viste per mesi, per "colpa" mia e finalmente ero pronta ed avevo voglia di vederla. Il programma originario era cena, ma prima un workshop di tiramisu che volevo portare in ufficio il giorno dopo per il gravoso (per me) evento sociale porta la torta per il tuo compleanno. Che' io una voglia di festeggiarmi che non se ne ha un'idea. Pero' sono in fase di assecondamento ed accettazione dei codici sociali. Vedo tutto come un challenge: tipo vedi che schifo la vita a volte, che sara' mai portare una torta in ufficio? Non renderti la vita ancora piu' difficile e pedala e sbatti uova...
Mando una mail a Y. e le spiego tutta la situazione, proprio tutta. Mi si stringe il cuore di dirle di mia madre, la sua e' morta un anno e mezzo fa e so che non si e' ancora ripresa del tutto. Le spiego di K. che parte, che dormira' qui, del padre di K.. Del tiramisu' che mi resta di traverso. E le dico pero' che io voglia di vederla ne ho sempre, che saro' a casa nel tardo pomeriggio, di passare da me se vuole...
Arrivo dal lavoro alle 6, esausta. Tutto l'occorrente per il tiramisu e' li; a disposizione. Il divano mi rifiuta. Il mio corpo rifiuta il divano. Ale' mi tiro su. Faccio il tiromisu. Comincio a scaffettierare litri di caffe', in granparte deca, lo mischio con del cioccolato stavolta. Un sms di Y.: viene tra mezzora. Alla fine quasi programma originario. Cerco le fruste dello sbattitore. Non le trovo da nessuna parte. Per un attimo mi ricascano le spalle mentre mi rendo conto che la mia casa olandese non ne e' mai stata dotata: mi sto confondendo coi ricordi della casa nizzarda e quella coloradense, quando ancora facevo le torte di pere di fatto... Qui al massimo un minipimer e si e' rotto l'anno scorso. No, energie per bianchi a neve a mano non ne ho. Telefono a T., la dottoranda portoghese, che in effetti col Tiramisù ha un certo feeling. Mi porta le sue. Insisto che ci mancherebbe vado a prendermele io, insiste che no. Mi arrendo: mi lascio coccolare.
Arriva Y. e ci beviamo un infusione. La vedo triste, e' triste per me o c'e' qualcosaltro? cerco di sorridere e sdrammatizzare. Dice che lei sta bene, allora sara' preoccupata per me? Dico io per il momento mi sento forte. E insisto che devo fare questo tiramisu', ho bisogno di combinare qualcosa di buono. Arriva T. si ferma solo un minuto per lasciarmi le fruste. Sembra stanchissima e mi sento un po' **in colpa** di averla fatta venire fin qui. Poi caccio via il senso e mi prendo questa coccola.

Allora 4 bianchi a neve e si mettono da parte, 4 tuorli e 4 cucchiai di zuchero sbattutti, poi si uniscono 500 gr di mascarpone. Quindi si incorporano delicatamente i bianchi, con un mestolo di legno. Uno strato di savoiardi inzuppati, uno strato di crema, una spolverata di cacao. Non trovo il colino, lo cerco 5 minuti buoni, poi ci rinuncio. La pioggia di cacao sara' piu' a grandine. Magari e' anche piu' buono. Ci divertiamo nel processo di inzuppamento e disposizione del savoiardo. Presto il processo diventa in catena di montaggio. E' il dogma del lavoro di squadra: succede sempre. Due o tre strati. Di solito mi mette ansia che sia troppo poco quello che preparo, che non basti. Stavolta no. 2 teglie e ce le faremo bastare. Facciamo anche contenitori piu' piccoli, cosi' Y. se lo porta a casa. Ne prepariamo uno per K. e uno per gli altri della truppa.

Poi frema ma assertiva, dolce e delicata, dico che voglio andare a salutare K., quindi usciamo, il chercheur si sveglia dalla sua pennichella, beato lui! Poi accompagniamo Y. a casa che e' di strada ed andiamo al baretto belga d'abitudine. Una birra, il tiramisu, gli abrracci e a nanna. Alla fine K. va a dormire da un'altra amica che si e' offerta di accompagnarla in aereoporto. Crede che io mi sia offesa che non viene da me. Menomale che me lo chiede, cosi' posso dirle di non essere stupida. Volevo solo esserle di aiuto, alleviare. Ma forse c'e' qualcosa che non afferro. E sono esausta. La giornata e' stata intensa.

La vita e' fatta di priorita' e di accettazione delle emergenze che te le fanno cambiare. Vivere bene richiede saggezza nel valutare le priorita', ed adattarsi il piu' serenamente possibile quando cambiano. Forse alla fine cresco anche io, no? Due volte diciassettene oggi.. fa paura

E adesso si sveglia il chercheur e mentre scende le scale mi canta happy birthday (dear president)a mo' di Marilyn Monroe. Mi fa ridere a crepapelle.
Cosi' e'....

22 June 2011

a che gioco stiamo giocando?

...questo post mi si rigira dentro da qualche giorno, devo farlo uscire da qui al piu' presto, anche se gia' so non sara' come lo speravo...

La vita e' come un videogioco. Affrontare tutte quelle navicelle, che arrivano da ogni lato, oppure ingegnarsi per superare il labirinto e prendere quanti piu' fruttini o monetine e' possibile. Pigiare tutti quei tasti, all'impazzata. E l'adrenalina. Ci si appassiona. Poi a volte si perde l'entusiasmo. Si ha la percezione che sia come un videogioco, appunto, ma in senso cattivo. E che se guardi altrove c'e' tutto un universo, c'e' dio, c'e' l'aldila' e non ci si crede che il nostro compito sia di andare avanti a "giocare".
E invece un po' si.

Ed allora ci vuole un po' di armonia: giocare consapevolemente, divertirsi nei livelli facili. Ci volevo mettere anche una riflessione sul'arte di imparare, ma non mi viene piu' ed ho fretta di "andare avanti"... lo lascio scappare...
Accettare il gioco, mangiare il gelato, guardare le seie tv, rilassarsi tra un livello e l'altro... ed essere consapevoli di tutto il "di la' del gioco". Accettare.

Poi giocando, giocando, tra uno semplice ed uno simpatico, arriva il livello supermega difficile. Ci drizziamo su all'erta, questo rihiedera' la massima abilita'. L'occhio al "di la'" puo' diventare particolarmente difficile.

E' arrivato il livello quello col mostro spaventoso e per quanto assurdo possa sembrare, per un attimo, solo un attimo ho sorriso e pensato: adesso ti faccio vedere io.
Spero di superarlo


15 June 2011

Insalata di pasta pazza

(per un esercito)

Ingredienti per 8-10 persone (anche piu')

500 gr farfalle
5 uova sode
400 gr feta
~1 kg (anche di piu', a gusto) di pomodori rossissimi
origano del piu' buono
olio e.v.o. del piu' buono

Cuocere per il tempo di cottura meno 1-2 minuti (a seconda dei gusti), quindi fermare la cottura in acqua fredda e irrorare con un bel po' d'olio.
Intanto tagliuzzare tutti gli ingredienti. A cottura della pasta mescolare il tutto. Fare riposare almeno alcune ore in frigo (il giorno dopo - e anche quello dopo- ' ancora piu' buona). Aggiungere sale solo nel piatto, altrimenti fa acqua!

Questo e' dedicato a Milena, che volevo chiamare, ma poi mi sono distratta nella (ri-)preparazione. (L'ho fatta ieri ed e' piaciuta molto. Erano settimane che non cucinavo con un po' di sentimento. E allora bisogna subito bissare)

perche' il mondo si cambia a poco a poco