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05 November 2014

Di olimpiadi e tante altre cose

Quattro anni  
Quattro anni sono il tempo in cui un atleta si prepara alla prossima olimpiade. Quattro anni sono un lasso di tempo che non ho mai dovuto/avuto il privilegio di considerare.

Pensare ai prossimi quattro anni è molto difficile per me che sto lottando per dare una dimensione degna al Passato, non farmi devastare da un Futuro che non arriva, per concentrarmi su un Ora e Adesso. Grazie a questo libro (quello piccolo e prezioso) semplice e difficile allo stesso tempo, per la prima volta, forse ci riesco. Un libro che ho aperto in un momento che gli più appropriato non si poteva e poi ho lasciato in sospeso, pur pensando a lui ogni giorno.

All'inizio di quest'anno prendevo coscienza della negatività del mio ambiente di lavoro. Siccome sono troppo buona, o ingenua o sempre pronta a prendermi una grossa fetta delle responsabilità del sistema, mi sono messa e rimessa in discussione nel tentativo di salvare il salvabile. Ma con un sano distacco con un tentativo faticossissimo di sano distacco. Sicuramente quando il contratto si avvicinava alla fine, non ho provato l'angoscia del passato, quando sentivo quell'ansia di dimostrare che valevo un rinnovo, quando sentivo di dovermelo sudare. Questa volta al contrario ero pervasa da una serena convizione che io non dovevo dimostrare niente a nessuno. Se possibile mi sono ancora più rilassata, come a dire io questa sono, potrei sì dare molto di più, ma di certo non in queste condizioni. Oh se ho dato di più, oh se sono stata più.
Mi domando comunque se quel di più non fosse un'illusione, quel passato di affanni, se io non fossi solo convinta di stare dando di più, solo perchè mi stavo dando pena, quando invece ora do (il) meglio proprio perchè rilassata e distaccata. Ma é un meglio un po' triste e sconsolato. Quel che più importa è che sicuro manca la passione, quel fuoco sacro del voler fare bene. Perduto, disperso. Forse (anche) questo è (tristemente) crescere, forse è questa mancanza di luce negli occhi che noi giovani ed entusiasti di ieri vedevamo in noi maturi, distaccati e disillusi di oggi. L'odio per il collega più anziano che indulge nella pausa caffè, il pensiero rabbioso - misto senso di ingiustizia che lui non fa un cazzo e noi invece si suda sangue. E la non comprensione che lui invece, intelligentemente, intanto che noi ci perdiamo in fatiche esagerate, sta stringendo relazioni che gli sono molto più importanti sulla sfera puramente lavorativa, del non rompersi la testa, rovinarsi il fegato, negandosi una pausa. E non sto parlando di politica (certo c'è anche quella, ahimè), sto parlando del coltivare le relazioni per il proprio benessere psicofisico. Le pause caffè sono sottovalutate. Ma questo è tutto un altro discorso...


Non mi sento mica troppo bene. Io, ma anche qui.
All'inizio dell'anno prendevo coscienza che il mio malessere dipendeva anche da quella decina di persone che ero costretta a vedere ogni giorno. Non tutte, ma alcune, forse un paio o forse anche una sola. Alla quale, ancora una volta, lascio il potere di influenzare il mio umore, la mia emotività, la mia salute in fin dei conti.
Intanto, nel giro di qualche mese da quella presa di coscienza, ho tagliato l'agognato traguardo del primo anno, grazie al quale ho maturato il diritto a lavorare all'80%. Il mio adorato mamadag, che  un anno e mezzo fa declinavo in tutte le salse. Erano i tempi in cui parlavo molto di conciliazione, di disparità di genere e cose importanti. Avevo creato una bella etichetta, che suonava cosi': "conciliazione bisessuata". Poi ho smesso. Ed é peccato, perché avere il feed back di essere stata d'ispirazione era una cosa preziosa e bella. Ho smesso perchè al momento mi pare di avere poco da conciliare. Si conciliano due cose di valenza non posso dire simile, ma diciamo entrambe importanti. Si può parlare di conciliazione se fuori dalla famiglia che si deve gestire e si vuole godere, si trova un lavoro stimolante e interessante e che si desidera portare avanti bene e con la stessa passione di prima. Se questo entusiasmo viene meno, non stiamo parlando di vera conciliazione, per lo meno non era questa la conciliazione di cui io parlavo prima. Questa in cui mi ritrovo è una battaglia di sopravvivenza. Per quattro giorni a settimana lo scopo é arrivare alle 17, tirando avanti come posso e senza tornare a casa troppo "pesta". Col senso di colpa del condividere le incombenze familiari con una persona che il suo lavoro lo adora e che si sta facendo in 4 per esserci, esserci forte e chiaro su entrambi i fronti. Temo che sia a questo punto che (le donne) mollano il colpo. SOno meno stimolate nella sfera lavorativa e allora, teoria dei giochi docet, si mettono da parte. E' ancora un altro discorso. Parliamone, ad un certo punto parliamone.


Finalmente mamadag
Quando al primo di aprile sono passata all'80% sono rifiorita a nuova vita, finiti gli incastri e i mercoledì di maratone. Un po' di respiro e di tempo e finalmente delle ferie di cui disporre, che prima bruciavo in mercoledì pomeriggio presi per creare un mama/papadag che volevo a tutti i costi ma che non mi aveavo concesso. Poi mi sono fatta inculare col cambio di contratto perchè le ferie di prima non avrei potuto trasferirle al nuovo contratto. Oddio fregare fino ad un certo punto perchè le ferie me le sono godute, eccome se me le sono godute. Anche lì sono come rinata. E quando al primo di agosto è iniziato il nuovo contrato e intanto il nido chiudeva per tre settimane, non ho esitato un attimo a prendere ulteriori 3 settimane, pur sapendo che poi avrei fatto fatica, per una volta ho fatto la cicala. Tra maggio ed agosto sono proprio pochi i giorni in cui ho lavorato. La sto pagando adesso. Da fine agosto a fine dicembre con 3 giorni di ferie, ma soprattutto nessuno su cui poter contare per le emergenze, sto facendo una gran fatica. Per carità poi faccio pratica zen concentrandomi sul fatto che i problemi sono altri e c'è chi sta peggio. Ma quando in collegamento skype sento mio padre appresso ai tre nipoti geograficamente vicini, un giorno babysitta uno, il giorno successivo l'altro, poi tutti e tre in un colpo. Ecco, lasciatemi uno spazio di lamento, mi si perdoni il post che forse scriverò sul fatto che mi sento sopraffatta dal non avere nessuno su cui contare e dal senso di gratitudine e debito enorme che sento verso la mamma (santa impresaria) che ha tenuto il piccolo una mattina di emergenza. Il senso di debito mi pesa enormemente. Perchè il marito dell'impresaria ha detto chiaramente che lui non si fiderebbe se io ed il chercheur ricambiassimo il favore. Certo a loro una mano non servirà perchè hanno i nonni vicini. Doversi fidare di qualcuno che ti sta dicendo che di te non si fiderebbe fa male al cuore. Ma mi sono persa di nuovo.


Prendi una donna, dille che l'ami
Questo nuovo contratto. E' arrivato in sordina, non lo pensavo, non lo bramavo, non l'ho sudato. E' arrivato in sordina e poi ha fatto un gran frastuono. Quattro anni. Quattrro anni mi ha detto il capo buzzurro. Sto chiedendo un rinnovo 4 anni per te, lo vuoi? Pensavo mi stesse prendendo per il culo. Non ci potevo credere. Devono essere tattiche , deve essere il Teorema alla Ferradini della sfera lavorativa. Tu eri lì che dicevi vabbè se anche non mi rinnovi non è la fine del mondo, cerco altrove, con tutte le implicazioni che restare con te ha. Con questa legge che vieta di essere impiegati nella funzione pubblica per più di 6 anni, quanto più io rimango dove sono adesso, dove so per certo non si potrà aspirare ad un tempo indeterminato, quanto più tempo perdo altrove a costruirmi una possibile strada. Tac, proprio la volta che dai anche no, se non mi rinnovi non piango mica. Quattro anni. Il capo buzzurro mi ha offerto 4 anni di rinnovo. una cosa che non si è mai vista nell'istituto dove lavoro, quindi ora sono quella dei quattro anni. Che c'avrà mai quella che le anno offerto quattro anni di rinnovo? Ma poi lo vedi com'é scontenta, antipatica e sempre musona.  e poi é sempre li' a bere caffé con tutti, la vita é proprio ingiusta!


La sventurata rispose
Nel mezzo di bufere esistenziali, mica troppo convinta ma concentrandomi sugli innegabili vantaggi, non da ultimo uno stipendio garantito, ho firmato accettando questi 4 anni. Eppure. Mi concentro sui privilegi. Il privilegio dell'80%. Il privilegio della calma, del non-stress, se solo accetto le cose come sono, se solo rinuncio. Se solo mi accontento. Eppure. Eppure c'ho una cosa indomabile in petto. Forse é la fiammella del fuoco sacro che ogni tanto si riaccende e poi la bufera circostante la manda in fumo. E quella cosa imbizzarrita in petto mi dice scappa, altrove potresti rinascere. E se fosse il mestiere in sè ad essere sbagliato? Poi succedono giornate iluminate in cui sono illuminata, appunto, e tutto è meraviglioso a prescindere se funzioni o meno. Giornate in cui mi dico ch epotrei fare altro, ma che potrei anche continuare a fare quello che sto facendo con rinnovata passione. E allora mi dico che é vero che sono io il problema, ma stavolta me lo dico in modo positivo. Dipende solo da me.
Allora, di nuovo,  cerco il modo di far funzionare tutto per il meglio e non lo trovo. E poi si parte per un altro giro di giostra, torno a casa pesta e mi ripeto come un mantra che non è obbligatorio, che posso ricominciare, per l'ennesima volta, altrove. Che sarebbe anche una sorta di rivincita. Ma io non funziono per rivincite. Io funziono per sbattere la testa centinaia di volte sullo stesso muro, finché non lo sfondo. A quale prezzo pero'?



Quattro anni sono un'olimpiade. Quattro anni mi si blocca il respiro. Possono cambiare tante cose in quattro anni, mi dico, posso provare a cavalcare ogni singolo giro di giostra cercando di non ammalarmene. Ah se cambiano gli scenari in quattro anni. Non ho "che" da essere quercia in un paesaggio di erbacce e fiorellini a cui dare da bere. Posso sopportare, posso vederli andare via, quelli che andranno, e concentrarmi su questa palestra di vita. Posso crescere e prendere queste difficoltà come delle prove da superare. C'è un qualcosa pero', quando penso a questi quattro anni, che mi fa vacillare. Tra quattro anni il mio bambino ne starà per compiere 7. Sette anni. Non sono solo io che devo crescere è anche lui. Io posso sopportare tanto, non c'é dubbio, ma lui? Posso davvero trascinarlo in questa avventura? Posso farlo crescere in questa olimpiade?

04 February 2014

don't leave before you leave

Il chercheur mi ha consigliato -insistentemente- di guardare questo TED talk, puntualmente mi ci addormentavo davanti e lui si spazientiva: guardalo, resisti che è importante. Ieri ce l'ho fatta e lo condivido con voi. Lo dedico soprattutto a Robin nel nido, -non perchè ci sia un qualche messaggio specifico che penso sia indirrizato a lei- ma perchè credo che siano parole interessanti. In realtà per Robin oggi volevo postare le domande dell'appraisal olandese ma non ci sono riuscita.


Potete anche ritrovare il video seguendo questo link e scegliere i sottotitoli o il doppiaggio nella lingua che preferite e anche il testo, che riporto qui sotto in inglese (il grassetto, le sottolineature e i colori sono miei), ma che potete ritrovare anche in italiano sempre seguendo il link.




29 December 2013

Toddler blues

Adoro la luce che c'è al tramonto nella cucina di mio padre.
La giornata volge al termine, la notte sta per sopraggiungere e la cucina rossa e arancione si tinge d'oro e di speranza. Sa di promesse e speranza per il futuro


Il presente, invece, ha un suono buffo che fa: Toddler blues.


Tante mamme sono state sopraffatte dal post parto, lo raccontano come un momento nero, un pozzo senza fondo. Io mi vergogno a dirlo, ma oggi mi faccio coraggio. Io non ho avuto la depressione post partum. Io ho avuto l'euforia post partum. Mi sentivo una leonessa, ero felice, centrata, allegra. Quella sensazione è durata fino al primo anno circa dopo il parto, quando ho smesso di allattare. Anzi è finita un poco prima, più o meno quando ho traslocato. Lì si è rotto l'incanto, ma ancora tenevo botta. Quando l'allattamento ha volto al termine c'è stato l'inizio della vera e propria caduta. Il pozzo l'ho visto nell'era del toddler, per così dire. Quando quello che era un baby è diventato un toddler che cammina e dice sempre e solo no. Che si sveglia presto e vuole compagnia. E all'improvviso non ama più stare da solo. E ti prende la mano e pretende che tu ti sieda vicino a lui. E che non puoi cucinare, perchè tu sei suo ostaggio, e non può esistere niente altro al di fuori di lui. La claustrofobia. Poi l'ansia improvvisa che gli è presa e al buio si paralizzava. E a letto non ci voleva andare. Erano i tempi della trincea. Dalla quale mi pare che lentamente, per molti versi, siamo usciti fuori, mi pare.  A botta di lunghe ore a giocare in camera sua insieme, a suon di baci e coccole e abbracci stretti. E canzoni. E storie sussurrate all'orecchio. In questo post-natale Pistacchio sembra finalmente di nuovo sereno, come lo ricordo. Nonostante dorma quasi ogni notte in un letto diverso dalla notte precedente. Nonostante veda tanta gente e non ci sia affatto abituato. Nonostante la sua mamma sia mica troppo troppo spensierata.


Insomma l'euforia post partum -almeno la mia- non era solo una questione fisiologica. Non era solo la biochimica della felicità e dell'allattamento. Quell'euforia là era sostenuta da una vita lieve in un paesino medievale, un lavoro bello che mi aspettava. Un nido allegro dove andare a piedi spingendo un passeggino e tornarci in bicicletta. La comodità di un paesino che lo avessero disegnato non poteva essere più vivibile.

Conciliazione.

Conciliazione non è solo una mamma, un papà, la prole, degli orari, una rete di aiuto al contorno. Concilizione sono servizi, e anche allegria. Anche una vita semplice. Con tutto ben disposto intorno che non si debbano fare i salti mortali per vivere. Che l'importante è vivere, non le attese in coda al confine tra un pezzettino di vita ed un altro.


E quindi credo che non ho avuto il baby blues anche perchè la vita nel paesino medievale era conciliante. Perchè avevo una rete intorno e ho a fianco un papà che condivide a metà la genitorialità. Perchè l'avventura è iniziata con noi al centro, senza interferenze e conflitti di interesse. Poi c'è stata anche una cosa fondamentale nella nostra prima settimana, in Olanda si chiama kraamzorg. La neomamma e il suo piccolo tornano praticamente all'istante a casa dall'ospedale. Il giorno stesso per parti senza complicazioni avvenuti prima del mezzogiorno, l'indomani per tutti gli altri casi. A noi toccarono 24 ore piene piene e abbondanti, nonostante Pisti sia nato alle 7. Dico con certezza che furono le 24 ore peggiori della mia mammitudine. Una famiglia era nata eppure ci ritrovavamo separati ed in terra straniera. Volevo tornare a casa al più presto, nonostante il terrore di quel che mi aspettava. Per fortuna ci aspettavano anche otto ore al giorno di kraamzorg: assistenza post-parto, a spese dell'assicurazione sanitaria. Che significa una persona che passa una giornata a casa della neofamiglia a fare attività di ogni sorta. Pulire, cucinare, rassettare, dare una mano nel ricevimento ospiti che è tanto di moda in Olanda fin dal primo giorno. Ma soprattutto, per i genitori alle prime armi, un corso accelerato di bimbitudine. Controlli quotidiani di neonato e neomamma. Peso, medicazioni. Spiegazioni varie. Primo bagnetto, che in Olanda fanno dal primo giorno, nonostante il moncone ombelicale sia ancora al suo posto. 


Al terzo (o quarto? non ricordo più) giorno dal parto, quando in seguito ad una piccola divergenza di vedute col chercheur scoppiai a piangere e non si trovavano più i rubinetti,  la kraamlady stava giusto per andarsene. Ricordo lei che si ferma sulla porta, con la giacca in mano, torna in dietro, afferra il libretto di istruzioni, che pareva il libretto dei compiti delle vacanze di un bambino di quinta elementare, con disegnini da compilare (quali curve del peso, temperature basali), spazi da riempire (poppate, diari giornalieri di cacche e quant altro). Apre il libretto a pagina x e mi mostra, vedi, lo dice anche qui: il terzo (o quarto?) giorno si chiama weepingday, gli ormoni cadono. Piangete tutte. Ma poi passa. 

Io non sapevo se ridere o piangere più forte. Neppure il beneficio della specialità mi si concedeva. Maledetta benedetta biochimica. Piangete tutte.


Ho scampato il baby blues grazie ad una congiunzione socio-geografico-astrale che mai più si ripeterà. Ora, pensavo, chi mi salva dal toddler blues?
Poi, il giorno di Natale ho visto la luce. Si chiama nipotino Secondo e ha 3 anni. Non vedevo l'ora che i cuginetti si riconoscessero ma allo stesso tempo avevo paura che Secondo, il nipotino pestifero mi corrompesse il dolce pargoletto che fu angelicato, già sulla via nefasta del toddlerume.


Hahahahaha
Il nipotino fu pestifero aveva 2 anni e ora ne ha 3 ed è un ometto versione mignon ragionabilissimo. Ci puoi parlare, chiedere collaborazione, spiegargli. E lui non solo capisce, ma accetta fino. Cioè lui accetta quello che gli dici e fa quello che gli stai chiedendo. Mirabile dictu. Il bimbino pestifero era Terzo a sto giro natalizio, ossia il mio. Secondo era quello coscenzioso e collaborativo. Quarto era il patato di 7 mesi che dove lo metti sta. E mia cognata preoccupata a dire quindi mi stai dicendo che l'anno prossimo tocca a noi *questo*. Sento deglutire. No perché si, ora capisco perché ti sento provata. In effetti è un filino impegnativo. Deglutisce di nuovo.


Ed io che mi dico che cazzo, in mezzo a tutto il resto, sono in un ciclone in effetti. E cazzo pazienza ci vuole. Pazienza e zen. Cazzo, cazzo cazzo. Ce la faremo. E poi che i bimbi fanno davvero del loro meglio. E noi dovremmo fare come loro. Deglutisco anche io. Il toddler blues passerà. E poi sarà la volta di un nuovo blues. E poi un altro ancora. 

Per ora mi godo questo tramonto.

La luce in fondo al Toddler blues



02 December 2013

Il marito dell'altra panchinara (e.c.)

Non si vive solo di sogni romantici, ahimè, c'é anche da portare a casa la pagnotta. E come ha solo accennato in un post che parlava di panchine, di sport, di grinta ed entusiasmo, per Squabus il futuro lavorativo non è che sia poi così roseo,  per lo meno là sul binario dove si trova. Dovrebbe scendere dal treno, tirare fuori la mappa e studiare una via di fuga. Invece se ne resta lì seduta, si impegna a fare il suo dovere quotidiano, ma per il resto, guarda fuori dal finestrino, si gode il panorama e la piacevole compagnia, aspettando che un miracolo la porti da qualche parte, anche se sa bene che così perseverando non andrà molto lontano. Ma quella del treno, comunque, è un'altra storia.

Per dire che Squabus non è l'unica panchinara, Qualche giorno fa sulle scale ne ha incrociata un'altra, con cui chiacchiera talvolta. Ha un bimbo di 18 mesi e uno di tre o quattro, è panchinara da ben più tempo e gira voce sia in gambissima. Tanto che, dovesse liberarsi un posto da titolare, andrebbe certamente prima a lei, che a Squabus.


Squabus l'ha incrociata sulle scale, mano nella mano con un biondino alto intorno al metro, ma era incerta se fosse il primo o il secondo. C'era in quei giorni uno sciopero contro la riforma degli orari scolastici (altro argomento parecchio interessante su cui prima o poi un post ci dovrebbe proprio scappare), di bimbetti se ne sono visti un po' bazzicare per l'istituto.
- Ma che bel marmocchietto! E' tuo immagino?
- Si. 
- C'è sciopero anche oggi? 
La panchinara dice che no, che suo marito aveva un impegno e quindi le ha lasciato il piccolo per un'oretta.
- Ma perchè voi niente crèche (il nido)? Niente nounou (la tata)
Dice:
- No, mio marito è homme au foyer [che sarebbe come a dire che è casalingo stay at home dad***]
- Ma per scelta o necessità?
- No no, per scelta, dice lei.
- Ah! fa Squabus

La panchinara, apparentemente, ha un'altra marcia in più. E se anche le altre sono così, Squabus è spacciata.


***Errata corrige
OK, non chiamiamolo "casalingo," che implica una durata indefinita del suo status e poi non è  nemmeno una bella parola.  Chiamiamolo stay at home dad

06 June 2013

Critica al mammocentrismo - parte seconda (del farsi da parte)


Si, ma tu Squa che cosa pontifichi a fare? Certo è facile per te dire che sarebbe bene se le mamme non stessero al centro. Tu c'hai un compagno super presente (tecnicamente parlando un marito, ma la parola compagno mi piace di più). Ecco, appunto, è proprio qui che mi voglio. Io per prima tesso sempre le lodi del mio compagno per essere il mio socio paritario in questa avventura. Se non lo dico esplicitamente, penso costantemente quanto sono fortunata rispetto alla media di quello che vedo o sento. Sto pensando, però, che mi faccio un gran torto in questo modello di pensiero tutto gratitudine e fortuna cascata dal cielo. Ne ho abbastanza di essere sempre così avara di meriti con me stessa. Io sarò anche fortunata, ma sono anche artefice attiva di questa fortuna. Che ho assecondato, coccolato, curato come una cosa preziosa.  La materia prima c'era indubbiamente, ma poi io me lo sono voluto meritare un compagno socio paritario in azioni.


Flashback fine febbraio 2012
Il Pistacchio ha poche settimane, suo papà allo scadere della seconda è tornato a lavorare. Per me  giornate intere a casa con un fagottino ancora tutto da capire. I punti che per una serie di circostanze hanno quasi fatto infezione e non si rimarginano mai. Le difficoltà infinite con l'allattamento. Un'ora per poppata, otto volte al giorno, lo sfinimento. Le coliche delle 18 circa, ogni giorno. Dedicarsi completamente a lui. Inventarsi una giornata.
C'era poi un momento un po' magico in cui papà tornava a casa dal lavoro, ad interrompere quella solitudine. La solitudine per eccellenza, quella di una mamma sola con il primo. C'erano i biberon di mezzanotte con il latte tirato al primo mattino, quando era abbondante. C'erano i turni. Io a letto prestissimo, dopo la poppata delle 20, poi papà era on duty per preservare le mie ore di sonno, nella fascia oraria per me preziosa. E benedetta sia sempre la nostra complementarietà del sonno.

In quelle settimane iniziali la prima crisi, santa crisi e santo chercheur che gli ha saputo dare voce. Però brava pure io che ho saputo capire, senza neppure formalizzarlo a parole. Lo sto facendo adesso per la prima volta. E' stato quello il punto centrale della questione. Lì nasceva il quattromanismo, con una sorta di giuramento, di promessa, di fiducia che qualcuno sentiva dovesse essere accordata. In quelle settimane avevo ovviamente accumulato distanza conoscitiva sulla *materia Pistacchio*. Dopo due settimane di luna di latte, adesso ero io sola a passare tutta la giornata con lui e lo scarto di conoscenza cominciava a pesare.
E' febbraio 2012 e noi stiamo parlando di tettarelle da lavare o di orari, non ricordo. Forse sono particolarmente stanca o forse nervosa. Il chercheur ad un certo punto mi dice: ...io però così non sono sereno. Ho paura di te, mi sembra che per te ogni cosa che faccio con il piccolo non vada bene. E io che mi sciolgo in tenerezza. Perchè io non pensavo assolutamente in quei termini. Non lo pensavo razionalmente, non lo volevo pensare, ma probabilmente il mio atteggiamento lasciava trasparire un qualcosa tipo: io so cosa è bene per il mio piccolo, tu no, quindi fai come ti dico e punto. In queste circostanze il messaggio che arriva ad un padre spaventato e rimasto indietro è: solo io, mamma, sono in grado di occuparmene come si deve. E' poi vero che in quella fase si è abbastanza leonesse, non è vero? Guai a chi si avvicina al mio piccolo, alla larga. Ecco perchè il momento delicato con un papà che vuole occuparsi della prole è proprio questo (se non c'è volontà allora inutile che ne stiamo a parlare).

Se non aiutiamo i nostri compagni (quelli che vogliono, beninteso) a recuperare lo scarto che la natura ed i ritmi di vita, e per esempio un lavoro impegnativo, (im)pongono. Se li teniamo al di fuori, è chiaro che faranno fatica a sentirsi parte di quel meraviglioso tutto.

L'immagine che mi appare è quella di una mamma con suo figlio in braccio ed una sorta di  cerchio intorno. I padri si sentono irrimediabilmente fuori da questo cerchio, fatto di mesi di grembo materno, travaglio sulla nostra carne, tempeste ormonali, fiumi di latte. Ci guardano da fuori con sentimenti misti suppongo. Vivono spesso tutto questo anche con una sorta di senso di colpa.
Quello stesso senso di colpa ci garantirà, se lo vorremo prendere, la detenzione di un potere forse (ma solo forse) ancestrale. Lo strofinaccio power, di cui parlava in modo molto interessante Lorenza, qui.

Io credo valga la pena rompere questo incantesimo.

Allora potremmo alzare lo sguardo dal nostro piccolo attaccato al seno, prendere per mano il suo papà ed invitarlo nel cerchio.  E qualche volta magari lasciargli anche tutto lo spazio, restare un attimo in disparte a scattare una preziosa foto, anche mentale.


18 May 2013

Critica al mammacentrismo - parte prima (o dello spazio genitoriale)


da qui



Ho scritto una cosa forte e so potrà essere usata contro di me.
Tanto Squabus è quella che lei per prima non si fida di sè come mamma, che stai pure ad ascoltare quel che dice? Eppure io non posso negarlo, è proprio così. Nella mammitudine, come nella vita tutta, la mia unica certezza è il dubbio.


15 May 2013

quando un papà fa il papà


Le riflessioni sul mammocentrismo sono rimaste un po' in sospeso, non che le abbia trascurate. Seppur nell'ombra, lavorano, si confrontano e cercano di prendere forma. Intanto oggi faccio una cosa che non va neppure troppo fuori tema e che avrei voluto fare il giorno della festa della mamma, ma poi mi sono persa via, che peccato.

Devo, assolutamente devo, imprescindibilmente, allegramente, voglio aderire ad una iniziativa bellissima promossa da Daniele di BabbOnline. E sono contenta di farlo proprio in coincidenza del suo bellissimo ultimo post:  “...io che non parto e sto a guardarti e che rimango sveglio...” . E le sue parole le voglio anche incorniciare. Perchè restare può non essere rinuncia, ma la conquista più grande.




26 April 2013

Mamma a tempo pieno ?

Della serie Parole da incorniciare, per guardarle a lungo e rifletterci parecchio. Parole proprio importanti, utili, inspirational o semplicemente belle. Mentre il blog scorre via, per definizione, provo a farne istantanee che so un giorno avrò voglia di riguardare.



qualche giorno fa scriveva del lasciare il lavoro per dedicarsi a fare la mamma a tempo pieno. Cito solo la fine del post. Che è un post bellissimo che mi ha toccato un po' di corde critiche per così dire.  
Forse è vero, forse una donna che sceglie di non essere indipendente economicamente decide di mettersi nelle mani di un uomo. Il fatto, però, è che una donna, con tutti i suoi sogni, in due mani non ci sta. E allora preferisco pensare alle braccia di quest'uomo. Braccia che stringono, e accolgono, e sostengono. Senza essere proprietarie.

02 April 2013

Logi(sti)ca-mente

Vacanza finita :(

Una vacanza che ha fatto bene più all'umore che al corpo. Non è che ci siamo riposati più di tanto, non siamo riusciti neppure a fare troppe chiacchiere adulte, complice anche la presenza di bimbe nottambule. Però il Pistacchio si è sicuramente rifatto della quattordicigiorni di clausura. Ha riso e sorriso agli zii, alle bimbe e al cagnetto Iuppidù, con pura gioia. E' tornato la maschera della felicità. Noi stanchi ma felici, soprattutto per lui devo dire. Il potere della comunità sullo spirito, si diceva poc'anzi.

Domani si torna al lavoro – per me dopo 6 mesi di pausa. Ed eccomi tornata alle mie riflessioni. Sto pensando che la logistica fa tanto, credo che abbia addirittura a che fare con la felicità. E se non proprio con la felicità, con la serenità che permette di potersi godere una felicità che magari c'è ma non si estrinseca sempre come si deve.

19 March 2013

Genitori a quattro mani


Caro Pistacchio,

devi sapere che genitori a quattro mani lo siamo stati fin dal primo giorno. 

Fin dall'affacciarsi delle due lineette. I tempi erano così duri che sentivamo di doverlo dire alle persone più vicine, anche se era davvero troppo presto. Come dire, se non ci riusciamo noi, aiutateci voi a difenderci da  tutta quella sofferenza, capitata esattamente insieme alla gioia più grande. Così, per proteggerti, abbiamo annunciato subitissimo che eravamo incinti.
Eravamo così indissolubilmente incinti che siamo andati insieme mano nella mano a praticamente ogni visita ed ecografia. Ci tenevamo per mano e ci commuovevamo a sentire il tuo cuore.

Genitori a quattro mani perchè lo siamo spesso letteralmente. Per tutte quelle volte che ci troviamo in  tre sul fasciatoio... sembrerà assurdo a chi non pratica il parenting a quattro mani, ma fin dalle tue prime settimane abbiamo trovato molto meno faticoso cambiarti insieme tutte le volte che era possibile, piuttosto che cambiarti da soli la metà delle volte. Non significa che non ne siamo ed eravamo perfettamente capaci individualmente. Solo che a quattro mani è più facile... e anche bello.  Si chiama effetto cooperativo e non è una nostra scoperta.

16 March 2013

Mamma che lavora a tempo pieno. Ma chi io? (Gulp)

Un post che vuole raccontare una situazione vissuta come discriminazione di genere.  
Impercettibile, involontaria ed inconsapevole, quindi pure in qualche modo peggiore.
Un post forse (ma forse, non so mica) un po' paranoico che spera di essere letto e commentato anche da uomini. Così per capire il livello di paranoia registrato da altri da me. Altri anche in senso di genere.


Era gennaio. Un gruppo del centro nazionale di ricerca francese mi contatta. Il curriculum fitta, le mie motivazioni giudicate molto buone, mi invitano quindi per un colloquio con il direttore del gruppo, poi un secondo coi suoi collaboratori. Il direttore mi offre il posto ed allora io avanzo la mia richiesta di un contratto all'80%. Dice che si informa, poi organizza un incontro per discuterne con quella che chiama la gestionnaire (che già suona malissimo, pòrella - n.d.Squa: sarebbe la segretaria amministrativa dell'istituto). Essendo un posto in una struttura pubblica, sapevo già che non ci sarebbe stato il minimo spazio per negoziare alcunchè a livello economico.

Ma a me più che della pecunia, interessa del mio tempo. Anche se non c'è spazio a negoziare niente altro sono comunque fermamente decisa a difendere almeno il Mamadag

14 March 2013

Elucubrazioni su 3,4,5 giorni di nido

Sottotitolo: Papadag non pervenuto e anche Mamadag minacciato
Intimamente e sinceramente disposta a volgere al nuovo, al bello, al sole... il problema è che mi sento fisicamente ed oggettivamente una ciofeca. Al momento reduce dal quinto o sesto piccolo ma invalidante malanno da quando il 2013 è tra noi. Come non bastasse, anche un maldischiena tutto nuovo, che quelli di prima si erano stufati di me ed hanno mandato il compare sconosciuto, ugualmente rompipalle, ma di diversa natura.
Intanto il tempo sta per scadere e tra due settimane o poco più mi ritroverò tra i banchi di un nuovo lavoro.


08 March 2013

Mamadag

Sottotitolo: la mia esigenza di parità

Disclaimer: le cose che racconto e i dettagli che preciso, si riferiscono al pezzettino di mondo in cui ho vissuto io: un lavoro in una università di una piccola cittadina medievale e deliziosa. Potrebbero non applicarsi ad altri contesti olandesi


Mamadag, parola olandese (e figurarsi se non si tornava all'Olanda... mi si perdonerà) che significa giorno della mamma. E' quel giorno della settimana che la maggiorparte delle mamme lavoratrici olandesi stanno a casa dal lavoro per i primi anni di vita dei loro figli. Ripeto ancora una volta che questo applica per lo meno alla realtà che ho vissuto io.