Bocca serrata e sottile, i cui lati puntano verso il basso. Anche lei mi ricorda mia madre, mia madre nei momenti no. La titolare solo a fotografarla, solo ad immortalare quell'espressione quasi terrorizzata, sembra schiacciata dalla vita. Le voci pettegole che si sentono fanno il resto nel dipingere intorno a lei un'aria di sofferenza e fatica. Ma è una fotografia sbiadita, vuota e ormai irreale, probabilmente di un tempo che fu.
La titolare ha un figlio autistico e un passato di sofferenza marchiato in quella piega delle labbra, sussurrato dalle voci di corridoio.
Pare che tenda a far pesare agli altri i suoi problemi, aveva detto una voce petulante.
Certo è che ha davvero un'aria fragile ho osservato io prima di conoscerla, prima di sorprendermi delle sue battute ciniche e taglienti. Prima di rimanere sbalordita che da quella fotografia in tristezza e sofferenza saltassero fuori una fermezza e una determinazioni incredibili.
E' arrivata da noi a giugno dell'anno scorso, il giorno prima Squabus giocava a calcetto e si domandava come sarebbe stato averla come collega. In mezzo alla schiera di titolari indolenti e scansafatiche, non contenta di dove stava, lei aveva chiesto di cambiare gruppo, rischiando di macchiare, in un certo qual senso il suo cammino professionale. Poteva perdere o guadagnare tutto. E non so fino a che punto è cambiato il suo scenario interiore, non so fino a che punto vede un miglioramento nella sua vita, glielo dovrò chiedere, sono molto curiosa.
E' arrivata un po' schiva e timida, continuando a bere caffè con le persone di prima, nè dell'ex gruppo nè del nuovo. Si è guardata intorno circospetta, come tastando il terreno con attenzione prima di appoggiare il piede. Come chi si è vista sprofondare troppe volte nelle relazioni umane o come chi è irrimediabilemnte paranoico. Il dubbio è forte tutte le volte che mi dice "questo è un covo di serpi", raccontandomi tal o tal altra vicenda, come una lugubre novella 2000. Devo dire che del suo personaggio un po' mi insospettisce quel suo vedere tutto nero e cattivo, accanto all'avermi detto più di una volta che quando doveva decidere in che gruppo andare e poi decise per il nostro non sapeva che c'ero io. Lei lo sa che il suo arrivo da noi rende vana ogni mia speranza di diventare titolare. Ma chi potrebbe mai pretendere un tal riguardo verso una perfetta sconosciuta?
Ha preparato tutte le soluzioni che le servivano nella vetreria solida e luccicante, ha allineato perfettamente tutte le bottiglie sulla mensola del suo bancone. Ha messo il nastro adesivo colorato su tutte le sue cose, e come si usa ci ha scritto il suo nome, a chiare lettere: TITOLARE. Inizialmente ha scelto il nastro rosso, ma dopo qualche mese tutto è diventato verde. Una piccola insegna, anch'essa di nastro adesivo, campeggia sul suo bancone, scritta blu su fondo verde: ZONE VERTE. Qualcuno deve averle fatto la battuta oppure lei ne ha fatto perfetta metafora, non era pronta ad affondare quel piede, poi ad un certo punto la fiducia l'ha pervasa e al semaforo è scattato il verde. Me la sono figurata intenta e concentrata a staccare tutti quei pezzetti di nastro rossi e sostituirli diligentemente con quelli verdi. Uno ad uno. La titolare è impressionantemente diligente e ordinata. Organizzata, puntuale. Bravissima. Tutte cose che io non sarò mai a fondo o senza uno sforzo estremo.
Io - come poterlo negare? - rosico.
Rosico in un modo tutto mio, silenzioso e immobile. Incapace di
volere male ad una persona così forte e sofferente. Non potrei fare del
male neppure a persone che mi mostrano solo cattiveria e stolido disprezzo e che io ho preso a disprezzare a mia volta, pur con altalenanti sensi di colpa
(un tal ingegner so tutto io, per esempio, ma quello è un altro ritratto e di tutt'altro calibro).
Io davanti alla titolare resto abbagliata e anche
un filo turbata.
Dal suo coraggio per esempio. O forse dovrei chiamarlo spirito di abnegazione. Dopo appena qualche mese, si è messa senza troppi teatrini a fare le cose tra le più truculente che si possano immaginare in un laboratorio di ricerca. Cose che però sono importanti e possono portare lontano nella comprensione della Scienza, con la esse maiuscola. Cose per le quali si è guadagnata il rispetto di tutti. Cose che io non riesco a dire, altro che immaginare di fare con le mie mani, o anche solo guardare con i miei occhi. Lei fragile, col suo bagaglio enorme di sofferenza marcato in viso, Lei, senza un lamento, ha preso in mano il bisturi e via.
E' lei che un giorno mi ha detto non c'è niente di peggio di un figlio malato. L'ha detto perchè io stavo alludendo ad altre possibili sofferenze, che non sono puntuali, che non hanno un prima e un dopo, che ti entrano nell'essere fino a colonizzarlo interamente. Tanto che non sai chi sei e chissà se lo saprai mai. Scenari esistenziali e non, che non si possono dire tanto facilmente a chi non li conosce. Scenari che prima vanno smontati pezzo a pezzo e solo dopo se ne può parlare. Finchè sono così sofferenti, delicati, ci rendono delicati, fragili come cristallo. Ammiro e invidio la capità di parlare dei suoi demoni, significa che è andata oltre. L'allusione quel giorno però si è congelata tra i miei pensieri, finchè è scomparsa, volatilizzata. Delusa perchè non ci sono meglio e peggio nella sofferenza. C'è quel senso di tragedia e quella fragilità di cristallo. Il resto non conta.
Quella stessa sera, quell'allusione volatilizzata mi si è ripresentata sulle labbra nella conversazione con un'altra persona. Mi sono tradita, poi mi sono pentita e non mi sento bene al pensiero di avere lasciato un pezzo di me vagare per menti altrui, senza la mia supervisione.
Molte persone credono -o si comportano come se credessero- che la sofferenza è solo una cosa terribile che ti succede ad un certo punto. Il fatto è che tu riesci o non riesci a fare fronte, a seconda di chi sei stato fino a quel giorno. Io resto sbalordita dall'inconsapevole arroganza di chi crede di essere forte perchè è riuscito a superare un evento difficile. La forza c'era prima, ed è un merito personale fino ad un certo punto, la tragedia certamente serve da filtro. O da palcoscenico.
Io mi rispecchio invece in tutti coloro che sono cresciuti difettosi. Giorno dopo giorno nel difetto, fin dal principio o quasi. Che non significa che quella forza non ci sarà, un giorno, non significa affatto mollare. La forza verrà allenata, muscolo per muscolo, con fatica.
Significa però che verrà allenata in solitaria, davanti ad un pubblico che ci crede fragili punto, senza ragione. O forse per pigrizia, stupidità, insensatezza, masochismo.
Significa però che verrà allenata in solitaria, davanti ad un pubblico che ci crede fragili punto, senza ragione. O forse per pigrizia, stupidità, insensatezza, masochismo.
Noi attori silenziosi, soli e incompresi di uno spettacolo criptico e inintellegibile.
Finchè non riusciremo a parlarne.