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29 November 2015

La non violenza, la pazienza e la perseveranza

(correva il 25 novembre)

ed eccomi qui eccomi-là all'alba di una due giorni di fuoco...

Dovrei, vorrei e non vorrei, dire due parole su Parigi, sulla radicalizzazione e il perdersi in qualcosa di troppo grande e brutto. Da un lato. E il non rendersi conto di alimentare l'odio, dall'altro lato.

Invece mi  sveglio con un sogno che mischia tutto. Che mischia i due sensi di colpa che mi trascino dietro negli ultimi mesi. L'amica a cui abbiamo tirato il bidone ad agosto. I compromessi, la conciliazione, la solitudine ed il provare a farsi del bene. Il senso di colpa. L'avere torto sul piano razionale. L'avere tante attenuanti sotto-sotto e l'infuriarsi che non contino minimamente.

E il collega-fratello che mi mette, mi pare mi metta, la testa nell'incavo del divano.


Tra un paio d'ore partiamo in ritiro, due anni fa con quel collega ci dicevamo delle cose carine nella mia lingua natale. Che non é una cosa da poco per una che si trova quasi perennemente sul terreno linguistico altrui.  Mi viene sempre naturale andare incontro, se posso parlo la lingua propria al mio interlocutore. Non a caso ne ho imparata qualcuna. Mi interessava questa cosa di mettere gli altri a proprio agio. Persino a mio "svantaggio". A me non importa, purché sia comodo tu....


Comunque... ci dicevamo cose carine due anni fa e poi è andato tutto a puttane. Negli ultimi giorni mi sono immaginata di avvicinarlo tra una canzone e l'altra del dj abbastanza trash che si occuperà dell'animazione e di parlargli. Gli direi tipo

senti...me lo hai detto tu un anno fa che ti stavo usando come punchball
e io alle cose ci ripenso sempre mille e mille volte
E ora che il peggio forse é passato, che dio lo voglia
Che il peggio di me l'ho dato e neanche mi rendevo conto
ed é rimasto dietro di me alle spalle
Potrei forse dire che era vero
Si forse era vero
Che eri il mio punchball
che non é stata proprio colpa tua
Che se anche per un anno quasi buono ogni mattina che ti sentivo aprire bocca ti avrei preso a calci nelle gengive
anche se ti ho odiato come si riesce difficilmente ad odiare qualcuno.
cioé ce ne vuole..

Perché rappresentavi il male
E ora infece mi fai fino tenerezza
Che forse sei cambiato anche tu eh chissà
Ma io sicuro
e allora mi viene l'impulso di dirtelo con un cocktail in mano, dopo quattro salti in pista, magari un po" brilla. Che mica mi capita più spesso e posso pure dare la colpa alla mancanza di allenamento alcolico.
Che mi dispiace, che poteva anche andare altrimenti. Che non sono fiera di come mi sono comportata Che ero ferita e sofferente anche altrove e non sono stata facile con te.

E gliel'ho anche raccontato al chercheur di questa cosa che mi sto immaginando. Perché non voglio più sentirmi in guerra guerra e voglio fino fare la pace e volemose bene tutti, in armonia. Pero' sono spaventata. E il chercheur ne ha convenuto con con me. Che è tipico mio.
Assumere.
Prendermi responsabilità prima che lo facciano gli altri e poi gli altri tana libera tutti.
E invece quello che nella mia immaginazione sarebbe uno scambio bello, a volte diventa mettermi in mano di persone consapevolmemte o meno alla ricerca di alibi. Che non sono oneste con gli altri e chissà con se stessi e allora il peso me lo prendo tutto io. E a che serve?

Che poi é che sono io che ho bisogno di parole, parole parole. Gli altri magari anche no. Magari anche meno parole, pe favore. Che la cosa possiamo anche risolverla senza stare a spiegarcela nei dettagli. Che magari va già bene cosi' E che comunque dal non salutarsi si é già passato al Bonjour, rigorosamente lin ingua locale. E ultimamente c'é scappato anche qualche Bonjour Squabùs, che si sa, non si pronuncia facilemente il nome di qualcuno che ci sta sul culo. E io già l'ho notato che ho avuto diritto ai miei qualche Bonjour Squabùs. E allora sono stata contenta e fiera della pazienza, dell'amarezza sottile che mi prendeva al pensiero che era tutto perduto ma io comunque -per una volta- non volevo lasciarmi andare all'ansia e allo sconforto. E invece ho deciso che comunque andasse avrei tenuto duro e sarei rimasta sul terreno della correttezza e apertura. Comunque é una parola che mi suona molto. Comunque vada. é un po' quel lâcher-prise che tutti qui predicano.

Il chercheur mi diceva lascia perdere che tu stai sempre a dare perle ai porci.
Perle ai porci dice lui. Ed é interessante, perché volendo seguire l'immagine, per me le perle sono sempre state piu importahti dei porci. Che importano i porci se ci sono le perle. A che serve tenersele per se le perle? Non lo so. Forse è semplicemente l'immagine che non è rappresentativa.

Quindi la mattina della partenza per il ritiro mi sono svegliata con le immagini di questo sogno assurdo che mischiava tutto. Un paper nel Giornale dove qualunque scienziato vorrebbe avere il proprio nome. Che è una cosa che sta accadendo per davvero ma nel sogno l'ho mischiata ben bene ad altro.
L'amica delusa e arrabbiata che mi chiude la porta in faccia settembre, proprio nel momento in cui come é per me tipico dico ti vengo incontro, vengo a parlare la tua lingua, anche se sotto sono arrabbiatissima. Poi me la riapre dopo un po' ma io a quel punto l'avevo chiusa.


Mi sveglio e le scrivo, due mesi dopo l'ultima porta chiusa, senza rileggere i precedenti che se no rischia che cambio idea. Poi parto per il ritiro domandandomi se e come parlero' col  Non-fratello.

(...)

E poi le cose buone e belle a volte succedono. Sono cose piccole, non sono miracoli, sono frutto di pazienza e apertura mentale e accettazione dei limiti e tempi altrui.


E allora forse Parigi un po' c'entra pure, perché per (provare a) sanare quello che ha portato a PArigi ci vorrà infinita pazienza e buona volontà. Non credo Parigi possa essere risolta alla radice sbattendo le porte.

17 May 2015

Aprile al metotrexato

post lungo e tortuoso, si salvi chi può...


Dalla cronaca, inizia dalla cronaca, se tutto il resto non viene. Chè poi non sai neppure tu cos'è il resto.



Two weeks

Non capisci se è vera questa forza che senti e che continui a ripetere a tutti quelli che ti chiedono come stai. Ti senti ancora illuminata, immagini che ci si aspetterebbe che tu fossi piegata in due dal dolore e invece no. Per niente proprio. Resti in ascolto, cerchi di vedere gli insegnamenti e le opportunità anche in questo.  Vuoi solo che i punti si rimarginino, che passi il dolore fisico per ricominciare a vivere e a prenderti cura di te stessa, perchè ferma qui non sai per quanto ancora durerà l'illuminazione. Ferma. Tu che vorresti correre o almeno nuotare. Invece ti restano soltanto la meditazione e la scrittura automatica, ma non riesci bene ad applicarti.

04 February 2014

don't leave before you leave

Il chercheur mi ha consigliato -insistentemente- di guardare questo TED talk, puntualmente mi ci addormentavo davanti e lui si spazientiva: guardalo, resisti che è importante. Ieri ce l'ho fatta e lo condivido con voi. Lo dedico soprattutto a Robin nel nido, -non perchè ci sia un qualche messaggio specifico che penso sia indirrizato a lei- ma perchè credo che siano parole interessanti. In realtà per Robin oggi volevo postare le domande dell'appraisal olandese ma non ci sono riuscita.


Potete anche ritrovare il video seguendo questo link e scegliere i sottotitoli o il doppiaggio nella lingua che preferite e anche il testo, che riporto qui sotto in inglese (il grassetto, le sottolineature e i colori sono miei), ma che potete ritrovare anche in italiano sempre seguendo il link.




29 December 2013

Toddler blues

Adoro la luce che c'è al tramonto nella cucina di mio padre.
La giornata volge al termine, la notte sta per sopraggiungere e la cucina rossa e arancione si tinge d'oro e di speranza. Sa di promesse e speranza per il futuro


Il presente, invece, ha un suono buffo che fa: Toddler blues.


Tante mamme sono state sopraffatte dal post parto, lo raccontano come un momento nero, un pozzo senza fondo. Io mi vergogno a dirlo, ma oggi mi faccio coraggio. Io non ho avuto la depressione post partum. Io ho avuto l'euforia post partum. Mi sentivo una leonessa, ero felice, centrata, allegra. Quella sensazione è durata fino al primo anno circa dopo il parto, quando ho smesso di allattare. Anzi è finita un poco prima, più o meno quando ho traslocato. Lì si è rotto l'incanto, ma ancora tenevo botta. Quando l'allattamento ha volto al termine c'è stato l'inizio della vera e propria caduta. Il pozzo l'ho visto nell'era del toddler, per così dire. Quando quello che era un baby è diventato un toddler che cammina e dice sempre e solo no. Che si sveglia presto e vuole compagnia. E all'improvviso non ama più stare da solo. E ti prende la mano e pretende che tu ti sieda vicino a lui. E che non puoi cucinare, perchè tu sei suo ostaggio, e non può esistere niente altro al di fuori di lui. La claustrofobia. Poi l'ansia improvvisa che gli è presa e al buio si paralizzava. E a letto non ci voleva andare. Erano i tempi della trincea. Dalla quale mi pare che lentamente, per molti versi, siamo usciti fuori, mi pare.  A botta di lunghe ore a giocare in camera sua insieme, a suon di baci e coccole e abbracci stretti. E canzoni. E storie sussurrate all'orecchio. In questo post-natale Pistacchio sembra finalmente di nuovo sereno, come lo ricordo. Nonostante dorma quasi ogni notte in un letto diverso dalla notte precedente. Nonostante veda tanta gente e non ci sia affatto abituato. Nonostante la sua mamma sia mica troppo troppo spensierata.


Insomma l'euforia post partum -almeno la mia- non era solo una questione fisiologica. Non era solo la biochimica della felicità e dell'allattamento. Quell'euforia là era sostenuta da una vita lieve in un paesino medievale, un lavoro bello che mi aspettava. Un nido allegro dove andare a piedi spingendo un passeggino e tornarci in bicicletta. La comodità di un paesino che lo avessero disegnato non poteva essere più vivibile.

Conciliazione.

Conciliazione non è solo una mamma, un papà, la prole, degli orari, una rete di aiuto al contorno. Concilizione sono servizi, e anche allegria. Anche una vita semplice. Con tutto ben disposto intorno che non si debbano fare i salti mortali per vivere. Che l'importante è vivere, non le attese in coda al confine tra un pezzettino di vita ed un altro.


E quindi credo che non ho avuto il baby blues anche perchè la vita nel paesino medievale era conciliante. Perchè avevo una rete intorno e ho a fianco un papà che condivide a metà la genitorialità. Perchè l'avventura è iniziata con noi al centro, senza interferenze e conflitti di interesse. Poi c'è stata anche una cosa fondamentale nella nostra prima settimana, in Olanda si chiama kraamzorg. La neomamma e il suo piccolo tornano praticamente all'istante a casa dall'ospedale. Il giorno stesso per parti senza complicazioni avvenuti prima del mezzogiorno, l'indomani per tutti gli altri casi. A noi toccarono 24 ore piene piene e abbondanti, nonostante Pisti sia nato alle 7. Dico con certezza che furono le 24 ore peggiori della mia mammitudine. Una famiglia era nata eppure ci ritrovavamo separati ed in terra straniera. Volevo tornare a casa al più presto, nonostante il terrore di quel che mi aspettava. Per fortuna ci aspettavano anche otto ore al giorno di kraamzorg: assistenza post-parto, a spese dell'assicurazione sanitaria. Che significa una persona che passa una giornata a casa della neofamiglia a fare attività di ogni sorta. Pulire, cucinare, rassettare, dare una mano nel ricevimento ospiti che è tanto di moda in Olanda fin dal primo giorno. Ma soprattutto, per i genitori alle prime armi, un corso accelerato di bimbitudine. Controlli quotidiani di neonato e neomamma. Peso, medicazioni. Spiegazioni varie. Primo bagnetto, che in Olanda fanno dal primo giorno, nonostante il moncone ombelicale sia ancora al suo posto. 


Al terzo (o quarto? non ricordo più) giorno dal parto, quando in seguito ad una piccola divergenza di vedute col chercheur scoppiai a piangere e non si trovavano più i rubinetti,  la kraamlady stava giusto per andarsene. Ricordo lei che si ferma sulla porta, con la giacca in mano, torna in dietro, afferra il libretto di istruzioni, che pareva il libretto dei compiti delle vacanze di un bambino di quinta elementare, con disegnini da compilare (quali curve del peso, temperature basali), spazi da riempire (poppate, diari giornalieri di cacche e quant altro). Apre il libretto a pagina x e mi mostra, vedi, lo dice anche qui: il terzo (o quarto?) giorno si chiama weepingday, gli ormoni cadono. Piangete tutte. Ma poi passa. 

Io non sapevo se ridere o piangere più forte. Neppure il beneficio della specialità mi si concedeva. Maledetta benedetta biochimica. Piangete tutte.


Ho scampato il baby blues grazie ad una congiunzione socio-geografico-astrale che mai più si ripeterà. Ora, pensavo, chi mi salva dal toddler blues?
Poi, il giorno di Natale ho visto la luce. Si chiama nipotino Secondo e ha 3 anni. Non vedevo l'ora che i cuginetti si riconoscessero ma allo stesso tempo avevo paura che Secondo, il nipotino pestifero mi corrompesse il dolce pargoletto che fu angelicato, già sulla via nefasta del toddlerume.


Hahahahaha
Il nipotino fu pestifero aveva 2 anni e ora ne ha 3 ed è un ometto versione mignon ragionabilissimo. Ci puoi parlare, chiedere collaborazione, spiegargli. E lui non solo capisce, ma accetta fino. Cioè lui accetta quello che gli dici e fa quello che gli stai chiedendo. Mirabile dictu. Il bimbino pestifero era Terzo a sto giro natalizio, ossia il mio. Secondo era quello coscenzioso e collaborativo. Quarto era il patato di 7 mesi che dove lo metti sta. E mia cognata preoccupata a dire quindi mi stai dicendo che l'anno prossimo tocca a noi *questo*. Sento deglutire. No perché si, ora capisco perché ti sento provata. In effetti è un filino impegnativo. Deglutisce di nuovo.


Ed io che mi dico che cazzo, in mezzo a tutto il resto, sono in un ciclone in effetti. E cazzo pazienza ci vuole. Pazienza e zen. Cazzo, cazzo cazzo. Ce la faremo. E poi che i bimbi fanno davvero del loro meglio. E noi dovremmo fare come loro. Deglutisco anche io. Il toddler blues passerà. E poi sarà la volta di un nuovo blues. E poi un altro ancora. 

Per ora mi godo questo tramonto.

La luce in fondo al Toddler blues



22 December 2013

vino e spumante a natale

Era fine maggio-inizi giugno. Pisti aveva quasi quattro mesi, lui, mio padre, era in visita nel paesello medievale. La mia scusa per convincerlo a venire era che Pisti iniziava il nido ed io a lavorare e che quindi una mano ci avrebbe fatto comodo. Non che non gli facesse piacere venire. Anche lui, come me, adorava il paesello medievale. Usciva di casa al mattino per prendere il giornale. Con 10 minuti appena di passeggiata tra i canali era all'edicola del centro che aveva i giornali internazionali.
Andava a fare la spesa nel piccolo supermercato sotto casa, poi ogni giorno esplorava una viuzza nuova, lungo i canali. Gli piaceva quella dimensione. Deve essersi detto: questo è il paradiso. Il fatto che ad un certo punto avesse lasciato la sua schiuma da barba, il colluttorio e si fosse comprato una tuta e delle ciabatte da lasciare nel cassetto dedicato a lui, nella casa in Fockstraat, la diceva lunga. Il messaggio era arrivato a destinazione: se voi mi invitate io verrò con gioia a passeggiare tra i canali e darvi una mano.


Indossavamo le giacche autunnali in quei giorni di fine maggio, come ogni primavera olandese che si rispetti faceva fresco e minacciava costantemente pioggia. Eppure quel giorno, mentre passeggiavamo, scoppiò un caldo improvviso, che sorprese noi e le nostre giacche pesanti. Tornammo a casa accaldati, io bevvi acqua, lui il suo te quotidiano, sorseggiato a tutte le ore. E alternato al jack daniels. Per fortuna in visita da noi nel paesino medievale limitava gli alcolici ai pasti. O almeno credo. Certo perseverava nella sua ostinazione di non pranzare nè fare colazione. Un solo pasto al giorno, a sera, e litri di te poco zuccherato, tutto il santo giorno. Un'abitudine che aveva da più di trent'anni, iniziata nei suoi primi anni di lavoro, per non perdere tempo col pranzo. Negli ultimi anni si erano aggiunte dosi sempre più massicce di superalcolici. A tutte le ore del giorno.


Quel pomeriggio eravamo nel soggiorno-cucina, era tornato anche il chercheur che ci aveva salutato ed era andato su a fare la doccia. Ci mettiamo a preparare la cena. Lui è ai fornelli, con una mano gira il sugo, nell'altro braccio tiene Pisti. Scuoto la testa, vado a recuperare Pistacchio dalle sue braccia. Cerco di essere calma e serena mentre gli dico che non è molto sicuro tenere il bimbo vicino ai fornelli. Tra me e me penso che non lo so mica se mi sta dando una mano o se piuttosto sta complicandomi la vita. Comuqnue sono contenta che sia lì. Da quando Lei se ne è andata ho potuto provare a recuperare il nostro legame. Quello di quando ero bambina, che a ricordarlo sembra la vita di un'altra persona, non la mia. 


Dopo pochi minuti lo vedo seduto al tavolo. E' pallido e un po' troppo immobile, davanti a lui l'immancabile tazza di te. Gli chiedo seè tutto a posto. Mi dice che non si sente molto bene. Mi allarmo. Se mio padre, che non si lamenta mai di niente, dice che non si sente bene, la cosa è seria. Vado a mettere Pistacchio nella sdraietta posata sul tappeto. Non faccio che sistemarlo, mi giro e vedo mio padre grigio, il volto ha preso un'espressione indicibile, una non-espressione in realtà. Si sta accasciando di lato, io quella non-espressione l'ho vista solo una volta in vita mia. Penso semplicemente che è morto. Grido con tutto il fiato che ho in corpo il nome del chercheur che in quel preciso momento forse è sotto la doccia. Grido e penso che non mi sentirà mai. Mentre urlo, scatto a sostenere mio padre, un secondo dopo comincia a vomitare una roba nera (sangue?). Per quanto forse sia allarmante, invece mi rincuora, penso che se sta vomitando non può essere morto. Non so se poi è proprio così, ma quel pensiero in quel momento scaccia il mantra tetro che mi martellava in cuore E' morto anche lui. E' morto. Mentre io sostengo mio padre, il chercheur chiama l'ambulanza e va a rassicurare Pistacchio, che, lui, piccolo angelo, non ha battuto ciglio e anzi continua a sorridere al nonno.

Poi non ricordo bene. Riprende conoscenza, lo facciamo sdraiare sul divano, arriva molto rapidamente l'ambulanza. Gli fanno delle domande. Lo fanno cambiare. La cosa mi aveva stupita. MIo padre appena collassato adesso è nudo nel mio soggiorno, si infila pantaloni e maglietta puliti. Ci caricano entrambi in ambulanza. Andiamo in ospedale

Passerà la notte lì in osservazione. Accanto a lui una donna picchiata dal marito, per quel che riesco a capire dei brandelli di conversazione che il mio olandese riesce a captare. 

La mattina dopo accompagno Pisti al suo primo giorno di adattamento al nido (!?). Ricordo quando avevo chiesto deglutendo. 
Ma come? E io non resto con lui la prima volta? 
Signora l'adattamento è per lui, non per lei.... 
Batavi...

Lascio Pisti e vado in ospedale. Gli faranno una gastroscopia. Lo accompagno, questione di tradurre per lui e ritradurre per loro il suo inglese un po' scarno.  Il dottore mi dice che devo aspettare fuori, ma di non andare via. GLi faranno un'anestesia che durerà un breve lasso di tempo, si sveglierà, ma sarà confuso e non ricorderà niente, meglio che resti nei paragi per rassicurarlo.


Aspetto. Finchè mi richiamano dentro. Il dottore mi dice che non è nulla di grave, ci sono delle ulcere, hanno preso delle biopsie e stanno facendo delle analisi, ma molto probabilmente non c'è nulla di grave. RAcconto al dottore delle abitudini alimentari di mio padre: digiuni prolungati, parecchio te e soprattutto molto alcol. Non credo di dovregli strizzare l'occhio per cercare una certa complicità, mi pare ovvio che gli farà una ramanzina, gli dirà di darsi una regolata, gli farà prendere almeno un piccolo spavento. Intanto mio apdre si è svegliato. Il dottore gli fa il riassunto. Io ricalco, sa il digiuno, il te, l'alcol.  Quell'idiota dice che nulla di tutto questo è correlato con l'ulcera. Che non c'è nessun problema e può continuare a mangaire e bere quel che vuole. Sono sbalordita. Non dico più nulla.


Ci mandano in un reparto, mio padre sonnecchia, poi riapre gli occhi ed è disorientato, mi chiede dove siamo, cosa è successo. Gli chiedo cosa si ricorda. Non ricorda nulla dell'esame, non ricorda niente del medico. Gli dico dell'esito, ha delle ulcere. Il dottore ha detto che devi assolutamente mangiare almeno 3 volte al giorno, limitare il te e soprattutto gli alcolici.


Ma nulla di questo è stato convincente per lui. Quella sera stessa ci scherzava su. Cosa che in sè non era neppure male. E' stato quando ha preso il vino dalla dispensa che sono esplosa.


A piangere.
E inveire contro di lui.
Papà smettila di scherzare...
 io ti ho visto morto.
Inveivo dell'altro che non ricordo, che se voleva continuare a farsi del male liberissimo, ma che io non volevo stare lì a guardare. Che lo facesse da solo, lontano dai miei occhi. Una cosa così.


Credo che mio padre mi voglia molto bene, e credo che abbia avuto pietà del terrore che ha sentito nella mia voce.  Dal giorno successivo non solo ha fatto colazione, pranzo e cena tutti i giorni, ha eliminato te e caffè, ma soprattutto non ha più toccato un bicchiere di vino o altri alcolici, se non in rare occasioni poche gocce di cortesia. Incredula ho domandato a chiunque si fosse seduto alla sua tavola se la cosa non fosse limitata alla mia presenza. Pare di no. A meno che non abbia sgarrato in solitudine, questo non posso saperlo.


Quel giorno ho mentito a mio padre e non me ne sono pentita neppure un minuto. Dopo avere mentito ho lasciato che vedesse il mio terrore, senza filtri. Mio padre da allora è diventato un uomo migliore. A poco a poco, passo dopo passo. Non è più l'uomo che era. Non è questa la sola ragione. Quella più grande è che ora è un uomo libero.


L'altra sera ci ha mandato una mail. L'oggetto era vino e spumante a natale. Era contento di farci sapere che le sue ulcere sono sparite e che il suo divieto sugli alcolici è stato rimosso dal dottore che gli ha fatto la gastroscopia.


Non ho provato gioia. AL contrario. Ho pensato che uno di noi avrebbe dovuto accompagnarlo e confabulare, di nuovo, col dottore o senza, nello spazio di memoria labile del dopo-gastroscopia.  Per preservare quell'uomo nuovo e difenderlo da quello che fu. 


Alcolizzati, si chiamano, quelli come mio padre fu.

02 December 2013

Il marito dell'altra panchinara (e.c.)

Non si vive solo di sogni romantici, ahimè, c'é anche da portare a casa la pagnotta. E come ha solo accennato in un post che parlava di panchine, di sport, di grinta ed entusiasmo, per Squabus il futuro lavorativo non è che sia poi così roseo,  per lo meno là sul binario dove si trova. Dovrebbe scendere dal treno, tirare fuori la mappa e studiare una via di fuga. Invece se ne resta lì seduta, si impegna a fare il suo dovere quotidiano, ma per il resto, guarda fuori dal finestrino, si gode il panorama e la piacevole compagnia, aspettando che un miracolo la porti da qualche parte, anche se sa bene che così perseverando non andrà molto lontano. Ma quella del treno, comunque, è un'altra storia.

Per dire che Squabus non è l'unica panchinara, Qualche giorno fa sulle scale ne ha incrociata un'altra, con cui chiacchiera talvolta. Ha un bimbo di 18 mesi e uno di tre o quattro, è panchinara da ben più tempo e gira voce sia in gambissima. Tanto che, dovesse liberarsi un posto da titolare, andrebbe certamente prima a lei, che a Squabus.


Squabus l'ha incrociata sulle scale, mano nella mano con un biondino alto intorno al metro, ma era incerta se fosse il primo o il secondo. C'era in quei giorni uno sciopero contro la riforma degli orari scolastici (altro argomento parecchio interessante su cui prima o poi un post ci dovrebbe proprio scappare), di bimbetti se ne sono visti un po' bazzicare per l'istituto.
- Ma che bel marmocchietto! E' tuo immagino?
- Si. 
- C'è sciopero anche oggi? 
La panchinara dice che no, che suo marito aveva un impegno e quindi le ha lasciato il piccolo per un'oretta.
- Ma perchè voi niente crèche (il nido)? Niente nounou (la tata)
Dice:
- No, mio marito è homme au foyer [che sarebbe come a dire che è casalingo stay at home dad***]
- Ma per scelta o necessità?
- No no, per scelta, dice lei.
- Ah! fa Squabus

La panchinara, apparentemente, ha un'altra marcia in più. E se anche le altre sono così, Squabus è spacciata.


***Errata corrige
OK, non chiamiamolo "casalingo," che implica una durata indefinita del suo status e poi non è  nemmeno una bella parola.  Chiamiamolo stay at home dad

21 September 2013

L'osteopata

da qui

 L'osteopata è davvero un gran tocco di gnocco...

...questo al chercheur non l'ho detto. Anche perchè, alla luce di tutto il resto, il fatto che l'osteopata sia uno gnocco colossale passa non in secondo, non in terzo, forse, ma forse, al quarto piano o giù di lì. 
L'osteopata me l'ha consigliato una collega. Non ho chiesto dettagli, pur avendo io ormai una certa esperienza, lei ha detto è bravo, io sono mi sforzo di essere una persona fiduciosa e ci sono andata. L'osteopata è un uomo di poche parole e mi ha fatto poche domande. Dove fa male? Spogliati. Piegati in avanti. Nessuna battutaccia prego, che non tira aria.
Alle risposte, comunque, l'osteopata pareva non prestare ascolto alcuno. Ne ho avuto conferma quando ad un certo punto mi sono fermata e lui niente ha continuato a massaggiarmi la pancia, pareva mi massaggiasse gli organi uno ad uno, che io parlassi o non parlassi era uguale. Eravamo lì, io sdraiata supina, praticamente ignuda. Lui, seduto afffianco a me, mani sull'addome delicate ma intense, gli occhi chiusi, faceva movimenti inconsulti del capo. Pareva in trance. Me lo figuravo intento a raccogliere le energie negative dal mio ventre e scacciarle fuori. Ho chiesto se potevo continuare a parlare. Ha detto si. Ma io, meravigliata e perplessa, mi sono bloccata, sono rimasta zitta e a lui in effetti non gliene poteva fregare di meno che io continuassi a spiegare o anche no. Ogni tanto gli squillava il telefono, si destava dal trance e andava a rispondere. Oppure tra una manipolazione e l'altra mi diceva si alzi e cammini un po', mentre lui si assentava per qualche lungo minuto.

Avevo cercato di ripercorrere la mia storia più che decennale di mal di schiena, e che sospettavo all'origine di questo epidodio ci fosse la mia prima ora di yoga dopo molto tempo.  Ha farfugliato ben poche cose. Lo yoga scatena le emozioni. Ma va? E comunque è il fegato. Il problema è il fegato. Il corpo è un tuttuno e la mia soffferenza di schiena viene dal fegato. E che il fegato è legato alla collera. I polmoni invece alla tristezza (mi s'è stretto il cuore a sentirlo). Che altro ha detto? Che il caffè fa molto male. Anche il latte fa molto male. Niente altro. Era la prima seduta. Io mi dicevo: questo è uno bravo, la mia collega non sembra una sprovveduta. Ora mi spiega tutto meglio. Cosa devo fare, come prevenire. Pur perplessa ho atteso pazientemente rispettosamente il momento della spiega.

Una spiega che non è mai arrivata, mi ha congedato dandomi frettolosamente un altro appuntamento. Io sono andata via furiosa ruminando sul da farsi. Poichè sono mi sforzo di essere fiduciosa, e un po' di domande ce le avevo, sono tornata la seconda volta. Senza trovare in lui una maggiore disponibilità a spiegare. Anzi, una certa dose di seccatura, perchè mi fai 'ste domande, qui ci penso io, non mi tediare. Si, ma perchè il latte fa male? Perchè dice che il mio problema è il fegato? Perchè lo dicono i test.
Punto.
Cioè scusa che ci hanno fatto studiare a fare? A me, ma soprattutto a te? Niente, fior fior di studi buttati al secchio. Perchè lo dicono i test, dice l'osteopata.
 
Comunque niente, il mio pare proprio non essere un problema meccanico, ma viscerale. Il fegato è il fulcro. E che dopo le manipolazioni è normale che mi senta molto stanca e affaticata. Perfetto, indovinate come mi sento ora? Maledetto. Che poi non è che io non ci creda. E' poi vero verissimo che io nelle ultime settimane ho mangiato ancor peggio del solito, se possibile. Ho bevuto parecchio caffè, per lo più decaffeinato, ma anche no, ho mangiato quintali di cioccolato, mancato porzioni di frutta e verdura. Non è peregrino che il mio fegato sia sofferente. La collera, poi, qui non manca mai. Di ragioni per essere arrabbiata ne ho sempre trovate più che disponibili. Al momento, per esempio, sono incazzata nera, ma proprio nera,  perchè mi sono appioppata un osteopata che non mi porta con sè. Si è preso in ostaggio la mia prescrizione del medico generico e dovrò trovare un modo per dirgli, no amico mio, se è vero che dipende dal fegato è bene che io mi trovi un altro osteopata o similia. E se invece non è vero, allora è bene comunque che me ne trovi un altro.

Peccato perchè questo, se parlasse, sarebbe veramente, ma veramente gnocco.


P.S.
Scrivevo questo sfogo sgangherato prima del terzo incontro. Adesso sono in attesa del quarto. Non riesco a smettere. E' che comincia a giocare anche una questione quasi sociologica. Medico-sociologica. Mi incuriosisce capire che c'ha nella testa. La trovo anche una sfida alla mia capacità di essere assertiva. Al termine del terzo incontro l'ho affrontato in maniera più chiara. Sono scoraggiata, gli ho detto, è chiaro (?! bugiarda!) che lei ha un progetto in testa, ma io soffro di mal di schiena da un paio di decenni ormai e di fisioterapisti et similia ne ho visti parecchi. Affidarmi, non sapere dove stiamo andando e come ci stiamo andando non aiuta, mi scoraggia.

Quel che mi ruga è avergli detto della mia passione per il cioccolato. E che lui abbia sentenziato: cioccolato eliminato.
Sob.

07 August 2013

Ho un piccolo annuncio da fare

E' successo, senza che io lo abbia deciso, in ogni laboratorio dove ho lavorato. Negli States c'è stata Hacca, in Olanda la Dottoranda Portoghese. Qui, ora, c'è il DottorandoDolce, che chiamero DiDì e si è già conquistato, proprio per la sua dolcezza, quel posticino del mio cuore che ha nome: il mio dottorando preferito. Didì viene da un paese dell'Africa occidentale, è sempre pacato e infinitamente gentile, anche se a volte dai suoi gesti trapela come un po' di stress. Quattro mesi che divido con lui l'ufficio, quante volte gli avrò chiesto: Tutto bene? No è che mi sembri un po' stressato... che è l'ultima delle domande da fare a qualcuno che è veramente stressato, ma se invece si ha il dubbio non conclamato, forse, e dico forse, la domanda è ancora accettabile. Lui comunque risponde sempre No, no, perchè me lo chiedi? E sorride timido coi suoi denti bianchissimi, tenendosi ancora addosso quell'aria nervosetta. Sarà, penso io...

Qualche giorno fa era il suo compleanno, compiva quasi 30 anni, non proprio 30, ma un poco meno. Devo ammettere che lo facevo più giovane. Didì, che sembra più giovane, è andato ad acquistare una bellissima torta al cioccolato con tantissima crema e  l'ha adagiata vicino alla macchinetta del caffé. Dopo pranzo ci siamo riuniti tutti per mangiarla, dove per tutti é da intendersi i superstiti delle vacanze estive, comunque un discreto gruppetto di 6 persone. Lui ci ha solo guardati mangiare la pannosissima torta al cioccolato, perché stava rispettando il Ramadan, che proprio in questi giorni è agli sgoccioli.

Si é seduto con noi ai divanetti, dolce e nervosetto, come da suo personaggio, timer in mano, in quanto nel bel mezzo di un esperimento. Nel giro delle due decine di minuti che siamo rimasti -noi sì- seduti a mangiare la sua torta, si é alzato due o tre o forse più volte per andare in laboratorio. Prima dell'ultima volta ha farfugliato delle frasi nervose, prima in inglese, poiché nel gruppetto c'erano le due giapponesine poco francofonofile, per poi passare al francese, perché forse lo imbarazzava meno.

In effetti, c'é una cosa che vorrei dire...
Vorrei prendere questa occasione per dirvi...
E' che... sono stato proprio uno stupido...
...a non dirlo prima...
Ecco, io...

io volevo dirvi che...
...ho un figlio...
E' nato a fine maggio...

E lo shock, mascherato da grandi sorrisi, si é impossessato di noi.

Noi tutti che cercavamo di dominare i milioni di punti interrogativi che si affacciavano alla mente.
Tutti noi tranne la dottoranda giapponese che un pochetto di francese lo parla ma non ci aveva comunque capito niente e ha dovuto chiedere lumi anglofoni. Dopodiché ridendo nervosa ha preso a ripetere:
Ma perché? 
Ma com'é possibile che non ci hai detto niente
E così via, in loop, come fosse un disco rotto, mentre noi altri cercavamo di spostare il fulcro del discorso. Anche se a lasciarla fare, la conversazione sarebbe stata un interessantissimo confronto tra civiltà lontane.

Io stavo seduta lì con uno sguardo di circostanza, mantenendo un sorriso nè troppo nè troppo poco, dicendo Mais Didì c'est merveilleux. T'as une photo du petit?
Intanto  pensavo un po' a tutte quelle volte che gli ho domandato se fosse stressato... e magari suo figlio stava nascendo. Ma soprattutto pensavo ad un batuffolino che sarà sì nato in un piccolo villaggio dell'Africa nordoccidentale, circondato da familiari e persone di fiducia e sorelle, cugine, e zie, e nonne.

Ma non c'era il suo papà. 
Non c'era ad aspettare fuori dalla stanza, non c'era il giorno dopo e neppure quello dopo ancora e così via, da fine maggio ad oggi. 

Ed è tanto dolce il suo papà, ma gli è scappato di annunciarci che sua moglie -salta fuori che è anche sposato, e almeno questo qualcuno lo sapeva- aspettava un figlio da lui. Poi gli è scappato anche di annunciare la nascita. E' che se taci per nove mesi, poi deve essere difficile...

Io, barricata dietro al mio sorriso, pensavo ad un batuffolino venuto al mondo col papà lontano, ma soprattutto zitto, e mi veniva un poco da piangere. E per quanto mi ripetessi come un mantra che si tratta di una cultura lontana anni luce e via così, non è che riuscissi poi tanto a guardarlo più negli occhi, il dottorando Didì.

Il giorno dopo ci siamo ritrovati soli in laboratorio. Io facevo bricolage cercando di domare a colpi di forbice una scatola di cartone, colpevole di avere le dimensioni giuste per trasformarsi in quelchedicoio. Lui pipettava silenzioso, finchè dal silenzio si mette a ridere, una risatina discreta ma udibilissima, poi rivelatasi essere il là per una conversazione che io direi avesse voglia di fare. Mi racconta che uno dei ricercatori ieri assenti gli ha mandato una mail di congratulazioni molto spiritosa. Perchè nel frattempo l'unico ricercatore che non era in vacanza, ed era seduto tra i sei in preda allo shock, davanti ad una torta panna e cioccolato, il ricercatore superstite ha pensato bene di diffondere l'annuncio per via telematica, che chissà quando a Didì gli torna il fiato per fare l'annuncio una seconda volta.

Insomma per fortuna con la scusa di questa email Didì torna sul tema per primo e ne possiamo parlare un poco, che io c'avevo un macigno.... Riesco a dire alcune cose col punto interrogativo alla fine. Non che poi riceva delle risposte che mi pare abbiano un senso, ma almeno ci ho provato. 

Dice che insomma era un evento lontano, che se il figlio fosse nato qui in Francia certamente lo avrebbe detto.
Che poi quel giorno che nasceva era domenica e lui si diceva che sì, che il giorno dopo era lunedì e lui lo avrebbe annunciato a tutti. Ma poi invece...
Riesco a dirgli che sì devo ammettere che ci sono un po' rimasta... non male... non giudico, ma... shockata, sì, devo dire di sì. Mi sento un poco stupida a pensare quante volte gli ho parlato del mio piccolo. E che vorrei lui sapesse che, anche se non siamo proprio amici, mi piacerebbe che sapesse che con me può parlare di qualsiasi cosa, anche che gli è nato un figlio a fine maggio. Insomma, la butto sul ridere, in fondo sono o non sono la maman du labò? Giusto qualche tempo fa mi hanno detto che proprio lui mi ha soprannominata così, saperlo mi aveva già riempito gli occhi di lacrime.

Continuiamo a parlare. Adesso sì.
Ora non sa se sua moglie e suo figlio verranno a vivere in Francia, ci deve ancora pensare. Gli sembra una cosa difficile da immaginare perchè lui lavora molto duro e non avrebbe tempo per badare a loro.
Vaglielo a dire, con la fatica che ha fatto finora per arrivare dove è arrivato, che il giusto è che lui lavori 8 ore al giorno, nè più nè meno. 

Lo capisco bene, ma lei avrebbe voglia di venire?
Non è importante cosa vuole lei, sta  a me decidere. E questo riesce a dirlo, comunque, con infinita dolcezza. Resto disarmata ma ci riprovo. Si, lo capisco, ma ti chiedo solo lei cosa preferirebbe?
Lei vorrebbe venire.

Ma da quanto sei sposato?
5 anni. Ha scelto mia madre e non è stata una scelta sensata. Veniva da un altro paese, non l'avevo mai vista. E' stato un problema. Infatti poi a causa della mia situazione abbiamo deciso che nella mia famiglia questo non sarebbe mai più successo. Quando dico famiglia, intendo una grande famiglia. Siamo tante persone. Penso che non succederà più che ad un uomo venga imposto di sposare una donna senza il suo accordo.
Be, spero che lo stesso varrà anche per le donne, che anche loro potranno scegliere.
C'è un attimo di silenzio, poi lui scuote il capo e mi fa, no per le donne è diverso....

Proprio su questo punto la conversazione viene interrotta dalla dottoranda giapponese, ucita nottetempo dal loop. Aveva bisogno del suo aiuto e lui, dolce e serafico come sempre, si è scusato ed è andato ad aiutarla. Lasciandomi lì basita, giusto a poche ore dalle mie ferie.

13 June 2013

io lo corro via

è bastata una manciata di giorni circondati da amici e tutto è stranamente come crollato. Sono indietro su tutto. Indietro fuori e anche dentro. Tantissimi i bei post che vorrei commentare e ogni giorno resto sempre più indietro.

Non erano amiche qualsiasi. Erano le mie amichette olandiche che venivano in zona per una conferenza (alla quale, tra l'altro, sarei dovuta andare anche io ma non sono stata abbastanza furba. Non mi do pace per la mia poca lungimiranza). Le mie amichette giovani e un po' più spensierate, ma neanche poi troppo, ché la vita ti da pensieri a tutte le età.

Mi sono anche seduta allo stesso tavolo con il mio ex-capo. Quell'omone lì. Bravo, comprensivo. Probabilmente più furbo degli altri, ma che intanto ti fa sentire apprezzata e considerata
Esattamente negli stessi giorni, che strana coincidenza, al lavoro il mio capo attuale mi fa la mancanza di considerazione n+1. E poi arrivavano delle brutte notizie. Oddio non proprio brutte, ma belle per qualcun altro, non certo per me. E diventa importante ricominciare la ricerca, la ricerca di un futuro stabile. La cui mancanza mi pesa più che mai.

E allora è persino banale provare di nuovo quel pizzico al cuore. Quella nostalgia fortissima d'Olanda. Di quel lavoro dove avevi conquistato tutto e soprattutto te stessa. Degli amici che ti venivano a trovare quando Pistacchio era minuscolo. E se lo coccolavano.

E se lo sono coccolato ancora, anche se grande, grosso, bipede, sorridente di un sorriso anche con gli occhi. Che chiude a mezzaluna, come nei cartoni animati. Come il suo papà credo. Mi sono ritrovata ad un tavolo con Spilunga, davanti ad una tazza di te, che continua a raccontarmi pezzettini della sua storia. Lei serena, mentre io piango quello che lei non potrà mai avere. Lei scoppia in una risatina tenera e dice è mai possibile che ti faccio sempre piangere.

E sarà anche la tempesta ormonale che sento in corpo. 4-5 mesi dopo la fine dell'allattamento mi sembra di essere tornata la bomba ad orologeria di prima. Un anno e mezzo di vita in una bolla ovattata è stato un regalo prezioso. Ora toccherà combattere di nuovo con l'ormone. Non so come fate voi, ma io lo corro via, o almeno ci provo. A colpi di molecole buone. Pistacchio ha appena avuto il suo latte, io mi infilo le scarpette e vado a correre per il quartiere senz'anima.

06 June 2013

Critica al mammocentrismo - parte seconda (del farsi da parte)


Si, ma tu Squa che cosa pontifichi a fare? Certo è facile per te dire che sarebbe bene se le mamme non stessero al centro. Tu c'hai un compagno super presente (tecnicamente parlando un marito, ma la parola compagno mi piace di più). Ecco, appunto, è proprio qui che mi voglio. Io per prima tesso sempre le lodi del mio compagno per essere il mio socio paritario in questa avventura. Se non lo dico esplicitamente, penso costantemente quanto sono fortunata rispetto alla media di quello che vedo o sento. Sto pensando, però, che mi faccio un gran torto in questo modello di pensiero tutto gratitudine e fortuna cascata dal cielo. Ne ho abbastanza di essere sempre così avara di meriti con me stessa. Io sarò anche fortunata, ma sono anche artefice attiva di questa fortuna. Che ho assecondato, coccolato, curato come una cosa preziosa.  La materia prima c'era indubbiamente, ma poi io me lo sono voluto meritare un compagno socio paritario in azioni.


Flashback fine febbraio 2012
Il Pistacchio ha poche settimane, suo papà allo scadere della seconda è tornato a lavorare. Per me  giornate intere a casa con un fagottino ancora tutto da capire. I punti che per una serie di circostanze hanno quasi fatto infezione e non si rimarginano mai. Le difficoltà infinite con l'allattamento. Un'ora per poppata, otto volte al giorno, lo sfinimento. Le coliche delle 18 circa, ogni giorno. Dedicarsi completamente a lui. Inventarsi una giornata.
C'era poi un momento un po' magico in cui papà tornava a casa dal lavoro, ad interrompere quella solitudine. La solitudine per eccellenza, quella di una mamma sola con il primo. C'erano i biberon di mezzanotte con il latte tirato al primo mattino, quando era abbondante. C'erano i turni. Io a letto prestissimo, dopo la poppata delle 20, poi papà era on duty per preservare le mie ore di sonno, nella fascia oraria per me preziosa. E benedetta sia sempre la nostra complementarietà del sonno.

In quelle settimane iniziali la prima crisi, santa crisi e santo chercheur che gli ha saputo dare voce. Però brava pure io che ho saputo capire, senza neppure formalizzarlo a parole. Lo sto facendo adesso per la prima volta. E' stato quello il punto centrale della questione. Lì nasceva il quattromanismo, con una sorta di giuramento, di promessa, di fiducia che qualcuno sentiva dovesse essere accordata. In quelle settimane avevo ovviamente accumulato distanza conoscitiva sulla *materia Pistacchio*. Dopo due settimane di luna di latte, adesso ero io sola a passare tutta la giornata con lui e lo scarto di conoscenza cominciava a pesare.
E' febbraio 2012 e noi stiamo parlando di tettarelle da lavare o di orari, non ricordo. Forse sono particolarmente stanca o forse nervosa. Il chercheur ad un certo punto mi dice: ...io però così non sono sereno. Ho paura di te, mi sembra che per te ogni cosa che faccio con il piccolo non vada bene. E io che mi sciolgo in tenerezza. Perchè io non pensavo assolutamente in quei termini. Non lo pensavo razionalmente, non lo volevo pensare, ma probabilmente il mio atteggiamento lasciava trasparire un qualcosa tipo: io so cosa è bene per il mio piccolo, tu no, quindi fai come ti dico e punto. In queste circostanze il messaggio che arriva ad un padre spaventato e rimasto indietro è: solo io, mamma, sono in grado di occuparmene come si deve. E' poi vero che in quella fase si è abbastanza leonesse, non è vero? Guai a chi si avvicina al mio piccolo, alla larga. Ecco perchè il momento delicato con un papà che vuole occuparsi della prole è proprio questo (se non c'è volontà allora inutile che ne stiamo a parlare).

Se non aiutiamo i nostri compagni (quelli che vogliono, beninteso) a recuperare lo scarto che la natura ed i ritmi di vita, e per esempio un lavoro impegnativo, (im)pongono. Se li teniamo al di fuori, è chiaro che faranno fatica a sentirsi parte di quel meraviglioso tutto.

L'immagine che mi appare è quella di una mamma con suo figlio in braccio ed una sorta di  cerchio intorno. I padri si sentono irrimediabilmente fuori da questo cerchio, fatto di mesi di grembo materno, travaglio sulla nostra carne, tempeste ormonali, fiumi di latte. Ci guardano da fuori con sentimenti misti suppongo. Vivono spesso tutto questo anche con una sorta di senso di colpa.
Quello stesso senso di colpa ci garantirà, se lo vorremo prendere, la detenzione di un potere forse (ma solo forse) ancestrale. Lo strofinaccio power, di cui parlava in modo molto interessante Lorenza, qui.

Io credo valga la pena rompere questo incantesimo.

Allora potremmo alzare lo sguardo dal nostro piccolo attaccato al seno, prendere per mano il suo papà ed invitarlo nel cerchio.  E qualche volta magari lasciargli anche tutto lo spazio, restare un attimo in disparte a scattare una preziosa foto, anche mentale.


18 May 2013

Critica al mammacentrismo - parte prima (o dello spazio genitoriale)


da qui



Ho scritto una cosa forte e so potrà essere usata contro di me.
Tanto Squabus è quella che lei per prima non si fida di sè come mamma, che stai pure ad ascoltare quel che dice? Eppure io non posso negarlo, è proprio così. Nella mammitudine, come nella vita tutta, la mia unica certezza è il dubbio.


15 May 2013

quando un papà fa il papà


Le riflessioni sul mammocentrismo sono rimaste un po' in sospeso, non che le abbia trascurate. Seppur nell'ombra, lavorano, si confrontano e cercano di prendere forma. Intanto oggi faccio una cosa che non va neppure troppo fuori tema e che avrei voluto fare il giorno della festa della mamma, ma poi mi sono persa via, che peccato.

Devo, assolutamente devo, imprescindibilmente, allegramente, voglio aderire ad una iniziativa bellissima promossa da Daniele di BabbOnline. E sono contenta di farlo proprio in coincidenza del suo bellissimo ultimo post:  “...io che non parto e sto a guardarti e che rimango sveglio...” . E le sue parole le voglio anche incorniciare. Perchè restare può non essere rinuncia, ma la conquista più grande.




13 May 2013

Il romanticismo, il chercheur e le sue domande (III)


Giorni mio malgrado un po' cupi. Inaspettatamente, ma in fondo anche in seguito ad una certa logica, a pensarci su. Il dolore non si può ignorare, ma allo stesso tempo l'allegria bisogna coltivarla, nevvero? Lo sa anche il chercheur che mi vede cupa e con amore si mette ad ararmi il campo tutto intorno. Viene con me nel campo dei sentimenti e punta il dito: guarda un po' là, questa forse va estirpata, è malerba. Invece va' là che bella piantina, forse un po' d'acqua....

Lui non è un uomo da gesti eclatanti, e anche le feste non esistono, non Natale, non i compleanni, figurarsi le feste delle mamme. Lui è uno che è festa tutti i giorni, oppure niente. E le attenzioni e l'affetto si toccano con mano, ogni giorno, sempre. Che è quanto di più bello, anche se bisogna immaginarsela una vita a non avere mai, ma dico mai, un pacchetto da scartare. Però di fronte a due occhi cupi un giorno di troppo, pacchetti sempre niente, però si concede a gesti straordinari.

26 April 2013

Mamma a tempo pieno ?

Della serie Parole da incorniciare, per guardarle a lungo e rifletterci parecchio. Parole proprio importanti, utili, inspirational o semplicemente belle. Mentre il blog scorre via, per definizione, provo a farne istantanee che so un giorno avrò voglia di riguardare.



qualche giorno fa scriveva del lasciare il lavoro per dedicarsi a fare la mamma a tempo pieno. Cito solo la fine del post. Che è un post bellissimo che mi ha toccato un po' di corde critiche per così dire.  
Forse è vero, forse una donna che sceglie di non essere indipendente economicamente decide di mettersi nelle mani di un uomo. Il fatto, però, è che una donna, con tutti i suoi sogni, in due mani non ci sta. E allora preferisco pensare alle braccia di quest'uomo. Braccia che stringono, e accolgono, e sostengono. Senza essere proprietarie.

02 April 2013

Logi(sti)ca-mente

Vacanza finita :(

Una vacanza che ha fatto bene più all'umore che al corpo. Non è che ci siamo riposati più di tanto, non siamo riusciti neppure a fare troppe chiacchiere adulte, complice anche la presenza di bimbe nottambule. Però il Pistacchio si è sicuramente rifatto della quattordicigiorni di clausura. Ha riso e sorriso agli zii, alle bimbe e al cagnetto Iuppidù, con pura gioia. E' tornato la maschera della felicità. Noi stanchi ma felici, soprattutto per lui devo dire. Il potere della comunità sullo spirito, si diceva poc'anzi.

Domani si torna al lavoro – per me dopo 6 mesi di pausa. Ed eccomi tornata alle mie riflessioni. Sto pensando che la logistica fa tanto, credo che abbia addirittura a che fare con la felicità. E se non proprio con la felicità, con la serenità che permette di potersi godere una felicità che magari c'è ma non si estrinseca sempre come si deve.

19 March 2013

Genitori a quattro mani


Caro Pistacchio,

devi sapere che genitori a quattro mani lo siamo stati fin dal primo giorno. 

Fin dall'affacciarsi delle due lineette. I tempi erano così duri che sentivamo di doverlo dire alle persone più vicine, anche se era davvero troppo presto. Come dire, se non ci riusciamo noi, aiutateci voi a difenderci da  tutta quella sofferenza, capitata esattamente insieme alla gioia più grande. Così, per proteggerti, abbiamo annunciato subitissimo che eravamo incinti.
Eravamo così indissolubilmente incinti che siamo andati insieme mano nella mano a praticamente ogni visita ed ecografia. Ci tenevamo per mano e ci commuovevamo a sentire il tuo cuore.

Genitori a quattro mani perchè lo siamo spesso letteralmente. Per tutte quelle volte che ci troviamo in  tre sul fasciatoio... sembrerà assurdo a chi non pratica il parenting a quattro mani, ma fin dalle tue prime settimane abbiamo trovato molto meno faticoso cambiarti insieme tutte le volte che era possibile, piuttosto che cambiarti da soli la metà delle volte. Non significa che non ne siamo ed eravamo perfettamente capaci individualmente. Solo che a quattro mani è più facile... e anche bello.  Si chiama effetto cooperativo e non è una nostra scoperta.

16 March 2013

Mamma che lavora a tempo pieno. Ma chi io? (Gulp)

Un post che vuole raccontare una situazione vissuta come discriminazione di genere.  
Impercettibile, involontaria ed inconsapevole, quindi pure in qualche modo peggiore.
Un post forse (ma forse, non so mica) un po' paranoico che spera di essere letto e commentato anche da uomini. Così per capire il livello di paranoia registrato da altri da me. Altri anche in senso di genere.


Era gennaio. Un gruppo del centro nazionale di ricerca francese mi contatta. Il curriculum fitta, le mie motivazioni giudicate molto buone, mi invitano quindi per un colloquio con il direttore del gruppo, poi un secondo coi suoi collaboratori. Il direttore mi offre il posto ed allora io avanzo la mia richiesta di un contratto all'80%. Dice che si informa, poi organizza un incontro per discuterne con quella che chiama la gestionnaire (che già suona malissimo, pòrella - n.d.Squa: sarebbe la segretaria amministrativa dell'istituto). Essendo un posto in una struttura pubblica, sapevo già che non ci sarebbe stato il minimo spazio per negoziare alcunchè a livello economico.

Ma a me più che della pecunia, interessa del mio tempo. Anche se non c'è spazio a negoziare niente altro sono comunque fermamente decisa a difendere almeno il Mamadag

14 March 2013

Elucubrazioni su 3,4,5 giorni di nido

Sottotitolo: Papadag non pervenuto e anche Mamadag minacciato
Intimamente e sinceramente disposta a volgere al nuovo, al bello, al sole... il problema è che mi sento fisicamente ed oggettivamente una ciofeca. Al momento reduce dal quinto o sesto piccolo ma invalidante malanno da quando il 2013 è tra noi. Come non bastasse, anche un maldischiena tutto nuovo, che quelli di prima si erano stufati di me ed hanno mandato il compare sconosciuto, ugualmente rompipalle, ma di diversa natura.
Intanto il tempo sta per scadere e tra due settimane o poco più mi ritroverò tra i banchi di un nuovo lavoro.


08 March 2013

Mamadag

Sottotitolo: la mia esigenza di parità

Disclaimer: le cose che racconto e i dettagli che preciso, si riferiscono al pezzettino di mondo in cui ho vissuto io: un lavoro in una università di una piccola cittadina medievale e deliziosa. Potrebbero non applicarsi ad altri contesti olandesi


Mamadag, parola olandese (e figurarsi se non si tornava all'Olanda... mi si perdonerà) che significa giorno della mamma. E' quel giorno della settimana che la maggiorparte delle mamme lavoratrici olandesi stanno a casa dal lavoro per i primi anni di vita dei loro figli. Ripeto ancora una volta che questo applica per lo meno alla realtà che ho vissuto io.


03 March 2013

Metti DAVVERO una passeggiata con Biancume


Prego andare a visitare il post gemello più bello su VolevoChiamarleFrida
A spasso con Bianca per il quartiere di Figuerolles (Montpellier) e dintorni

Ho incontrato Bianca un venerdì mattina di sole e cielo blu. Lei aveva già cominciato la sua photo-session. Sono scesa dal tram a Plan Cabanes e ci siamo subito infilate nei vicoletti.


Questo è lo scorcio che sicuramente ci è piaciuto di più. Una libreria dall'aria intrigante. Eravamo troppo settate in modalità street-view per pensare di entrarci. Ci sarà occasione.