31 August 2006

quaranta post in uno, non so far di meglio*


Lavoro a spizzichi e bocconi ormai. Un giorno si, l'altro forse pure, quello dopo no. Guadagno, in teoria, forse più di prima, lavorando un terzo. Ed è bellissimo... aprire un occhio la mattina, guardare la sveglia -Uh! 9,30??-, sobbalzo repentino, seguito da -uff, oggi non mi tocca-. Solo un po' di tristezza per quel 9,30, sono una persona che apprezza la luce, io, mi sembra di sprecare vita a svegliarmi così tardi. Mi si è spostato il fuso purtroppo. Dopo le vacanze e forse dopo quella serata a cena, 6 persone, 6 bottiglie di vino, le 3 di notte. Vino rosso con le ostriche, bianco con la burrata e poi limoncino e liquore al cioccolato con il dolce. Si, è andata proprio così. E non so se è per il bianco o perchè i chili di burrata erano quattro, non credo che mangerò più quella delizia per degli anni. No, non li abbiamo mangiati tutti e quattro quella sera, comunque...
Avevo portato una torta di pere e cioccolato. Non sapevo che gli ospiti a sorpresa erano due chef. Quando l'ho saputo volevo riportarmela a casa, ché col mio modo di cucinare si può solo assaggiare per capire come è venuto l'esperimento. Non c'è verso di costringermi a rendere l'evento e dunque la pietanza, ripetibile. Tutta questione di 'sta volta ci metto questo, 'sta volta provo a fare così. Visto che di torta non ne è restata una briciola, il giorno dopo l'ho rifatta sforzandomi di 'ripetermi'. E a parte una cosina che ho dovuto cambiare per forza di cose, sono riuscita a dominarmi e sì, l'esperimento è ripetibile. L'esperimento non è più un esperimento, la mia torta di pere e cioccolato è un dato di fatto. Posterò la ricetta e cercherò di rimanerle fedele, ahimè. Non mi piace molto cucinare fedele, ammetto però che è gustativamenente utile. Ed evita brutte figure.

E dunque si lavora poco qui... e male. Un cazzeggio infinito in attesa di mettere la testa a posto e S-T-U-D-I-A-R-E, questa vecchia conoscenza. Non trovo il coraggio di dire al boss della piccola e media impresa qualcosa tipo -Svegliati cocco, non ti rendi conto che non hai più bisogno di me?-.
La nuova colleghina straprofumata è iperefficiente, niente da dire. Ma non ho il coraggio, perché quei soldi mi servono e perchè il cocco, al momento dei saluti e del -Ci vediamo... ah già, quando ci vediamo?-, mi guarda disperato, come non potesse fare a meno del mio aiuto e abbozza un -Ma come sei messa?-. Proprio così dice e mi strappa pure un sorriso, anche se amaro. Sono tre mesi che gli dico che me ne sto per andare e non gli ancora detto quando. Quando me ne vado. Credo abbia capito più o meno come sono messa nell'animo e non infierisce punto, gliene sono davvero grata. Mi saluta ogni volta come fosse la penultima, con una punta di terrore. Sembra pensare possibile l'eventualità di vedermi volare via di punto in bianco, così, come se passaporti e visti e traslochi fossero solo parole e fosse possibile salutare tutti con la manina e spiegare le ali. No, boss, per i prossimi due mesi almeno resto ancorata a terra. Pazienza per quelli che ti incontrano, ti salutano e ti fanno -'ncora qui tu?-. Eh già.

E poi succedono cose strane restando ancorate a questa terra ferma... ed io sono in una condizione di spirito che porta a lasciarsi sconvolgere da ogni piccola, strana cosa che succede, piacevole o meno, stupida, insulsa o intrinsecamente, poeticamente bella.

Il vecchietto che mi osserva fare il biglietto del treno dalla macchinetta automatica, poi mi chiede di aiutarlo e quando, dopo avere pazientemente smanettato sulla signorina macchinetta blu, gli dico -fanno 2 euro e ottanta centesimi-, lui tira fuori dal taschino la carta di credito e dallo stesso taschino un biglietto e comincia dirmi -settemila*******-. Ed io lo guardo terrorizzata e gli lancio un soffocato -Mai!!!-, ma suona meglio -Jamais!!!-, giro gli occhi guardinga, nella speranza che nessun ragazzetto scapestrato abbia visto la scenetta, gli faccio la paternale... e lui si scusa, dice -ha ragione signorina, com'è amabile lei...-. In realtà credo di averlo fatto morire di paura, forse non lo farà mai più.

Qualche giorno fa ero all'odiato supermercato, mi si avvicina questa aitante ultrasettantenne. Genere comune qui, abbigliamento da ventenne, ultracurata, truccata, un po' ridicola, ma solo un po'. -Scusi signorina, non riesco a leggere, quante calorie fanno questi mini-grissini, in questa mini-confezione?- Prendo il pacchettino e leggo -660 kcal i 100 grammi-. Mi strappa di mano il pacco della vergogna sbraitando un -Ah no! Ce n'est pas possible, je ne peux pas, vous vous rendez compte? 660 kcal?? Ce n'est pas possible-. Io ci provo inizialmente ad avere un vero scambio, a buttare un -se le piacciono basta un po' di sport in più-, lei è ancora là che sbraita. L'istinto è quello di aprire il pacco e trangugiarli tutti in una volta. Vorrei dirle -Guardi che non le resta più molto tempo per godersi la vita, le sembra il caso di importunare quasi-trentenni-non-proprio-anoressiche, con le sue manie caloriche??-. Invece giro i tacchi e mi allontano. Due minuti più tardi mi tende un agguato al banco formaggi, vorrebbe chiedermi se non c'è magari un formaggio di chevre più piccolo che sennò ne mangia troppo. Sistemo con cura i miei due panetti del medesimo, grassissimo, chevre nel cestino, la ignoro, scuoto la testa ripetutamente. Sono un po' incazzata, solo un po'. Dopo le mamme, m'hanno anoressizzato pure le vecchiette, non c'è più religione.


* ok, ho ceduto, li ho divisi in due

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Io lo so cosa stai pensando.
Lo scrivo, non lo scrivo, quasi quasi lo scrivo. Ma no dai...
E' lo stesso che penso anche io quasi ogni volta.
Ma tu prova, prova a lasciare una traccia.
Non sarà invano.

Prova pro-pro-prova