avevo progetti, desideri, per Squabus oggi, sapevano di foto di torte e racconti di feste di compleanno.
Invece...
Invece c'è una radio di sottofondo che mi disturba, per questo ho le cuffie nelle orecchie, ci ho messo dentro Elisa, ho un po' di stanchezza, un chercheur volato oltreoceano per una settimana ad una nuova conferenza di scienziati, un Pistacchio febbricitante con una forse otite, ma forse no, un nonno che mi da una mano. Questa volta è venuto senza la zia Susanna -e si sente- si è fatto un biglietto di due settimane... quando me l'ha detto mi sono sentita deglutire...
Mi ricorderò la prossima volta che forse è meglio che faccio da sola? Invece poi mi incarto sempre, tra il timore di un'emergenza, il volerlo far sentire utile. E mi ritrovo incastrata ed irritata. Che poi dai va persino meglio di quanto temessi, almeno si trovano abbastanza tra loro due. Venerdì, quando è iniziata la febbre, mi sono fatta coraggio e li ho lasciati soli dalle 9 alle 12, sono tornata per pranzo (evviva i 5 minuti di bici dal lavoro), l'ho messo a nanna e poi di nuovo soli dalle 13.30 alle 16.30, che poi tecnicamente ha rappresentato appena una mezzoretta, perchè ha dormito tutto il tempo. Domani e forse pure dopo ci toccherà bissare. In fondo poi se a quei due fa piacere, chi sono io per non farli restare da soli un pochetto. Chi sono io per non fidarmi? Per avere paura? Per sentirmi per niente tranquilla...
Sono io che non mi trovo. Pistacchio riesce a prendere il meglio di lui, senza alcun problema. Io invece guardo quest'uomo e mi dico, ma io come ho fatto a crescere con un padre (ed una madre) così? A tratti mi scoppia da ridere, amaramente, certo... Assertività zero, nevrastenia mal celata, incapacità di farsi del bene, incapacità di solitudine costruttiva. Insicurezza. E con questo panorama mi stresso, non mi sento per niente bene, e soprattutot provo una pena infinita. ma in fondo tocco con mano quanta strada ho fatto lontano da questo modello (ma pure quanta ancora ne ho da fare).
Penso e ripenso a questa cosa che mi sono detta giorni fa: Si diceva che le persone sono specchi, che ci
restituiscono un'immagine che possiamo apprezzare o meno. Ma è una
grossa balla. Possiamo scegliere ogni giorno, ogni minuto, il
palcoscenico su cui salire. Se curveremo le spalle, il mondo ci tratterà
da paria. Se saremo fieri, ambiziosi e ci rispetteremo, tutti ci
rispetteranno. Non esiste altra cosa più importante del rispetto di sè.
Siamo noi stessi lo specchio dei nostri pensieri, motivazioni e il motore di come ci considereranno gli altri.
Poi penso alla titolare che un giorno m'ha detto non c'è niente di peggio di un figlio malato. Io l'ho guardata dritta negli occhi, ma poi li ho abbassati e ho guardato altrove.
Penso
a quel delicato, meraviglioso meccanismo di quando le persone
raccontano i loro problemi. Ci sono le mazzate che ad un certo punto la
vita piazza sulla strada E poi ci sono armadi dentro ai quali la vita
rinchiude, giorno dopo giorno un poco di più. Ci sono-molto semplicisticamente- due categorie di
persone, mi sembra. Quelle che ce la fanno e quelle che no. Quelle che
ci rimangono sotto e quelle che si dibattono fino a passare sopra.
Quelle che il loro dolore ce la fanno a dirlo e riescono a farsi
aiutare. Quelli che no. Però la cosa meravigliosa è che ora ci credo che
gli uni possano diventare gli altri, in entrambe le direzioni purtroppo.
Quanta voglia di farcela. Mi commuovo da sola.
Ecco poi, giusto in mezzo a parole inevitabilmente sconclusionate, arriva quella canzone lì e io mi squasso, che non esiste come verbo, perchè non lo so dire cosa mi prende. Come si fa a stare dritti ascoltando questa canzone? Come si fa a stare in piedi e a non accartocciarsi? Non è una canzone ascoltabile in pubblico. Impossibile.