Riflessi |
Squabus l'aveva già scritto questo post. Poi lo ha perduto, anche questo, e avverte un leggero dolore a riscriverlo.
Prima di sedersi alla tastiera, Squabus ha perso tempo bighellonando inquieta per casa per due ore buone, in un sabato pomeriggio in cui invece scalpitava per uscire. Poi, mentre tutti dormivano, s'è seduta sulla sedia al confine con la porta-finestra e si è arresa, con i piedi ammollo in un secchio d'acqua, appena fuori sul balcone. Il refrigerio le ha placato gli animi (al plurale perchè ancora oggi acconsente di non essere sola lì dentro).
L'acqua, si è ricordata, è la soluzione a tutto. Mentre cercava di liberare, e allo stesso tempo fissare, i pensieri, sapeva già che il mondo casalingo si sarebbe risvegliato appena lei ci fosse riuscita. Ci ha provato comunque.
Squabus era una ragazzina forse apparentemente mite, ma parecchio inquieta. Un poco ha già raccontato di quelle "ore morte delle venti" che tutti i giorni temeva più di ogni altra cosa. Oltre agli allenamenti con la squadra, fin dal penultimo anno di liceo, Squabus aveva preso ad andare in Biblioteca, luogo prettamente frequentato da universitari. Quando arrivarono anche i suoi coetanei, Squabus si sentì in parte depredata dal suo rifugio. In parte invece era contenta, perchè adesso ogni giorno aspettava di veder arrivare quel ragazzino col pizzetto e i capelli lunghi che le stava facendo girare la testa.
Una volta proprio quel ragazzino le raccontò come i grandi della Biblio si riferivano a lei: chi Squabus? quella ragazzina con l'aria un po' depressa? Squabus effettivamente non era una ragazzina solare. A sorridere d'anticipo lo ha avrebbe imparato molto più tardi. Pareva forse mite ma sicuramente depressa, già così giovane. Sempre imbronciata, forse incazzata. A ripensarci sono anni ormai che Squabus non si sente rivolgere quella terribile domanda, all'improvviso: ma sei arrabbiata? Un tempo era all'ordine del giorno, perchè ce l'aveva stampato in faccia o perchè i ragazzini certe domande non riescono a tenerle per sé. Chissà.
La domanda poi era più che legittima. Squabus era parecchio incazzata. Ce l'aveva con la vita e con la sorte che l'aveva fatta nascere in quella famiglia, piuttosto che in una qualsiasi altra. All'epoca del liceo, ogni mattina Squabus faceva le valige, preparava lo zaino per la scuola, e ci metteva anche i libri delle materie da studiare per il giorno dopo, la mela gialla per l'intervallo, un panino per pranzo e ancora qualcosaltro da mangiare. Tre volte a settimana preparava anche la borsa per gli allenamenti, negli altri giorni magari andava in piscina. Un anno si era offerta di fare da allenatrice ai ragazzini delle medie. In estate si iscriveva in palestra, altrimenti se ne inventava semplicemente un'altra. Il borsone lo lasciava nel garage, prendeva il motorino nero fiammante che il paparino le aveva comprato e andava a scuola. Dopo scuola andava a pranzo in biblioteca, nella bella stagione se ne andava al parco, mangiava il suo panino e poi si metteva a studiare. Nel tardo pomeriggio passava in garage e scambiava lo zaino di scuola col borsone. Qualsiasi logistica avrebbe messo in piedi, pur di non dover ripassare da casa. Quando poteva ci tornava solo dopo gli allenamenti a tarda sera, quando a casa tutti erano ormai rintanati nei loro rifugi e non c'era bisogno di parlare con nessuno. Non le dispiaceva incrociare i suoi fratelli, ma spesso erano troppo occupati a fuggire anche loro. Avesse invece incontrato quell'uomo, arrabbiato più di lei, no che non sarebbe stato piacevole. Se riusciva ad evitare di incontrarlo intorno alle ore morte delle venti, allora l'aveva scampata, allora nessuno le avrebbe più chiesto conto. Si sentiva un poco più libera, ma sempre con l'angoscia nel cuore.
La routine era francamente estenuante. I week end torture. La biblioteca era chiusa e non c'erano molte vie di fuga.
La routine era francamente estenuante. I week end torture. La biblioteca era chiusa e non c'erano molte vie di fuga.
Più tardi, negli anni dell'università, quando anche per i suoi coetanei diventava consueto uscire a quelle ore lì, diventò un po' più semplice. Si usciva per un aperitivo, oppure ci si incontrava in biblioteca dopo cena e si usciva a bere le birrette. Solo che Squabus si nutriva di aperitivi oppure di focacce del panettiere. E a volte capitava che la cena saltasse, per dimenticanza o per disguido logistico. E allora se usciva con gli amici e beveva anche poco, poi stava male. Se chiude gli occhi, riesce a sentire la testa che gira e l'amica Teddi che arrabbiata la rimprovera, occhi rivolti al cielo: Ecco lo sapevo, non mangi e poi stai male...
All'epoca del liceo invece era più dura. Squabus non aveva un cellulare, come l'avrebbe aiutata avere un cellulare... I suoi amici non facevano questa vita e neppure il fidanzatino dell'epoca, quello prima del ragazzino coi capelli lunghi. Se recupera nei ricordi l'immagine di sè in quegli anni prova una grandissima pena. Per se stessa e per quanto era sola a naufragare in mezzo al mondo. Nessuna ragazzina dovrebbe mai conoscere quella solitudine. Nessuno che chiedesse Come è andata la tua giornata? Ma dove te ne vai girando? Ma perchè non torni a casa?
Ad un certo punto, per impegnare quell'ora morta delle venti, proprio insieme alla Teddi, si era iscritta ad un corso di fotografia e camera oscura. Andava già all'università, era già più grande. Amava fotografare i riflessi, a colori o in bianco e nero, forse sperava di vederci qualcosa di diverso. Un giorno era a casa proprio di quel ragazzino con i capelli lunghi che le faceva girare la testa. Squabus é entrata nella vasca da bagno, si è rannicchiata. Click.
Ripensandoci oggi a Squabus verrebbe voglia di andare a rassicurare i ragazzini abbandonati a se stessi in giro per campi sportivi e biblioteche e chissà dove altro ancora. Dire loro che passerà, che troveranno la loro famiglia, e chissà, magari un giorno recupereranno la propria. Che si costruiranno un cammino. Che avranno un giorno una casa a cui tornare in quelle maledette ore venti. Qualcuno che domandi loro Come va? Un po' meravigliata si vede adesso tra le braccia di colui che è suo marito, lei, lui e un Pistacchio da accompagnare alla nanna, proprio in quelle ore che ora sono pura serenità, vorrebbe che qualcuno l'avesse sussurrato allora all'orecchio di Squabus ragazzina, triste e sfinita: Abbi pazienza, avrai un luogo dove riposarti un giorno. E, nonostante tutto, sarai in grado di fare sentire tuo figlio al sicuro, anche quando le lancette indugiano intorno alle ore venti.
Squabus sente di dover vegliare perché questa, che le sembra una magia, continui ad essere così.
Squabus ripensa con affetto alla sè di allora: in fuga, che passava le serate in biblioteca, e si girava ogni volta che la porta si apriva, sperando di veder arrivare quel ragazzino col pizzetto e i capelli lunghi.
Ha stampato nella memoria anche lui, bello e difficile, un ragazzino che, ancora non lo sapeva, ma un giorno molto lontano, sarebbe diventato un chercheur.
Ha stampato nella memoria anche lui, bello e difficile, un ragazzino che, ancora non lo sapeva, ma un giorno molto lontano, sarebbe diventato un chercheur.
Grazie per questo sguardo sulla tua vita: posso immaginare quanto ti sia costato :-*
ReplyDeletese vado passetto per volta sento che forse ce la posso fare. Fatto il passetto mi pento sempre un poco. Ma questo è andato, non voglio tornare indietro.
Deleteun abbraccio Robin. Grazie.
Un post veramente personale e intimo, ti ringrazio per averlo condiviso. Una foto che porta con sé un vissuto.
ReplyDeleteMi spiace per quelle "venti". Penso che ognuno di noi si porti dentro il bello e il brutto e che tutto contribuisca a determinare come siamo oggi.
Io sono stato per un periodo una sorta di "black box", di difficile interpretazione e lettura. Per mia volontà, nonostante gli sforzi di chi mi stava intorno. I motivi sono tanti.
Così anche io ho sviluppato una certa sensibilità nei confronti di chi, da giovane, vedo con quella caratteristica. Perché c'è bisogno di una mano tesa, anche per chi dice di non volerla, soprattutto da chi può capire veramente le stesse sensazioni.
invece no, sai? Una volta apparteneva forse ad una certa sfera intima, ma non più. Io non sono più quella ragazzina, anche se per certi versi la rivedo ancora intrappolata in certi meccanismi. La missione che sento, semmai, è di liberarla. Parlare di lei aiuta un poco. A volte mi rendo conto che certe condivisioni mettono più in difficoltà chi le raccoglie. Qui risiede il pentimento di cui parlavo a Robin.
DeleteIl più delle volte non si sa che si ha bisogno di una mano. Quando si cresce con un certo scenario, lo si capisce dopo che certe cose non erano 'normali'
a voler vedere a tutti i costi il bicchiere mezzo pieno: se non fosse stato per il tuo giorvagare e le tue serate in biblioteca avresti incontrato il bellissimo ragazzo col pizzetto e i capelli lunghi?
ReplyDeleteBaci.
incontrato lo avevo incontrato comunque...ma conquistato... :)
DeleteChe bello poter guardare indietro, a quei ragazzini sperduti, e sapere che poi tutto é andato bene; capita anche a me. Mi sono commossa... un abbraccio
ReplyDeleteè andato tutto bene! va' che me lo ripeto che mi paice sentirlo: è andato tutto bene :)
DeleteSto scoprendo piano piano cosa c'è dietro a quel malessere che ogni tanto riaffiora nei tuoi post. Credo sia importante che tu lo lasci uscire e, per quanto è possibile, lo faccia andare via. Bello sapere che ora ti senti finalmente protetta ed hai la forza di proteggere a tua volta il tuo piccolo.
ReplyDeleteUn abbraccio e l'augurio di tanti momenti di serenità
quel malessere non ha più ragion d'essere, non c'è più. E' come se un'ombra si fosse impigliata in qualche modo. Sento che devo liberarla.
DeleteFaticoso, forse anche per chi legge, mi rendo conto.
Grazie
...(:... l'amica Teddi
ReplyDeleteoh sì, l'amica Teddy!
Deletesospirone
eh sì l'amica Teddi!
Deletesospirone
Vorrei dirti solo che tu sei riuscita nella cosa piu' importante: trasformare le ore intorno alle venti in un momento di magia in cui far sentire sicuro tuo figlio... non e' da tutti...
ReplyDeleteper me è davvero una magia. Ti giuro che adesso ogni volta che arriva la sera-al contrario di allora- io è come sentissi una forza in cuore. Ne sono felice ma è anche vero che ho anche una gran paura di perdere questa serenità.
DeleteCi vuole grande coraggio per raccontarsi. Soprattutto con la sincerità che hai usato tu.
ReplyDeleteSei una persona sensibile e profonda.
E il lieto fine... rimane sempre la parte migliore!!
Un abbraccio
non so se ci vuole coraggio, non per questo almeno.
DeleteTi ringrazio del tuo sostegno, lo prendo cosi' e mi aiuterà quando di coraggio avro' bisogno.
mi prendo l'abbraccio con piacere e lo restituisco un po' cosi':
http://squabus.blogspot.fr/2013/03/dellabbracciare-gli-sconosciuti.html
oh sì. non starò a raccontare perché e per cosa anch'io ora godo e sguazzo nella serena normale quotidianità della mia vita familiare.
ReplyDeleteOrmai poco importa quel che c'è dietro, c'è talmente tanto da vivere davanti e attorno.
non so, quel che c'è dietro va comunque esorcizzato, liberato, superato
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