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19 May 2013

so solo che il mio fratellone stanotte stava diventando papà

Ma non ho ancora notizie. Sono qui attaccata a uazzap cercando di distrarmi e intanto penso a te, fratellone, e a tutta la strada che hai fatto.

In questa mattinata che forse papà lo sei già, chi lo sa?, penso a tutto il mondo che hai dentro, anche tu, del quale in fondo conosco poco. Conosco le difficoltà da cui sei arrivato e so che sono state anche più dure delle mie. Per te ho la stessa pena che provo per me.

Non è mai facile entrare in comunicazione col tuo mondo, te che a certe situazioni ti sei sempre sottratto.  Te che in ospedale in quelle ultime settimane non riuscivi a venirci. E lo dicevi, io non ce la faccio. Eppure lei, tra noi tre, era a te che affidava i suoi pensieri. Un giorno dovrò avere il coraggio di chiederti quali.

Te che è successo proprio come aveva preannunciato la psicologa del reparto di oncologia. Avevo chiesto un colloquio con lei per noi tre, temendo che la situazione sfasciasse quel fragile legame fraterno che appena appena ci univa. O dovrei dire univa debolmente voi due, tu ed il piccolo, ai miei due fianchi. Io bene o male sono riuscita sempre a tenermi collegata ad ognuno di voi.
Lei ci disse di essere indulgenti l'uno con l'altro. Che era importante che ognuno di noi riuscisse a perdonare la mancanza di risorse degli altri. Che magari dove non arrivava uno sarebbe arrivato l'altro e viceversa. Di apprezzarlo e di non barricarsi nel tu che non sei, tu che non fai, tu che non hai...
Cosa che il piccolo non riusciva a capire,  chiuso in una vera e propria fortezza di tu che non... Ma io, che sto in mezzo da sempre, una vita di mezzo, io ne ho fatto tesoro mentre cercavo di tenere insieme le fila. E al piccolo, col quale condividevo quei giorni, continuavo a ripeterglielo, che tu non ce la facevi. E di perdonarti.  Gli dicevo di ricordarselo quando sarebbe arrivato quel qualcosa che fosse per lui insormontabile.

E infatti. Sei stato tu a mandarmi quell'sms, COn quelle parole, che lo sapevo che dovevano arrivare, ma speravo arrivassero lasciandomi il tempo di occuparmi della nuova vita che avevo in grembo e tornare indietro. Invece quelle parole mi hanno colta all'atterraggio in Olanda dall'Italia. Nel momento in cui lei se ne andava anche io ero in volo. E' te che ho richiamato  dall'aereoporto di Schiphol, perchè nessun altro aveva avuto cuore di chiamarmi, nè papà, nè  il piccolo col quale avevo condiviso il suo capezzale e che ti aveva tanto biasimato
Lui che era sempre con me in ospedale e lui sì la faceva ridere. Io manco per niente, io ero quella che ad un certo punto dovevo scappare da qualche parte a piangere. Il piccolo invece aveva sempre la battuta giusta, ma al momento del volo si è sentito mancare. E io con lui. Tu invece è qui che hai preso il testimone, e come aveva detto la psicologa del reparto di oncologia, sei arrivato dove noi non avevamo la forza di arrivare.

Tu hai contattato le pompe funebri e ti sei occupato di tutto. Ma come ce l'hai fatta? Tu le hai fatto una foto e mi hai scritto che aveva in viso un'espressione di pace. Credevi questo potesse placare lo sconquasso che avevo in cuore. Ho provato almeno gratitudine, anche se non mi ha sollevata e non ti ho mai chiesto di mostrarmela. Quando, per l'ennesima volta in poche settimane,  sono riuscita a riatterrare dal lato di mondo dove avrei dovuto rimanere - e mai riusicrò davvero a perdonarmelo fino in fondo- sono corsa a ritrovare per l'ultima volta il suo viso. Non ti ho detto che non era esattamente come me l'avevi annunciato. Non ho visto quella pace che mi avevi detto ed è stato terribile. Quando mi rivedo aggrappata alla sua bara in preda alle convulsioni, provo tanta pietà per me. Tu stavi fuori solido come un pilastro e quando sono uscita mi hai abbracciato stretto, senza dirmi una parola. Non era come mi avevi detto tu, ma forse i tuoi occhi avevano visto quel che io no riuscivo a vedere.

Ma adesso basta con i pensieri tristi. Avremo tra poco di nuovo qualcosa di bello da celebrare.   Sono emozionata ed insieme inquieta. Forse anche tu sarai triste che lei non ti abbia conosciuto papà. Ma allo stesso tempo, ti auguro con tutto il cuore che questo dono prezioso ti rimetta un poco in pace con quel mondo, come è stato per me. Che rappresenti un nuovo inizio in cui perdonare tutte le difficoltà che ci hanno segnati.  Ti auguro...

E adesso che uazzap ancora tace, io non ce la faccio e vado a chiedere novelle.


07 April 2013

nasce il ripostiglio

Questo blog è nato in Francia. L'ho portato con me negli Stati Uniti, poi in Olanda, poi l'ho messo di nuovo in valigia e ce ne siamo tornati in Francia. Alla fine del 2013, zitto-zitto,  compirà 8 anni.

Mi fa molta impressione pensarlo perché è rimasto a lunghissimo un diario che era sì pubblico, ma neanche poi davvero, in fondo.  Non cercavo links -blogspot non aveva ancora i followers, o se ce li aveva io non li conoscevo. Leggevo molti altri blog, ma non commentavo e me ne stavo nel mio cantuccio. Volevo scrivere, quello sì,  ma in qualche modo non ero pronta per un vero confronto. Insomma c'avevo un blog, ma  non ero mica pronta a fare blog, che alla fine significa soprattutto confrontarsi.
Recentemente ho riletto Squabus da cima a fondo. Ho sistemato un poco le etichette, ho raccolto quel che mi è più simpatico sotto l'etichetta piezz 'e core.  Ci sono cose che avrei voluto cancellare, ma poi non ho fatto. Non ci sono cose che avrei voluto ma non ho postato. Da qualche tempo mi è chiaro che qualcosa è cambiato ed è ancora in corso di cambiamento. Non è la prima fase metablogica e sicuramente ne verranno altre, ognuna diversa. Ogni volta è un po' come se dovessi decidere se liberare Squabus (e cioè chiudere il blog). Ecco, ancora una volta, non sono pronta. Forse invece finalmente sono pronta a farlo questo blog. Il prossimo sarà il trecentesimo post  e voglio farne una cosa simbolica. Creo un ripostiglio.

Volevo, non volevo essere letta. Forse il *pudore* mi ha fatto perdere molto più di quanto avrei potuto *avere* (ma non è la parola che cerco) andando oltre la timidezza e l'insicurezza.  Quel che mi bloccava era il fantasma di un'intimità che non volevo tradire. O forse la vergogna. 
C'è un pensiero che sento prendere forma. Per quanto si possa raccontare, per quanto private possano apparire le cose che si scrivono,  l'intimità si trova oltre ogni cosa dicibile. Tutto quel che si riesce a dire è condivisibile, per sua natura. Incondivisibile è invece l'ignoto, sul quale è importante lavorare, soprattutto se fa paura.
Quanta più paura fanno i contorni della nostra intimità dicibile, tanto più importante e fondamentale  sarà la catarsi. Scriverne.

Così è nato il ripostiglio.


Post Scriptum
L'ho chiamato il ripostiglio per un gioco di parole: ri-post-iglio.
O anche RIP-ost-IGLIO.
Ma soprattutto per contrasto. Se nel ripostiglio ci si ficca tutte quelle cose che non servono ora o non servono mai, qui invece voglio raccogliere le cose che vorrei sempre con me. Oppure che vorrei con me in un altro modo, perchè così come sono non va bene, non mi fanno bene.

Fanno parte del ripostiglio:

Ne faranno mai parte?
  • Perdonare il sollievo  - un post spostato e difficile

29 March 2013

Iso-lamento

Il dodicesimo giorno


Al dodicesimo giorno di semi-reclusione abbiamo cominciato a dare segni di squilibrio. Virus intestinale debellato, altri malanni sembravano rientrati nella norma. Eppure al dodicesimo giorno ho sentito il crack. Era un avvertimento che ho preso molto sul serio.
Per fortuna oggi, che è il quattordicesimo giorno, l'isolamento finisce. Con oggi basta mamma, papà (quando non lavora o non parte) e Pistacchio isolati. Andiamo in vacanza con la zia Mila, zio Sciro, Teta (la nipotina della varicella spaziale), la sorellina piccoletta e pure il cane Iuppidù. Santa zia Mila che si è occupata di tutto con l'entusisamo e la managerialità che la caratterizza. Ci porta tutti in vacanza.  A metà strada tra loro e noi, che al momento siamo ancora qui sull'isola. Torneremo lunedì. Poi martedì sarà una vita nuova di pacca. Gulp. Il gulp mi accompagna sempre.

19 March 2013

Genitori a quattro mani


Caro Pistacchio,

devi sapere che genitori a quattro mani lo siamo stati fin dal primo giorno. 

Fin dall'affacciarsi delle due lineette. I tempi erano così duri che sentivamo di doverlo dire alle persone più vicine, anche se era davvero troppo presto. Come dire, se non ci riusciamo noi, aiutateci voi a difenderci da  tutta quella sofferenza, capitata esattamente insieme alla gioia più grande. Così, per proteggerti, abbiamo annunciato subitissimo che eravamo incinti.
Eravamo così indissolubilmente incinti che siamo andati insieme mano nella mano a praticamente ogni visita ed ecografia. Ci tenevamo per mano e ci commuovevamo a sentire il tuo cuore.

Genitori a quattro mani perchè lo siamo spesso letteralmente. Per tutte quelle volte che ci troviamo in  tre sul fasciatoio... sembrerà assurdo a chi non pratica il parenting a quattro mani, ma fin dalle tue prime settimane abbiamo trovato molto meno faticoso cambiarti insieme tutte le volte che era possibile, piuttosto che cambiarti da soli la metà delle volte. Non significa che non ne siamo ed eravamo perfettamente capaci individualmente. Solo che a quattro mani è più facile... e anche bello.  Si chiama effetto cooperativo e non è una nostra scoperta.

20 January 2013

Try

... piu' che un post, mi sa che per un po' lascio fare a lei...





Ci stai provando, non si può dire che no.
Certo però che se provi un poco più forte...


 Faceva un freddo fuori luogo a queste latitudini, ma tu sei uscita leggiadra e leggerina, come andassi incontro alla primavera. Sei proprio una sprovveduta. Una volta sulla banchina del tram già battevi i denti, ma non volevi tornare indietro, quasi l'incantesimo si rompesse.
Hai studiato veloce il tabellone delle partenze e poi hai preso il primo treno utile nell'economia, monetaria, ma soprattutto in termini di tempo a disposizione prima dell'uscita del Pistacchio dal nido.
Il treno che hai preso, guarda caso, era diretto a Portbou. La Spagna, e le città di frontiera, ti fanno sempre l'occhiolino, sei tu che glissi.
Come una viaggiatrice consumata, in stazione hai acquistato un croissant e la gazzetta di MontePello. Poi ti sei diretta sul binario, sei salita su un treno più o meno qualsiasi. E nel solo francare gli scalini hai frantumato la caja.


17 January 2013

Depressione bianca

! Avvertenza: post a rischio pippone a vari, ancora sconosciuti, livelli... un pippone sulla fatica del terzo espatrio (quarto se lo stesso paese vale 2 volte, come in effetti dovrebbe), la fatica del terzo trasloco in meno di un anno (di cui uno con un pancione galattico, gli altri con pargolo tra gli 8 e 10 mesi). O anche su come sia difficile (in più di un senso) non solo banalmente trasferirsi, ma emigrare, espatriare, se non in un paese sconosciuto (almeno quello), in una città nuova, con un bimbino di 8 mesi al seguito. O anche, gettonatissimo, un pippone su come si stava bene in Olandia, nonostante la pioggia ed il gelo. Chè non è tutto felicità là dove batte il sole. 


 Mò che hai detto i titoli, cara la mia Squa, magari puoi anche esimerti da sfracellare la minchia con sti pipponi noiosi ed inutili. Ed il pippone magari lo si fa a te, che te lo meriti pure.


 Squa, tu latiti.

14 July 2012

di cosa fa latte e cosa no

Prima di tutto, anche se in ordine sparso, recitare fa latte. La mamma sul palcoscenico fa latte, il bimbino la cui mamma è andata a fare l'attrice è contento. Per non raggiungere livelli troppo allucinanti di devastazione, è bene poi anche che lo spettacolo sia finito, insieme a quella serata, la prima di fiesta nell'ultimo anno forse. In cui ti sei sentita finalmente di nuovo un animale sociale, hai parlato con sconosciuti al baretto del teatro giovine e frizzante. Anche tu eri giovine è frizzante. Hai ballato e saltato con i compagni, hai riso tantissimo e sentito quella gioia sincera e profonda. E pure la soddisfazione di aver fatto ridere tutte quell persone. E la lusinga dei fiori sul palco. Non mi voglio perdere nessuna di queste fotografie mentali. E poi, eppure sei appena stata su un palcoscenico per un'ora e mezza.. la timidezza ed il non riuscire a dire ai compagnucci quel grazie di cuore che sentivi dentro tutto per loro. Ce n'è anche uno, diverso per il compagno di vita che ti ha 'coperto' tutte quelle sere di prove. Con l'entusiasmo, che mi piace parecchio non di chi 'copre', perchè non c'è nessun buco da coprire, ma c'è spazio da prendersi come papà, un magnifico papà che fa ridere il suo bimbo a crepapelle solo a guardarlo. Invece a voi compagni attori avrei voluto dire quel grazie lì di gratitudine. Per aver avuto pazienza con questa ragazza stagionatella e mamma, fin da quando ero mamma ancora solo di un pancione. Ed ero troppo stanca per venire alle prove. Fino a quell'ultimo 'scusate stasera non ce la fo' proprio', che poi nella notte si ruppero le acque... Poi avete avuto la pazienza del mio puerperio, in cui ero impegnata ad entrare in un altro personaggio. Finalmente sono tornata e siete stati pazienti ed accoglienti con me che ancora dovevo recuperare tutto. E col vostro aiuto ce l'ho fatta. E gli ultimi giorni di prove e poi quelli di spettacolo sono stati giorni duri e bellissimi che mi hanno fatto serntire viva che più viva non si può. Che bello... Che il teatro fa latte voleva essere solo l'inizio di miriadi di racconti.. facciamo che per oggi è anche la fine. Per ora.

08 November 2011

i doni e le croci


... un post forse ancora piu' sfacciato di quando non vorrei essere sfacciata...


Nelle mattine insonni, quando e' ancora notte e mi sveglio per accompagnare il giorno che nasce...
...e mi piace moltissimo ed e' per questo che poi succede ancora ed ancora: perche' quando apro gli occhi sull'ora, anche se e' piccola, quel brivido di adrenalina per il nuovo giorno che vedro' nascere, mi sveglia, mi porta dolcemente fuori dal letto. Una sorta di fame di vita...
Nelle mattine insonni, cercavo di dire, avrei voluto scrivere -per esempio- di come e' stata la prima volta al corso di yoga in gravidanza. Del posto che chiamava rilassatezza, tutto legno e luci soffuse. Di questo gruppo di donne tutte panciute che mi sono trovata intorno, adagiate su materassini, ricoperti di coltri, pieni di cuscini. D'incanto la mia pancia non era piu' l'unica ed ognuna delle pance intorno aveva una forma, dimensione, sapore diversi. Poi la maestra yogi ci ha dato il benvenuto con voce lieve. Le donne panciute si sono presentate ad una ad una ed e' arrivato alche il mio timido turno. Ik ben Squabus, ik ben drieëntwintig weken zwanger... e non e' che capisco proprio tutto-tutto quello che dite, volevo aggiungere. Ma forse si e' capito da se'. (Rilassarsi con il cervello in tensione per la comprensione ultima non e' totalmente possibile. Ma almeno il luogo e la compagnia sono magici.)


Volevo scrivere di questa e di altre storie di prossima mammitudine, nelle mattine-notti di amata insonnia. E volevo sriverlo con tutta la poesia che sento, sdolcinata e timida come il primo bacio. Emozionata.


E pero' ogni volta che mi rigiro un post panciuto in testa, mi passano per la mente anche altre cose e pensieri, delicatezze, pudori, che non sono pudori di se', ma dell'altro da se'. E poi una cosa che e' successa qualche settimana fa.
Io ed una fanciulla, che chiamero' Spilunga, ci siamo prese un giorno libero e siamo andate ad Amsterdam a passeggio. Era una giornata magnifica, come un richiamino di sole prima dell'autunno che arriva. Avevamo una scusa scientificoculturale per andare, ma il fulcro era il sole e passeggiare e chiacchierare lievi e ridere.
Spilunga e' una ragazzona grande, alta, due spalle cosi', fisico scultoreo, simpatia contagiosa. Insieme alle altre ragazze mi coccola in questa magnifica fase panciuta. Tutte partecipi, carine, attente. Come MissB che mi sfiora delicata la pancia ogni volta che mi passa vicina nei corridoi e sorride. Come Minuta che, tra tutti i vini, mi porta la limonata a cena e apre il minuscolo pacchettino che ho preparato per annunciare l'evento. Quando ci trova una piccolissima marionetta, di quelle che si attaccano al dito, ed un bigliettino che dice piu' o meno: "cosi' hai il tempo di allenarti per giocare col piccolo in arrivo" (ma in inglese suonava meglio)... scoppia a piangere di gioia. E poi Spilunga, che chiede quando andiamo a comprare baby-stuff?? E a passeggio per Amsterdam -impaziente- compra per Ello il libricino che lei preferiva quando era bambina.


Poi andiamo a bere un te all'aperto e, in quel sole sfacciato di quasi-ottobre, siamo sedute a ricevere grate tutta la luce che possiamo. Ad un certo punto lei mi guarda la pancia, che comincia appena a vedersi, fa come a raccoglieri e mi dice: I am so jelous. E sorride.
E io la guardo negli occhi e nel suo sorriso -Spilunga classe ottantaequattro- e la rassicuro che c'e' tempo. E se davvero pensa che non ci sia tempo da aspettare, che si lasci andare, che' tutto prende ad avere talmente senso quando si smette di cercarlo con la ragione (e questa e' parte di tutta un'altra riflessione-rivelazione-folgorazione che fa parte dei miei fitti pensieri panciuti e che qui rimarra' nell'aria).

Lei pero' scuote il capo sicura, sta ancora sorridendo, ma di un sorriso che soffre. E mi racconta lieve, senza mai smettere di sorridere, che per lei non ci sarà tempo. Sicuro che no. Perche' non c'e' spazio, non c'e' luogo in lei dove un seme possa farsi frutto. E mi spiega e d'improvviso mi sento -di nuovo- piccola, cosi' piccola e dispiaciuta per lei. L'abbraccio e piango con lei che ancora sorride e si scusa e mi prega che non vuole che questo comprometta la condivisione delle mie gioie panciute a cui lei tiene molto. Che e' per questo che se lo tiene ostinatamente per se' questo segreto. L'abbraccio e la ringrazio di cuore per avermi aperto la porta. Parliamo di mille cose tutto attorno a questo. Le chiedo come fa a sopportare questo peso in silenzio. Che' io -almeno questa nuova io- lo direi forse subito. Che non e' sopportabile portarsi questo fardello da soli in un mondo che non fa altro (o sembra solo a me?) che chiedere alle donne: quando? Che per me alla soglia dei trenta la sofferenza, o dovrei dire insofferenza -quando le persone chiedevano, indelicate e indiscrete, e alludevano a bimbi- non era semplicemente tollerabile. Bisognerebbe parlarne di questa che almeno io ho considerato e vissuto come una forma di violenza...

Spilunga semplicemente dice che non vuole pieta'. Non vuole che le persone, soprattutto le altre donne, vedano per prima cosa questo in lei. Certo che capisco, ma -saranno gli ormoni?- sto abbracciano il pensiero che ad certo punto chiedere pieta' e' esattamente quello che bisogna fare. Abbi pieta' di me e risparmiami sofferenza. Usami delicatezza. Ma forse bisogna diventare forti abbastanza anche per poter chiedere pieta', per potere sopportare chi pieta' per te non ne ha, neanche se l'hai chiesta.


E' cosi' dannatamente importante condividere il bagaglio, altrimenti siamo tutti piccoli universi lontani anni luce l'un l'altro, ognuno con i suoi drammi, violenze, negazioni. Bisogna avere rispetto per i doni che ci toccano in sorte. E non considerarle scontate. D'altra parte chiunque viva o abbia vissuto un grande dramma, violenza o negazione deve poter lasciare spazio per coloro che ne hanno semplicemente di diverse, perchè -quanto è banale- ognuno ha i suoi doni e le proprie croci. Ed è questo che Spilunga voleva fare col suo silenzio: lasciare spazio. Uno spazio che dovrei rispettosamente prendermi.

Riuscirò a darmi il permesso di esprimere tutto il dolce fardello della mia maternita' così folgorante, fantastica, meaningful?
Non credo, non ci riuscivo a pieno fin da prima che Spilunga mi mettesse a parte del suo segreto. Perche' riversare la mia folle felicita' sul mondo mi sembrava sfacciato e anch'esso poco delicato, e adesso ancora di piu'. E pero' mi riguardo le mie croci, tocco le cicatrici, penso alla strada percorsa e so nel profondo che -finalmente- tutta questa felicita'. Forse e' questo che voglio dire o' voi che di qui passate... che non vorrei paresse troppo sfacciato tutta questa poetica... che' si insiste su cio' che che prima e' mancato e si e' bramato a lungo...

Sono felice, e allo stesso tempo triste, come non sono mai stata in vita mia. E affamata di vita, fin da prima dell'alba...

27 October 2011

Ello superstar e la schiettezza dei nipotini primi

Mamma, papa' ed Ello nella pancia, superstar, se ne sono andati in Italia per una settimana intera. Anche per questo il blog e' rimasto silente. Mamma Squa ha rotto l'alimentatore del computer che se ne e' quindi rimasto in Olanda, dando il brivido di una settimana di quieta semi-vacanza da internet.

Dopo l'atterraggio, il papa' si e' rifugiato nella campagna lodigiana, mentre Squa se ne stava bel bella nel paesello milanese. Se ne e' andata a spasso in lungo e in largo, con profonda disapprovazione del nonno-squa che voleva portarla in macchina in ogni dove. Lei pazientemente rimbrottava: e' gia' cicciuto questo bimbo, fammelo camminare un po' su e giu'. Si e' fatta quindi delle sane scarpinate in ogni dove, sola o in magnifica compagnia, collezionando bellissime cartoline che sognava di imbucare nel blog. Non e' ancora successo... e non sa se sperare nel proseguire dell'insonnia per scriverle e spedirle.

Quando non camminava, Squa vedeva gli amici, i nonni e i nipotini o si sparava penniche grandiose. Il bimbo Ello, pur nella pancia, la faceva da super-star. I nonni soprattutto: prima salutavano lui, gli parlavano, gli facevano le carezze e poi passavano alla portatrice di panza. Tutti proprio tutti ad accoglierlo a braccia aperte, coccolarlo, celebrarlo, tranne lei: la nipotina settenne, detta anche Prima, in quanto prima nipote, di sangue e non.

Prima, la nipotina che ha rotto l'incanto da superstar, aveva saputo dell'esistenza di una creatura nella pancia di sua zia subitissimo, perche' la zia medesima voleva alleggerirle il cuoricino settenne da altre cose tristissime ed allora le ha fatto le confidenze subito, in barba a qualsiasi scaramanzia e cautela. E subito la nipotina Prima le aveva detto:
« dai pero' zia, fai che sia una femmina, che' io qui sono circondata da maschi, mio fratello, il cugino dall'altra zia » (da pare della mamma sua).
Tutta presa nell'alleggerire quel cuoricino triste, la zia aveva risposto:
« Prima, faro' del mio meglio, ma se non ce la faccio al limite tu non solo sarai Prima ma sarai anche Unica... non e' mica brutto! »
« No, no, zia, voglio una cuginetta »
aveva concluso lei perentoria.

Ora quando sono andata a bussare alla porta di mio fratello, nonche' padre della nipotina Prima, lui -il fratello- mi ha preso alla sprovvista, sull'uscio, lui ancora all'oscuro del genere sessuato di Ello...
La nipotina Prima sedeva un po' inversa sul divano, che gia' si poteva capire che era inversa perche' guardava la tv che non e' mai un buon segno nella bimba nipotina settenne Prima.

« E allora? Maschietto o femminuccia »
Dire gioiosa « Ello e' un maschietto!! » e girarmi e mettere meglio a fuoco Prima, l'inversa, e' stato un tutt'uno. La nipotina settenne, che fino a quel momento era solo inversa, ora era imbufalita e delusissima, neanche un ciao zia, come stai, subito mi sbotta con quel gesto stizzoso del capo:
« e no zia! pero' avevamo detto femmina »
Neanche confidarle il nome, come per dare piu' carattere alla creatura, ha potuto farla rinsavire. Del nome ha detto candida: mi fa schifo. [Per inciso, Ello non si chiamera' mica proprio 'Ello' (anche se per una femminuccia ad Ella ci avrei pensato, devo dire)].

La zia se ne e' tornata dal nonno con la coda tra le gambe, un pochino dispiaciuta di aver contrariato nipotina Prima, settenne e cristallina come un lago di montagna. Ma solo un poco, per la gran parte era tutta divertita da tanta genuina sincerita'. Forse anche perche' sapeva che Prima sarebbe presto rinsavita (o semplicemente scesa a compromessi con la vita?). Ed infatti la mattina seguente, complice forse lo spegnimento della tv o un sonno ristoratore o un confronto con la sua dolcissima mamma? Mi ha telefonato tutta tenera dicendomi che mi aveva preparato non una ma due sorprese ed intimandomi perentoriamente ad andare a scoprirle. Ha aggiunto poi:
« zia... dai va bene anche un maschietto »

Sospiro di sollievo... La sorpresa che mi ha preparato era davvero bellissima e la metto qui appena posso...


viva le nipotine prime e viva l'insonnia

14 October 2011

Ello nella pancia


com'ero emozionata mentre pedalavamo verso il paesello giusto un pelo più a sud... Il sole splendeva dopo diversi giorni di pioggia in ogni formato, pioggerella, acquazzone e via dicendo. Sole freddo di ottobre, e la luce olandese, quella dei fiamminghi, che si specchia sui canali con le nuvolette grige rosa e azzurrine. Magnifico.

L'ostetrica -un donnone altissimo e atletico- mi ha stesa sul lettino, mi ha spalmato il gel per la sonda sulla pancia, dicendo che per la prima volta poteva evitare di avvertirmi che era freddo, visto che avevano appena preso ad usare un bagnetto per tenerlo caldo. E infatti che goduria. Poi si è fatta più seria e ci ha spiegato la procedura dell'esame e del come non ci saremmo dovuti spaventare nel caso eventuale in cui al termine ci avesse mandati all'ospedale per altri accertamenti, ché lei voleva andare a casa tranquilla e lo avrebbe fatto per ogni piccolo, minuscolo, dubbio. Nel caso in cui avesse visto cose che proprio non andavano ce lo avrebbe invece detto subito onestamente. Penso che anche papà abbia deglutito.

Quindi il donnone ha tirato fuori un bambolottino piccolo e ha detto: il tuo bimbo è grande più o meno così. Tenero. Ha dato una sbirciata alla pancia con la sonda, poi col bambolottino ci ha fatto vedere nello spazio fuori dal monitor come era esattamente posizionato. Brava, perché ogni volta mi perdo a guardare quello schermo, mi mancano punti di riferimento.

Prima ce lo siamo guardati un attimo tutti e tre mamma, papà e ostetrica. Portava le manine al visino, si muoveva piano piano. Due lacrimucce di numero mi sono scese giù zitte. Eccoti qui così placido ma vispo. Un momento importante per una mamma con la piccola sfortuna di avere la placenta sul davanti che attutisce ogni vibrazione quando il bebè si muove.

Poi mentre io e papà ce ne stavano muti, mano nella mano, per non togliere la parola all'ostetrica, il donnone ha esplorato il piccolo bambolottino Ello nella pancia della mamma, manina per manina, piedino per piedino e poi tutti gli organi. E misurava e spiegavava e noi zitti per non interromperla, mentre sognavamo di essere lasciati soli con quel giocattolo: lo schermo e la sonda. Gli avremmo cantato le canzoni di paolo conte come la sera prima, per vedere se gli piacevano. Avrei mangiato cioccolato per vedere che avrebbe fatto quando fosse arrivato fino a lì... Ma quello era un momento importante e bisognava zittire anche le fantasie. Quindi zitti.

Mentre Ello veniva misurato da capo a piedi, io guardavo lo schermo al lato che mostrava via via termini molto diversi della gravidanza. Lo faccio notare piano in italiano al papà, ma l'ostetrica deve capirmi e mi dice di non preoccuparmi di quello che dice lo schermo che poi il computer avrebbe rielaborato tutto per benino.

Esplora che ti eplora è arrivato pure il momento di spiare Ello nelle sua pudenda, che hanno mostrato un inequivocabile pisellino. Ho guardato il papà e col sorrisone gli ho detto, si vede che si deve chiamare ***"(EllO)"***. Quel nome che mi ha folgorata qualche tempo fa e mi ha pervasa di una certezza che non ho mai provato nella vita. Davvero mai. Non so quanto ci vorrà a convincere il papà, ma so che ce la farò. Io non sono mai stata più convinta di una cosa. Chissà com'è.

Il donnone ha esplorato Ello il bimbo maschio per buoni tre quarti d'ora, ad ogni passo diceva che tutto andava bene. Poi, come promesso, si è messa al computer per fare rapporto. E alla fine ha detto che tutto andava bene sì tranne una cosa: il bimbo Ello in effetti è decisamente molto grande per la sua età gestazionale, meglio chiedere il parere di un ginecologo e magari esplorare meglio la placenta. Quella placenta grande più di lui, proprio lì sul davanti a parare gli urti e a farmi diventare triste quando tutte le mamme si stupiscono: ma com'è che ancora non lo senti? Si è parlato pure di dieta e deve essere lì che, nonostante nelle ultime settimane mi è sembrato la fame si facesse meno atavica...


...mi sa che è lì che non ci ho visto più, non mi ricordo niente altro. Mi sono ritrovata in sella alla bici a pedalare verso casa, pensando che Ello è un bimbo maschio e -a detta del donnone- è già un gigante.

30 August 2011

grieving

Ci tempesta di email per finalizzare il ricordino che vuole spedire a tutti coloro che hanno partecipato al lutto.


Partecipato al lutto, che orrore di frase. Ci pensavo. In italiano non ce l'abbiamo un modo "migliore" per verbalizzarlo. Non l'ho trovato neppure in spagnolo o in francese. In inglese si: to grieve. E' efficace perche' e' un verbo, descrive un'azione. Cioe' tu sei li' e quello fai. Puo' sembrare che soltanto guardi fuori, cammini su e giu' per la stanza milioni di volte, mangi (troppo) cioccolato, vai al mare -quello li'- per una settimana e te lo guardi tutto, ti svegli all'alba e ti vengono i pensieri, esci e compri quel paio di scarpe, ti rannicchi sul divano e speri che i singhiozzi si calmino, vai a nuotare... ma quello stai facendo: you grieve.

And I keep grieving, pero' per il ricordino non mi esce niente. L'unica cosa che mi viene in mente, ma che non gli diro' mai e continuera' solo a devastarmi da dentro, e' che se avesse impiegato un decimo di questa energia per Lei in vita.... chissa'. Questa e' la parte di grief che non riesco a sostenere, anche perche' mi tocca sostenerla da sola. Lo distruggerei e non e' quello il fine.

Forse e' ora di richiamare la signora Maria.


Ho fatto un fioretto, per ogni pensiero di morte, uno di vita subito dopo. Non necessariamente il contrario, perche' e' la vita quella che deve andare avanti. Quindi -a volte- i pensieri verranno in coppia....

14 September 2010

Io Yogo - parte I: il verde


Avvertimento: il post piu' sconclusionato della storia.
E molti piu' a venire, altrimenti non scrivo piu'. E neanche controllero' l'ortografia e neanche convertiro' questi maledetti, unici, accenti che la mia tastiera mi concede (questi: ') . BAsta. Leggerezza. Come viene. Non ho tempo per correggere accenti. Non voglio averlo: e' piu' onesto. Avvertitimento finito.


Agosto, si e' capito: non e' pervenuto.
Settembre invece e' qui e lotta insieme a noi. E' una lotta non violenta che sa di yoga e di verde. La parola Yoga, il concetto Yoga, si sta declinando, o coniugando dovrei dire, intorno a me. Io Yogo. E Yoghero' sempre di piu', e' stato deciso. Senza neanche troppo consultarmi.

Ci sono -infatti- almeno due cose bellissime in terra Olandica, che stanno lottando-non-violentemente in questo Settembre. Una e' il verde. Che con tutta questa pioggia, proprio straripa (che verbo e'?). Che' quindi, se il verde e' amico tuo, ami anche la pioggia alla fine. E questa e' pura strategia vincente in terra Olandica. E quindi con o senza pioggia, ma soprattutto (e spesso, proprio a livello statistico) dopo la pioggia: tu -io- prendi e vai nel bosco, dove -a parte quell'ODORE inebriante di erba fresca, bagnata dalla pioggia- fiumi di verde per gli occhi, di tante tonalita'. E soprattutto quel verde, proprio erba fresca***.

Il verde erba fresca fa bene allo spirito ed e' il mio migliore amico. Che si pensa che io ami il blu. Si vabbo' certo. Pero' il verde quasi mi sa' di piu'.
La terapia di Agosto (che anche se non e' pervenuto, il suo contributo l'ha dato, poverino): era mollare tutto ed andare nel bosco. No matter what. Il bosco, devo pedalare 15 minuti da casa per andarci. Esci dalla cittadina, dal lato nord-est ed arrivi al "bosco della cittadina". Ed e' bello che non sei nella cittadina, sei fuori, appena fuori, ma sempre fuori. Pero' sei li'. Dopo settimane di diluvio oftalmico incontrollabile, ci sono volute 5 o 6 "sedute" al bosco cittadino per arginare le mareggiate. Dopo 5 o 6 sedute, la pioggia oftalmica cominciava incredibilmente, appena varcato il primo sentiero tra gli alberi. Solo appena li'. Come se mi trattenessi nella missione di dover dare da bere all'erba, a rinfrescarla.
5 o 6 sedute, dicevo. Sedute che, dopo un giretto nel bosco, proprio mi sedevo su un porticciolo del laghetto e guardavo le papere, le nuvole, o i pescatori o quel signore anziano che ogni giorno si faceva la sua nuotatina- che io ad un certo punto mi sono sentita molto snob che io non mi sarei mai tuffata nel lago, troppo palustre, con i rametti, gli insettini, le foglie eccetera. E invece ora ci sto pensando, che vorrei esserne capace. Quindi andavo al bosco cittadino -che sara' cittadino ma e' selvaggio, lussureggiante, verdissimo- la piu' parte delle volte sola, qualche rara volta col chercheur. Che si sedeva affianco a me sul porticciolo ed indovinate che faceva? Lui si metteva li' e studiava il comportamento delle varie papere. Perche' quello e' chercheur dentro.

Poi c'e' almeno un'altra cosa bellissima in terra olandica -che era quello che volevo raccontare- ma siccome e' meno poetica, prima ci volevano fiumi di verde e quindi quella la racconto un'altra volta.

Ora vado a fare colazione
Mi sa che son tornata.


***Questo verde qui, che ha fotografato GianMuga in Olandia.

19 January 2010

ap-proposito di buoni propositi


...e c'è tutta una vasta gamma di vita che ti invade, e vuoi viverla tutta. Ma non è concretamente fattibile seguire tutto con la stessa passione. La passione è un'esperienza totale che non si può dedicare a più di un'entità per volta. Invece i segnali arrivano molteplici ed ogni segnale stimola, appassiona, le pupille si dilatano. Vorresti perderti a contemplarlo, capirlo, seguirlo, coltivarlo, giocarlo, parlarlo. Il segnale, lo stimolo, il lampo. Ma ne arriva un altro e si ricomincia, dopo un attimo di disorientamento. E cerchi di metterli in ordine, gli stimoli, come si potesse metter in fila fotoni (forse si può, questo almeno è facile da verificare?). Ognuno che arriva è come una piccola scossa. Piccola, grande, dolorosa, colorata, travolgente, lieve. Ma si sente, a seconda della sensibilità del sistema. La scossa. Oh se sono viva! Quanta vita. Varie vite, varie tonalità, le vedo avvicendarsi e sperimento anche l'impressione dei miei colori stesi a pennellate sulle pareti dell'esistenza altrui. Sono viva e la vita, la natura, asseconda la sopravvivenza: posso sopravvivere solo se ho lo spazio, ho il tempo, ho il modo. Mi sono sentita così inequivocabilmente viva, ho provato un così forte turbinìo di emozioni e non ho potuto evitare di assecondare tutte le possibilità. In un delirio orgiastico di concretizzare i buoni propositi, mi sono fatta avanti per tutto. Proprio tutto... Per coltivarmi, per scoprire quanto più potevo...

Concretamente, appunto, in un'ora e mezza il mio 2010 comincia. Dolcemente. Con un corso di cucito, una volta a settimana. La settimana prossima si aggiungerà il corso di olandese, due volte a setttimana, che si profila l'impegno più faticoso. Insieme ad un corso per gli studenti del primo anno di università che partirà la settimana ancora successiva. Per gradi. No, non insegno: sono ancora da questa altra parte, perché non riesco a nascondere la mia curiosità dietro la """dignità""" del non tornare sui banchi. Perché ho molto più da perdere vergognandomene. Perché -come allora volevo vedere: prima come studiano gli americani, poi come studiano gli ingegneri- ora voglio vedere che fanno i biotecnologi. Perché il corso sarà dato in olandese, altrimenti sarebbe stato troppo facile. A completare il tutto, a fine settimana, mi rilasserò seguendo due corsi di teatro. Cosa che avrei voluto fare da sempre, ma non ero viva abbastanza, o non ero io abbastanza. Due perché non riuscivo a scegliere e perché avevo paura che non sarei sopravvissuta abbastanza a lungo per scoprire.
Forse non sopravviverò a tutta questa vita, c'è da dirlo. Ma sono stata in stato quiescente troppo a lungo per non provarci. Voglio tutto, subito, qui, ora.

Vorrei essere certa di restare raggiungibile dai lampi giusti però, quando il sistema diventa complesso. Voglio pensare che in mezzo a quelle tempeste, quel bagliore speciale riesca ancora ad attraversarmi dritta al cuore e farmi emozionare alle lacrime.
Hnita gattona. dice. e tutte le altre tempeste sono tornate per quell'attimo nei loro vasi di Pandora. Tutte le altre vite si sono fermate un attimo a guardare. Col fiato sospeso. Poi ho visto il video ed allora tutta la poesia ed il miele hanno fatto posto ad una grassa risata! Ed ancora rido a pensarci. Che patata.


25 December 2009

Poi invece cosa volevo fare io da grande



... pensierini fatti giocando con i più piccoli scienziati del mondo

Grandi e bei momenti di ziitudine questo natale. Ci sono pargoli ovunque ed io me li godo tutti, ché essere zie prima che mamme ci renderà genitrici più consapevoli. E c'è da approfittarne e fare allenamento, osservare, prepararsi spiritualmente.
E quindi mi cullo un'Accanita di sei-mesi-quasi-sette tutta nervosetta e le canto pazientemente quella canzone lì dei mutamenti di stagione, l'unica canzone che io possa cantare senza rompere i vetri delle finestre e straziare i timpani. Gliela canto come un mantra, caparbia, insistendo sui punti chiave: Lasciarsi andare, dondolare, e continuare a galleggiare, scivolando sulle cose...

Oh quella mica mi ci si ti vi addormenta? Ed io mi sento tutta soddisfatta. Tutta zia.

Poi c'è la mia unica nipotina di sangue, altro ordine di grandezza piccolezza: quasi sei anni. Tutta chiacchierina e pronta a cose già più, come dire, serie. Le ultime due volte che l'ho vista abbiamo fatto il pane, volevo trovare qualcosa di nuovo da fare insieme, ma non ho avuto troppo tempo e testa. Ora temo che lei: basta, mi sono stufata di far il pane, qualcosa di nuovo, dai! Io almeno voglio fare qualcosa di nuovo.
Dopo poco che è arrivata...
e zia non lo facciamo il pane?
Evidentemente hanno bisogno di certezze anche loro, questi bimbi. E quindi facciamo il pane! Io le avevo già detto che il mio lavoro è crescere lieviti, quindi sapevo bene come farli svegliare nell'acqua tiepidina e che non amano molto trovarsi il sale vicino-vicino, cose così insomma. Le ho fatto vedere una foto al miscrospio del lievito che si usa per panificare (Saccharomyces cerevisiae, che è fratello di quello che si usa in laboratorio) e poi ho cominciato la mia personale campagna di imprinting.
Ma che? da grande vuoi fare la panettiera?
No, no o la parrucchiera o la ballerina o la maestra..
La scienziata no?
Vedi che bello, proprio come noi qui adesso: questo è il nostro laboratorio e noi stiamo facendo il pane: perché quella è la ricetta del no knead bread, sul blog di comidademama e noi invece lo stiamo bello che impastando (senno' finisce subito e che divertimento c'è?) anche se poi lo facciamo lievitare quasi 24 ore! E quindi poi domani bisogna vedere se l'esperimento ci è riuscito
Si zia che bello fare gli esperimenti



Comunque io se tornavo piccola sai cosa dicevo che volevo fare da grande?
La zia volevo fare.
Ché io non lo sapevo mica che era così bello.

11 December 2009

Coordinate astrali: 43°36′43″N 3°52′38″E

... piu' che un post: un'altra puntata della telenovela dei ricercatori precari


Si torna in quel meraviglioso limbo di suspense e si comincia, di nuovo, a sognare di futuro. Come in una sorta di déjà vu periodico:
Paesaggi mai visti sfilano sotto i miei occhi, a migliaia

Che alla fine, pazzescamente, mi piace anche. E mi rendo conto che forse non e' una bellissima cosa, questo anelare cambiamento, sempre e comunque. Questa poca predisposizione a mettere radici. Ma questa e' un'altra storia.
A differenza di altre volte, questo riempirsi gli occhi di un possibile, eventuale, futuro, avviene in maniera piu' adulta ed anticipata. Questa volta la suspense durera' per default almeno 6-7 mesi. Intanto noi faremo allegramente finta di nulla, ma ci prepareremo. Il chercheur scrivera' i progetti, io riprendero' quel google-dancing forsennato, trovero' una strategia. La spuntero' un'altra volta! Fatica, ma tanto entusiasmo.

La categoria suspense ha raccontato la telenovela, che mi commuovo un po' a rileggere. Parla di un ex-only-optical-fisic, ex-baiofisic-vuld-laic che ora e' in divenire. E di una che prima non lo era, ma ora e' chercheuse anche lei. E forse non l'aveva mai scritto prima.
Fa bene ogni tanto fermarsi e scrutare all'orizzonte che ci aspetta, ma anche voltarsi a guardare la strada e tutti i paesaggi che abbiamo lasciato. Nel bene e nel male.


13 October 2009

fuori stagione

... piu' che un post un salutino

Atomica sono atomica, non c'è che dire!
Corri qui e corri lì, studia olandese, cresci lieviti, parlagli, gioca a squash. E' venuta la Lisina che erano 5 anni che non ci vedevamo. Ci ritroviamo in un supermercato a guardare yogurtiere e colture starter superpotenti vendute insieme. Ed un kit per il compostaggio casalingo. Disquisiamo un lungo momento davanti allo scaffale. Passeggiamo per la cittadella. Andiamo a mangiare fuori. Di fronte ad un pesce che sa di ammoniaca, ammoniamo il cameriere, che quasi finisce a schifìo. Il cameriere già abbastanza ombroso, -ché grazie, ma basto io- dice che, guardate lo so, è il tizio dietro di voi che puzza, per questo ho aperto la finestra. Quasi a schifìo dopo. CHe la puzza di pesce e di ammoniaca è una cosa, la puzza di tizi puzzolenti è un'altra.
E poi tutto ritorna a girare. Esame di olandese, workdiscussion, vai a body mind, cucina un pochino. Vai a correre. Il capo ti chiede che vuoi fare da grande. Ma il capo quello grande-grande (lui) sopra tutti gli altri capi. Allargo gli occhi. Il capo -quello- dice che volendo ti fa crescere un po' anche a te come tu fai coi lieviti. Strizzo un po' gli occhi. Il capo dice che devo migliorare un po' i miei management skills, che volendo, se non imparo "con le buone", mi manda ad una scuola seria. Sollevo la fronte. Un po' come il biglietto per l'avocado che faceva la spola tra il frigo e fuori. Io lo mettevo fuori ed il chercheur lo prendeva e lo riportava in frigo. Ad tratto sotto gli è spuntata una preghiera scritta su un foglietto: "lasciami qui a maturare !"
Mi sento un po' l'avocado che fa la spola, solo che a me mi si chiede pure 'come vuoi maturare?' A me che sempre dico Vado, non so dove, ma sto andando.... A me quasi mi da fastidio quando questi vengono e chiedono Ma dove stai andando?.
Mi rendo conto che ad un certo punto gli devo anche rispondere...

Intanto per ora lo so: domani vado in Africa.
Hai detto poco.
Ci si ricongiunge con Gianmuga e J già in viaggio già da un po'.
Sveglia puntata tra poco più di 4 ore. Niente sonno, ho ancora gli occhi ben sgranati di chi pensa che fara' da grande.

Intanto ho fatto fagotto!
Poi il resto si vedrà.


A presto !


03 May 2008

You gotta be crazy (tra Mago di Oz e Koyaanisqatsi)

Il post a valvola di sfogo



Venerdi', pseudo-tardo pomeriggio, nei corridoi del centro di ricerca per ingegneri c'e' gia' un silenzio tombale. L'(altro?) chercheur ne avra' per un'ora buona. Ancora almeno un'ora prima di dar inizio al nostro personale week end... per me il primo dopo 3 settimane di lavoro praticamente ininterrotto, senza ne' sabati ne' domeniche di riggetto alcuno. Sono sfinita. Oltre a tutto il lavoro standard, da che e' cominciato il semestre: 6 Homework (compiti a casa ebbene si) e due esami per il meraviglioso corso per ingegneri (ambientali, ma sempre ingegneri) che ho scelto di seguire.
Gli ingegneri sono fuori di capoccia. Il libro di testo del corso una sequela di formule senza fine per 5 capitoli e poi via una sequela di numeri che applicano le formule di cui sopra senza piu' referenza alcuna per altri 6 capitoli. Tangenti iperboliche che volano senza sostanziale collegamento con la realta'. Come e' fatta una tangente iperbolica e che caz ci fa qui? Bho che te frega, tu calcola. Calcola che ti calcola mi son passata i sabati e le domeniche, chiusa nella stanzetta degli ospiti (che in generale ospita la tele, ora anche me ed i miei calcoli), oppure, quando ispirata, nella mastodontica biblioteca del campus.
Credo che quando ripensero' a questo periodo mi vedro' seduta proprio al tavolo della biblioteca, col laptop davanti e il bravo foglio di calcolo, i Pink Floyd in cuffia a volume moderato, all'infinito... ed ogni 41:54 minuti (che passavano a manciate), ciclicamente, un attimo di ritorno alla realta', un respiro dalla disperazione, una presa di coscienza, un mezzo sorriso, al suonare di...
You gotta be crazy, you gotta have a real need...
Ed io che annuivo. Devo davvero essermi impazzita.
Stavo pensando alla presentazione e alle 15 pagine di tesina con progetto di un impianto che ancora mi restano da produrre da qui alla prossime 2 settimane. E sul filo di quella sensazione ho fatto suonare i Pink Floyd dal mio ufficio, giu' per il deserto corridoio per alleviare il fine di settimana anche del masterizzando cicciotto, batterista, malato di musica, che era li' nel laboratorio di fronte alle prese con il suo turno settimanale di pulizie... ed infatti gli e' spuntato il sorriso ed e' venuto a commentare il sound e ad enumerarmi la classifica degli album dei PF che preferisce. E mi parlava di com'e' The Wall visto in acido oppure di The Dark Side of the Moon messo come sottofondo al Mago di Oz. Al mio sguardo interrogativo si e' vendicato...
Cioè… tu, praticamente, non hai mai visto il Mago di Oz con The Dark Side of the Moon in sottofondo?
E quindi mo' c'ho sta curiosita'. Il mago di Oz l'ho gia' messo in lista a Netflix, ora mi manca da capire se devo ottenere una versione speciale del disco. L'effetto che si dovrebbe produrre e' la percezione di una sincronia, che alcuni dicono impressionante (altri no), tra film e musica. Io sospetto che siano necessarie alte somministrazioni di sostanze psicotrope per vedere alcunche' di strano, comunque ci provero'.

La prima testimonianza scritta del fenomeno, che e' stato battezzato Dark Side of the Rainbow (o anche Dark Side of Oz oppure The Wizard of Floyd), pare essere stata una discussione su un forum di fans dei PF intorno al 1994. Non e' invece noto chi abbia scoperto o inventato la cosa.
Se un giorno sentirete parlare di Koyaanisqatsi visto con le musiche di Ennio Morricone in sottofondo, quello, modestia a parte, l'ho scoperto io. Niente di iper psichedelico pero' decisamente bello, senza nulla togliere al buon Philip Glass.
You gotta be craaaaaazy...


11 November 2007

Invidia del Piccolo Ranger


Balcony House, Mesa Verde National Park, CO.


Un post catartico.

Un bamboccio di cinque o sei anni se ne stava con i suoi genitori, poco distante da noi, nel parcheggio di Balcony House, al Mesa Verde National Park. Aspettavamo tutti il ranger che ci accompagnasse per la visita guidata. Non ricordo se fu la mamma o il bimbo stesso ad approcciare il ranger al suo arrivo, sarebbe stato un dettaglio interessante. Però ricordo esattamente lo sguardo dritto, diagonale, del bamboccio, occhi fissi in quelli del ranger. Non quello sguardo dove sono gli occhi che si muovono in alto a cercare gli occhi dell'adulto (o del superiore), ma quello dove è tutta la testa ad inclinarsi fiera e sicura. Quello sguardo che a casa mia (quella di oggi) si definisce a 270 gradi. Facile riconoscerlo in un adulto: presente quando uno, indipendentemente dalla sua altezza relativamente alla tua, inclina la testa in alto e poi fa sì che siano gli occhi ad andare su una diagonale, dall'alto al basso? Interessante notarlo in un bambino.
Il bamboccio stava partecipando al programma di Junior Ranger organizzato nel parco ed aveva alcune importanti domande da fare al Ranger. Lo guardavo, con quello sguardo benevolo da persona adulta, mi ascoltavo dentro pensare guarda che carino, ma poi in fondo, proprio in fondo, si però adesso fatti da parte e passiamo a cose serie. La scena invece sembrava interminabile, la Rangeressa rispondeva al marmocchio, poi lo ascoltava di nuovo ed annuiva, rilassata, non che si chinasse a parlargli come si fa quando si ha a che fare con una cosa piccola. La mamma intanto se ne stava in disparte, assistendo alla scena.
Realizzavo che mi si stava rivelando il segreto di tutti gli sguardi fieri, oh quanti, che avevo visto nei mesi di permanenza in terra yankee. Pensai che quel momento era un piccolo pezzettino essenziale per l'uomo che quel marmocchio sarebbe stato domani. L'immagine mi perseguita da allora.

Quale bambino non vorrebbe essere un junior ranger?
Eppure torno indietro nella memoria e non mi vedo mai piccola ranger. Piuttosto vedo mio padre con quello sguardo benevolo guardare me, piccola cosa, e farmi vergognare della speranza di poter sperimentare in grande la mia piccolezza. Non ricordo neppure di me osare desiderare di essere un piccolo ranger. Si guardavano gli altri bimbi fare i piccoli adulti, noi nell'angolo, con lo sguardo benevolo, di chi la sa lunga e non indulge in sciocchezze fatte per ingenui marmocchi che giocano ai grandi.
Ho imparato tante altre cose in casa mia (quella di ieri), ma non ad osare, ad uscire fuori dall'angolino, col coraggio di essere parte attiva e sicura del quadretto.

E' una nazione che viaggia a 270 gradi questa qui. Chi abbassa la testa è fottuto. Sto lottando per trarre da questo continuo stato di allerta, quel che può insegnarmi ad essere una persona più in pace con se stessa, soprattutto nell'interazione con L'Altro. Sto lottando -anche- contro l'arroganza che va spesso di pari passo con la sicurezza di sé. Ho a che fare tutti i giorni con Junior Ranger solo un attimo più cresciuti che si prendono per grandi scienziati e per grandi uomini di giustizia. E mi rendo conto della contraddizione: educata al tacito monito chi ti credi di essere?, non tollero la presunzione arrogante (e volgare), soprattutto in chi è più giovane di me. Eppure invidio, tardiva, i junior rangers. Ci sia il rischio che io rovesci quella specie di sopruso che avverto di aver subito e lo perpetui? Me lo domando seriamente.
Quanto ai piccoli ranger cresciuti, non li guardo benevola. Tutt'altro. Inorridisco quando si permettono di sparare a zero o di criticare senza alcun rispetto il lavoro degli altri, perché loro sono meglio, sempre e comunque. Ma anche, solo, rabbrividisco, quando parlano (con te o con un altro studente, fa uguale) e si stravaccano, sbam, i piedi dritti sul tavolo. Come non lo sopporto.
Immagino che inizialmente mi si è etichettato come quella debole, forse ancora adesso. Ma credo, spero, che nel tempo stia riuscendo a costruire la mia rispettabilità. Quando i marmocchi cresciuti si mettono in cattedra, sono io quella che gliela fa saltare da sotto i piedi. Per lo meno questa è la missione che mi sono data. Con mia somma meraviglia, e per ben due volte, ho messo al suo posto la masterizzanda-che-non-si-vuole-masterizzare, che stava iterando nel suo tono di profondissima arroganza e questa m'è scoppiata a piangere. Il salto dall'arroganza più completa alle lacrime disperate m'ha talmente spiazzata che quasi le dicevo che mi dispiaceva. Per la prima volta in vita mia ho sentito il brivido dell'educatore (o del professionista?) ed ho resistito al pronunciare qualsiasi parola di consolazione. Zero doppi vincoli, che ti fanno male. Io sono un tuo collaboratore, sto lavorando con te e tu non ti devi permettere di fare l'arrogante aggratis con me. Punto. Non so bene chi delle due stavo cercando di educare. Entrambe, suppongo.

Ma ho perso la messa a fuoco. Si parlava di americani, tra educazione e cultura...


Continua. Forse...

27 October 2007

Rocce contro Calzini Rossi


Babe Ruth

I Colorado Rockies sono una squadra di baseball di Denver e giocano nella Major League (la serie A). Si sono formati nel 1993 e fino a quest'anno non avevano mai vinto niente.
[Excursus. Nel baseball americano, a concorrere al titolo di campioni baseballistici supremi (World Series) sono due gruppi distinti di squadre, in pratica due campionati paralleli: la National League e l'American League. Entrambe le league sono formate da 3 gruppi geografici: East, Central and West. Alla fine della regolare stagione, quattro squadre di ciascuna delle due league (le tre migliori squadre delle divisioni, più' la migliore seconda (detta Wild Card) passano alla postseason, dando vita ai quarti di finali, la seminale, finché' in pratica la finalissima della World Series e' disputata dalle squadre vincitrici dei due campionati separati.]

Le Rocce, sono stati quest'anno la seconda migliore squadra (Wild Card) delle tre divisioni della National League e, dopo mille peripezie lungo la post season, hanno battuto gli Arizona Diamondbacks [nome che -scopro appena adesso- non ha nulla a che vedere con diamantucci, ma si riferisce ad un tipo di serpente: Crotalus atrox, cheppaura] aggiudicandosi per la prima volta un posto nella finalissima.
La finale della World series sta avendo luogo in questi giorni -al meglio di 7 partite: la squadra vincitrice dovra' vincere 4 partite- contro i Boston Rex Sox (che hanno battuto nella semifinale dell'American League i Cleaveland Indians).


E' una finale decisamente interessante, questa, densa di folklore e ammericanita', simbolo dello scontro tra East e West: i Bostoniani sono i fichetti del Nuovo(issimo) Mondo, le Rocce sono i cowboys, che il Nuovo Mondo se lo sono fatto da se', tra le aride e sterminate vallate, ai piedi delle immense e temibili Montagne Rocciose. I Bostoniani sono i coloni, le Rocce i pionieri, fondati da neppure un ventennio, sbarbatelli senza passato: non sono (ancora?) nessuno. Gli altri hanno centosei anni di storia, hanno vinto la World Series Championship sette volte, una volta nel 1903, quattro volte tra il 1912 ed in 1918 e la settima ed ultima volta nel 2004, quando hanno chiuso le pagine di un incubo leggendario durato 86 anni.
Vuole infatti la leggenda che il motivo per cui i Calzini Rossi non abbiano mai piu' vinto un titolo della World Series dal 1918 fino al 2004 (86 anni appunto) abbia a che fare con un certo Babe Ruth, che giocava nei Calzini Rossi nella loro epoca d'oro - ed e' oggi ritenuto il piu' grande giocatore di baseball di tutti i tempi. Dopo che i Calzini Rossi vinsero il titolo nel 1918, Ruth fu venduto ai New York Yankees e si dice che i proventi della sua vendita furono usati per finanziare un musical a Broadway. Da quel momento gli Yankees divennero la squadra piu' forte e temuta della Major League, mentre i Calzini Rossi non vinsero piu' un solo titolo. La storica e derbistica rivalita' tra le due squadre divenne odio.
Che la responsabilita' delle continue sconfitte dei Boston Red Sox fossero superstiziosamente correlate a quella infausta vendita, era tristemente noto ad ogni tifoso, ma la leggenda venne formalmente definita a meta' degli anni 80, quando un giornalista la chiamo' la maledizione del Bambino (The Curse of the Bambino). Da allora molti sono stati i tentativi per spezzare la maledizione, tra cui una spedizione sull'Everest per piazzare sulla vetta un cappello dei Red Sox e bruciarne uno degli Yankees, oppure quella per cercare un pianoforte che Ruth avrebbe gettato in uno stagno vicino a casa sua (Home Plate Farm, a Sudbury, Massachusetts), nell'intento di mostrare la sua forza possente. Per non tacere delle piazzate televisive, in una delle quali un esorcista professionista, tale Father Guido Sarducci- prego guardare la foto-, fu ingaggiato per purificare Fenway Park (lo stadio dei Red Sox).

Finche' il 31 Agosto del 2004, i Red Sox stavano giocando contro gli Anaheim Angels, la luna era -dicono- piena (in realta' lo era quasi, Manny Ramirez (uno che sembra il cantante di un gruppo reggae) batte un fuori campo, la palla schizza al settore 9, box 85, fila AA del Fenway Park di Boston, colpisce in faccia un ragazzo di 16 anni, Lee Gavin, gli stacca due denti in un bagno di sangue. Quella stessa sera mentre i Calzini Rossi battono gli Anaheim Angels per 10 a 7, gli Yankees perdono 22 a 0 contro gli Indiani di Cleaveland. Si viene a sapere che quel ragazzino, Lee Gavin, non e' uno qualunque, vive nientepopo'dimenoche' a Home Plate Farm, Sudbury, Massachusetts, nella stessa medesima casa del leggendario Babe, dove mostrava la sua forza fisica lanciando pianoforti negli stagni. Boston e' in furore, la maledizione potrebbe essere stata spezzata, troppe le coincidenze confluenti (!?).
A breve la stagione finisce, portando i Boston Red Sox in postseason come Wild Card (migliore seconda squadra dell'American League). I New York Yankees vincono contro i Minnesota Twins e i Calzini Rossi -di nuovo- contro gli Anaheim Angels. Le due rivali storiche si incontrano quindi per la semifinale (nonche' finale dell'American League, che -lo ricordo- determinera' la squadra che dovra' affrontantare la vincente della National League nella finale della World Series... lo so e' complicato).
Il confronto e' al meglio delle 7 partite, gli Yankees vincono la prima, la seconda, la terza. Il 17 ottobre 2004 e' il quarto incontro, se gli Yankees vincono passeranno in finale e la maledizione continuera'. Al terzo inning gli Yankees fanno due punti (runs). Al quinto i Boston li superano facendone 3, al sesto gli Yankee ne fanno altri 2 (4-3). Bisogna aspettare il nono prima che i Red Sox pareggino (4-4). Si deve andare oltre i 10 innings regolamentari per decretare un vincitore. Ed e' al dodicesimo che finalmente i Red Sox corrono altri due home run mettendo fine alla partita.
I Red Sox vinceranno poi il titolo di World Series, contro i St. Louis Cardinals, in sole 4 partite, quello che in gergo viene chiamato sweep (un po' come il cappotto a briscola). La partita finale viene giocata il 27 ottobre 2004, durante un'eclissi di luna (questa volta, sembra vero. Boston, a questo punto, deve essere stata in delirio.

Tornando ai giorni d'oggi, la finale della World Series e' nel suo pieno corso. I Calzini Rossi hanno vinto le prime due partite in casa loro, la prima con un umiliante 13-1, la seconda 2-1. Per le Rocce si mette male, anche se la speranza non e' ancora sopita, dato che hanno a disposizione le prossime tre partite da giocare in casa, a Denver, per rimontare. La prossima partita e' proprio stasera alle 20 e sara' abbastanza decisiva. Non e' cosi' improbabile che il risultato venga ribaltato. Per tutta una serie di motivi. Innanzitutto, non l'ho ancora detto perche' complica ulteriormente le cose, ma nella finale della World Series si incontrano due squadre che non solo sono "fisicamente" separate in due campionati, ma questi campionati sono anche governati da due regolamenti diversi. Durante le 7 partite della finale, le regole seguite sono quelle della squadra ospitante, quindi stasera e per le prossime altre due partite si giochera' con le regole della National League, da dove le Rocce vengono. Non sono in grado di andare nei dettagli, ma ci sono delle regole che mi sembra possano cambiare le carte in tavola. Per esempio nell'American League i ruoli dei giocatori sono piu' rigidi (i giocatori si specializzano maggiormente), mi sembra quindi ragionevole che una squadra di National League sia avvantaggiata giocando con le proprie regole.
Un altro punto a favore delle Rocce e' che lo stadio di Denver, a 1600m di elevazione, e' lo stadio di Major League piu' elevato d'Ammerica, chi ci si allena e' ovviamente avvantaggiato. C'e' anche il tema dell'aria secca che sembrerebbe avere un effetto sulla traiettoria della palla. Le palle in un atmosfera piu' secca sarebbero infatti piu' rigide e verrebbero battute piu' lontano, avvantaggiando, ancora una volta, i padroni di casa che a questo effetto sono abituati. Sembra inoltre -ed e' fonte di polemiche- che le Rocce conservino le proprie palle in un ambiente umidificato, annullando (se non peggiorando) per gli avversari gli effetti stratosferici che l'aria secca determinerebbe in sede di battitura.
Probabilemte, infine, ci sara' anche una componente mistica. A quelli che non ci sono mai stati e l'hanno vista solo in foto, Denver potra' richiamare l'immagine di una metropoli, luogo di perdizione. Invece no. Se andate a Denver ed uscite appena dalla foto suddetta, vi ritrovate nel totale far west. Sara' dura da credere, ma e' cosi'. Io ho contato i grattacieli di Denver: sono quattro, poi ci sono un altro po' di edifici alti alti a fare contorno, il resto - giuro - e' far west. Ed e' anche un far west bello puritano. Le Rocce del Colorado sono fieramente e spudoratamente puritane, l'hanno dichiarato a Usa today: loro vogliono solo giocatori di carattere, i giornaletti ose' sono proibiti dagli armadietti, nelle sale pesi e' tutto un fraseggio di versi della bibbia.
A Boston i giocatori gli si distraevano, forse.

Pare quindi che i giochi siano ancora aperti, i pioneri puritani possono ancora soggiogare gli Yankees peccatori.
Io sto a guardare.


21 October 2007

Se non faccio questo mi lascera' per una giocatrice di softball

Sottotitolo: The curse of the softball-girl-player

Sto cercando di ricordare come e' iniziata questa faccenda ...
Almeno in parte per colpa di Biancaneve, la prof dell'unico corso che sto seguendo. Ora la vedo più' tranquilla, ma le prime lezioni era tutta presa in un totale e malcelato tentativo di conquistare la stima del numero più' alto possibile di individui della classe. Diventare una prof popolare, insomma. Come sara' affrontare questa -pure legittima- aspirazione per una bella e giovane donna che insegna ad un gruppo di ragazzini Mtv-generation? Biancaneve, bisogna dirlo, e' proprio una bella donna, si muove delicata, sorridente, quando non controlla i suoi appunti, muove i suoi occhioni azzurri per tutta la classe, tra un topic e l'altro si abbandona in un OOOOOOOOK oppure un SOOOOOO... con un' intonazione che non avevo mai sentito in nessun altro. Ha una bocca rossa rossa, ma non sembra truccata, chissa' se c'e' sotto qualche misteriosa trovata della moderna tecnologia. Somiglia a Nicole Kidman, ma se non fosse bionda sarebbe una perfetta Biancaneve.
Biancaneve, nei primi giorni di lezione, si dilettava in incisi che sviavano dal corso stretto della lezione, coordinando una perfetta alternanza tra citazioni alla piu' trendy letteratura scientifica contemporanea (abitudine che per altro continua a mantenere) e commenti su partite di un qualche (credo)random sport. Se le prime risultavano abbastanza naturali (un po' il "vi stupisco con effetti speciali" c'era), le seconde erano un tantino goffe. Se avesse avuto scritto sugli appunti ora di' qualcosa di sport, non mi sarei mica stupita. La guardavo perplessa mentre recitava goffamente il suo Avete visto i Vattelapesca ieri? che partita eh! Parleremo tanto dei Vattelapesca durante il semestre. Punto. e si tornava alla lezione. Mha, dicevo io, sarà che se mantiene un perfetto equilibrio tra l'immagine della secchiona e della cheerleader, guadagna piu' popolarità' netta. Per fortuna dopo poche settimane ha smesso, forse stupita di avere, per una volta, una classe in grado di mantenere l'attenzione ad un grado accettabile anche senza un richiamo a qualcosa di più' eccitante. Gran parte delle volte in cui Biancaneve esercitava la sua captatio benevolentiae sportivae, i Vattelappesca assumevano l'intrigante nome: Rockies. Che mi e' rimasto in testa perche' a breve todo el mundo s'e' messo a parlare di Rockies. Ma io non e' che ascoltassi davvero.

Ci si e' dovuta mettere anche Hacca, una dottoranda del March-lab. Hacca e' come i personaggi femminili buoni dei telefilm americani, e nonostante questo riesce ad essere anche simpatica. E' dolce, sorridente, ti invita alle girl-night: una nuotata nella piscina del suo condominio e poi tutte a mangiare l'artichoke dip che ha preparato con le sue mani. Io ed Hacca siamo prima di tutto coffee-mate, poi bevendo il caffe' si parla amabilmente del mondo. Siamo le uniche a bere caffe' in tutto il March-Lab, ma tutti ci ringraziano dell'aroma di hazelnut-cream-coffee (del quale sono ormai schiava) che diffondiamo nell'aere, al terzo piano del the-place-I-want-to-be (un giorno poi magari li racconto sti dettagli.. e' che oggi, stranamente, c'ho l'euforia del post). Hacca mi ha regalato la mia prima card. Dicesi card uno di quei cartoncini con dentro la frase simpatica, il disegnino, che si abbina in genere ad un regalo. Pare che regalare card personalizzate sia una cosa molto in. Riceverle ovviamente ancor di piu'. La tua popolarita' si misura in base a quante card hai appiccicate sopra la scrivania. Naturalmente devono essere azzeccate. Quanto sia diffuso il gioco della card azzeccata lo puoi giudicare al supermercato: il reparto card e' immenso e se hai pazienza di cercare, puoi trovare la card adatta per ogni occasione. La mia prima card recitava qualcosa tipo se gli amici fossero caffe', tu saresti un super cappuccino caldo con una schiuma tanta e una spruzzata di cacao a forma di stella cadente. Si un po' kitsch, ma carina. Hacca e' proprio carina, quando le scrivo le mie mail da aliena sgangherata, risponde che la faccio sorridere, ogni tanto esclama you are so cute!! Eppure mi piace.
Un giorno Hacca ha chiuso una mail informativa inviata a tutto il March-Lab esclamando GO ROCKIES!!!!!!!, esattamente cosi'. A questo punto ho vacillato, e le ho timidamente chiesto chi diavolo fossero questi Rockies. Da qui in poi, tra un caffe' e l'altro, tutto un mondo baseballistico si e' aperto ai miei occhi. Oppure i miei occhi si sono aperti sul mondo baseballistico.
E quindi -nella prossima puntata- si sapra' perche' seguire le rocce del Colorado is so exciting...