Ho ricominciato a lavorare il primo giovedì del mese- ormai scorso. Il primo week end lo abbiamo passato a Marsiglia in ritiro con le amichette olandiche. E' stato molto bello ma anche faticosissimo infilarci in seguito la prima settimana "a regime". Da quando ho avuto un burn out sono comunque molto previdente sul carico di fatica che mi aspetta. Ci è voluta una polmonite a farmici riflettere ancora meglio e dall'80 sono passata al 60%. Almeno fino all'estate. Avevo paurissima del rientro che effettivamente non è stato poi fantastico. Ma almeno non mi ha fatto (ancora) male alla pancia. E la schiena soprattutto non ha mandato allarmi come era successo prima di natale, quando ho passato in istituto appena un paio d'ore per il pranzo natalizio e dopo sentivo avvisaglie spaventose di nuove crisi. La mia schiena invece -se mantengo il peso- sta abbastanza bene. Toccando ferro, legno e tutti i materiali scaramantici.
Ad un certo punto la maestra ha mandato a casa i quadernoni della scuola materna, sulle pagine dedicate alla mamma Alfetta ha disegnato un omino senza braccia -e non una, ma due volte. Era novembre 2016 e a quella data era un anno pieno che la sua mamma non lo aveva potuto prendere in braccio. Da quando ho visto quei disegni sono molto più diligente nel fare gli esercizi che il fisioterapista mi assegna.
Alfetta ha compiuto cinque anni. E' un ometto sempre più ragionevole e piacevole. Cinque anni sono una bellissima età, ma questo mi accorgo che lo dico sempre, ad ogni stadio, tranne forse quello del toddler blues che ho lungamente raccontato. Vederlo interagire con suo fratello mi fa sempre venire le lacrime agli occhi. Non credo di avere temuto niente al mondo più della gelosia di Alfetta per suo fratello. Che forse c'è anche, ma al momento non si vede (ancora?) chiaramente. Ogni volta che li vedo anche solo guardarsi, succede che viene ad entrambi una luce particolare negli occhi e si sorridono... io faccio come un passo indietro per non disturbare, mi viene un goccina negli occhi e la voglia irrefrenabile di prendere una penna e scriverne. Sono bellissimi.
L'altro giorno parlavamo del matrimonio dove andremo (evviva) in sud Italia e gli dicevo che bello ci saranno tutti i cuginetti, lui mi fa. Mamma, lo sai, non mi piace quando ti chiamano zia....
Forse sei un po' geloso? Lo posso capire... Si sono geloso.
Poi a scoppio ritardato, ieri, gli faccio senti stavo pensando a questa cosa che non ti piace tanto quando i tuoi cugini mi chiamano zia. Si, non mi piace proprio.
Ecco, ora lo so, ma stavo pensando, ma lo sai che quando il tuo fratellino parlerà, anche lui mi chiamerà mamma.... Si lo so, ma non sono geloso. Lui è il mio fratellino.
Un punto interrogativo mi accompagna da allora
Il fratellino di Alfetta ha un nome poetico e abbastanza esotico per le genti italiche (ancor più di quello di Alfetta per lo meno). Avevo pensato di chiamarlo qui Beta ma mi pareva irrispettoso. Mi pareva come dire ricordati che tu vieni per secondo. Di fronte alla sua tranquilla paciosità un amico me l'ha definito soprammobile. A me è venuto un pizzicotto nella pancia perché è più o meno quello che dicevano di me neonata e non so, mi ha sempre fatto brutto. In francese soprammobile si dice bibelot, leggasi tipo bibló. E quindi per un po' lo abbiamo chiamato Bibló. Ma insomma la mia pancia non era molto d'accordo.
Poi un giorno sollevandolo a fatica gli ho detto che pareva di cemento. Presto tradotto è arrivato il suo nome. Betón. Alfetta e Betón sono una coppia bellissima.
Io non mi censurassi scriverei ancora fiumi di parole. Ma censuro la felicità (enorme) tanto quanto le ombre che spesso mi vengono ancora a trovare. E macino tanti pensieri su questa autocensura da riempirci un grande lago di acqua salata.
Ecco una goccia, piccola e tonda.