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Dovrei, vorrei e non vorrei, dire due parole su Parigi, sulla radicalizzazione e il perdersi in qualcosa di troppo grande e brutto. Da un lato. E il non rendersi conto di alimentare l'odio, dall'altro lato.
Invece mi sveglio con un sogno che mischia tutto. Che mischia i due sensi di colpa che mi trascino dietro negli ultimi mesi. L'amica a cui abbiamo tirato il bidone ad agosto. I compromessi, la conciliazione, la solitudine ed il provare a farsi del bene. Il senso di colpa. L'avere torto sul piano razionale. L'avere tante attenuanti sotto-sotto e l'infuriarsi che non contino minimamente.
E il collega-fratello che mi mette, mi pare mi metta, la testa nell'incavo del divano.
Tra un paio d'ore partiamo in ritiro, due anni fa con quel collega ci dicevamo delle cose carine nella mia lingua natale. Che non é una cosa da poco per una che si trova quasi perennemente sul terreno linguistico altrui. Mi viene sempre naturale andare incontro, se posso parlo la lingua propria al mio interlocutore. Non a caso ne ho imparata qualcuna. Mi interessava questa cosa di mettere gli altri a proprio agio. Persino a mio "svantaggio". A me non importa, purché sia comodo tu....
Comunque... ci dicevamo cose carine due anni fa e poi è andato tutto a puttane. Negli ultimi giorni mi sono immaginata di avvicinarlo tra una canzone e l'altra del dj abbastanza trash che si occuperà dell'animazione e di parlargli. Gli direi tipo
senti...me lo hai detto tu un anno fa che ti stavo usando come punchball
e io alle cose ci ripenso sempre mille e mille volte
E ora che il peggio forse é passato, che dio lo voglia
Che il peggio di me l'ho dato e neanche mi rendevo conto
ed é rimasto dietro di me alle spalle
Potrei forse dire che era vero
Si forse era vero
Che eri il mio punchball
che non é stata proprio colpa tua
Che se anche per un anno quasi buono ogni mattina che ti sentivo aprire bocca ti avrei preso a calci nelle gengive
anche se ti ho odiato come si riesce difficilmente ad odiare qualcuno.
cioé ce ne vuole..
Perché rappresentavi il male
E ora infece mi fai fino tenerezza
Che forse sei cambiato anche tu eh chissà
Ma io sicuro
e allora mi viene l'impulso di dirtelo con un cocktail in mano, dopo quattro salti in pista, magari un po" brilla. Che mica mi capita più spesso e posso pure dare la colpa alla mancanza di allenamento alcolico.
Che mi dispiace, che poteva anche andare altrimenti. Che non sono fiera di come mi sono comportata Che ero ferita e sofferente anche altrove e non sono stata facile con te.
E gliel'ho anche raccontato al chercheur di questa cosa che mi sto immaginando. Perché non voglio più sentirmi in guerra guerra e voglio fino fare la pace e volemose bene tutti, in armonia. Pero' sono spaventata. E il chercheur ne ha convenuto con con me. Che è tipico mio.
Assumere.
Prendermi responsabilità prima che lo facciano gli altri e poi gli altri tana libera tutti.
E invece quello che nella mia immaginazione sarebbe uno scambio bello, a volte diventa mettermi in mano di persone consapevolmemte o meno alla ricerca di alibi. Che non sono oneste con gli altri e chissà con se stessi e allora il peso me lo prendo tutto io. E a che serve?
Che poi é che sono io che ho bisogno di parole, parole parole. Gli altri magari anche no. Magari anche meno parole, pe favore. Che la cosa possiamo anche risolverla senza stare a spiegarcela nei dettagli. Che magari va già bene cosi' E che comunque dal non salutarsi si é già passato al Bonjour, rigorosamente lin ingua locale. E ultimamente c'é scappato anche qualche Bonjour Squabùs, che si sa, non si pronuncia facilemente il nome di qualcuno che ci sta sul culo. E io già l'ho notato che ho avuto diritto ai miei qualche Bonjour Squabùs. E allora sono stata contenta e fiera della pazienza, dell'amarezza sottile che mi prendeva al pensiero che era tutto perduto ma io comunque -per una volta- non volevo lasciarmi andare all'ansia e allo sconforto. E invece ho deciso che comunque andasse avrei tenuto duro e sarei rimasta sul terreno della correttezza e apertura. Comunque é una parola che mi suona molto. Comunque vada. é un po' quel lâcher-prise che tutti qui predicano.
Il chercheur mi diceva lascia perdere che tu stai sempre a dare perle ai porci.
Perle ai porci dice lui. Ed é interessante, perché volendo seguire l'immagine, per me le perle sono sempre state piu importahti dei porci. Che importano i porci se ci sono le perle. A che serve tenersele per se le perle? Non lo so. Forse è semplicemente l'immagine che non è rappresentativa.
Quindi la mattina della partenza per il ritiro mi sono svegliata con le immagini di questo sogno assurdo che mischiava tutto. Un paper nel Giornale dove qualunque scienziato vorrebbe avere il proprio nome. Che è una cosa che sta accadendo per davvero ma nel sogno l'ho mischiata ben bene ad altro.
L'amica delusa e arrabbiata che mi chiude la porta in faccia settembre, proprio nel momento in cui come é per me tipico dico ti vengo incontro, vengo a parlare la tua lingua, anche se sotto sono arrabbiatissima. Poi me la riapre dopo un po' ma io a quel punto l'avevo chiusa.
Mi sveglio e le scrivo, due mesi dopo l'ultima porta chiusa, senza rileggere i precedenti che se no rischia che cambio idea. Poi parto per il ritiro domandandomi se e come parlero' col Non-fratello.
(...)
E poi le cose buone e belle a volte succedono. Sono cose piccole, non sono miracoli, sono frutto di pazienza e apertura mentale e accettazione dei limiti e tempi altrui.
E allora forse Parigi un po' c'entra pure, perché per (provare a) sanare quello che ha portato a PArigi ci vorrà infinita pazienza e buona volontà. Non credo Parigi possa essere risolta alla radice sbattendo le porte.