30 January 2014

di insoddisfazione, coaching, burnout - venting

Avvertenza, il mode venting valve è ON.
Questo post lo ho fatto a pezzi senza pietà, ma lo stesso sa un po' di vulcano che erutta, lo posto lo stesso chè sono stufa di  bozze qui a marcire come faccio di solito, anzi, voglio liberarmene, persino in malo modo... se saranno rose -con i loro rovi- fioriranno e se ne parlerà ancora. Altrimenti, e benvenga, pace. Sciò.


C'è tutta una storia di matrioske, coaching, psicoterapia in una terza lingua, una storia che io ho promesso che mi racconterò. Ma poi la vita mica aspetta a te che non trovi le parole, quella preme per essere raccontata comunque. Quindi succede che qui mica stiamo ad aspettare che si decida, la me che vorrebbe raccontare le puntate precedenti, di come ha vissuto un burnout e ne è uscita, forse acciaccata. O forse è il burnout e la sua guarigione che ha lenito, come un balsamo paradossale, alcune delle sue ferite...


Che poi, anche nel puro ora, i racconti si intrecciano. Io che vado dalla dottoressa del lavoro e sono diversamente sincera per quanto riguarda le domande sulla soddisfazione nel lavoro. Poi riguardo al resto sono cristallina come il mare del primo mattino. E poi in mezzo ad un allagamento, che col lavoro ha poco a che fare, rifletto sulle ragioni per quella sincerità bugiarda

Il mio capo, generalmente buzzurro e direi mediamente antipatico e  sgradevole, ha un momento di illuminazione e ci tira in mezzo tutti che vuole fare un percorso di coaching. E quindi un coach verrà a parlarci e intesseremo un percorso di gruppo (!!?) non ancora ben definito.
Avete mai fatto un coaching? Significa che una persona, si presume qualificata a farlo, sta lì a sentire come stai, quali sono le tue prestazioni, se c'è qualcosa che non ti soddisfa. E poi ti da dei consigli, prova a suggerirti altri punti di vista, ti rivede dopo un po' e discute con te se ci sono stati progressi. Più o meno così. E può essere una cosa fichissima. Per quelli che ci credono e ci vedono un'utilità e riconoscono il bisogno. Fare coaching in un gruppo non tanto piccolo (14 persone) la vedo una cosa complessa e sono molto curiosa di vedere che ne salterà fuori. Se davvero il capo parte senza un là preciso, come ha detto, mi immagino molti silenzi e sorrisi imbarazzati...


Succede pure che in mezzo all'ennesimo fastidio che provo in relazione ad un collega che secondo una parte di me -lavorativamente parlando- non mi tratta comme il faut, prendo il capo a quattrocchi e gli dico che vorrei fare una seduta di valutazione. Come la facevo negli Stati Uniti ed in Olanda ed ho scoperto che qui no. Nelle mie esperienze precedenti una parte di quelle domande -tra le righe di tutto il resto che è più importante e concreto- le affrontavi col tuo supervisore. Senza timore di conflitto di interessi. Si presuppone che se hai un problema con lui, con lui tu debba riuscire a discuterne. E se non ci riesci le alternative di fondo ci sono, le risorse umane stanno lì dietro a tua disposizione. Ma col tuo capo ci DEVI parlare in maniera strutturata del tuo lavoro, del tuo rendimento, delle tue aspirazioni, una volta all'anno. Dove lavoro ora no. E' il medico del lavoro che pone quelle domande specifiche e così vaghe.
E quindi ho chiesto al mio capo questo spazio di discussione strutturato, mezza Lisa SImpson che implora ti prego dammi un voto, mezza Tafazzi, chè scrivere un rapporto di autovalutazione non è mica acqua di rose. 

Maledetta Squa che stai sempre appesa al feedback, pure quando del lavoro, in fondo, non te ne frega una beata minchia. Che poi sta qui il nodo di tutto, no? O no?
Mo' tocca che tra il coach e questa seduta di autovalutazione autoimposta qualcosa io dovrò tirare fuori. Non posso continuare a fare lo struzzo. Se nel primo caso non so ancora quali domande mi verranno poste, anche se le posso immaginare, nel secondo le conosco, me le sto ponendo da sola...


Poi la storia va avanti, ma io ho deciso che davvero mi voglio impegnare a postare corto e quindi magari un'altra volta...

E voi? Che effetto vi fanno le domande qui sotto? Siete felici del vostro lavoro? Sapete di cosa avreste bisogno per cambiare la situazione? Perchè il maledettissimo punto è quello, se non lo sapete -e io mica lo so bene- è proprio un pasticcio.







27 January 2014

una torta de vez en cuando

(ma non di compleanno)


Era fine novembre quando Pistacchio e io, decisamente emozionata, ci recavamo alla prima festa di compleanno a cui fossimo stati invitati nella vita sua bimbinesca, lui, e di mamma, io. Simpatiche sorprese degli espatri plurimi, dell'isolamento e dell'averci messo un anno a fare qualche amicizia... che non sia rimpatriata :(

Direttamente dall'uscita del nido ci infilammo in un traffico da bolgia dantesca per recarci alla festa. Pisti ripetendo come un mantra il nome dell'amichetto del festegiato Oa-Oa-Oa, un bimbo un anno più grande di lui, dal quale è rimasto come folgorato, Oa-Oa.Oa a tutto spiano, nonostante non sia per nulla ricambiato, ma per nulla proprio. Il papà-chercheur avrebbe dovuto raggiungerci lì, ma non pervenne mai a destinazione. Maledetto. Al telefono la sua voce pareva quasi canzonatoria. Ma chè davvero pensavi che sarei venuto? Finalmente un paio d'ore tutte per me e per giunta in casa mia... (ne vogliamo parlare? nessuno ne parla mai, forse perchè tutti hanno qualcuno che prelevi regolarmente la prole per passeggiarla? Noi che invece non abbiamo nessun passeggiatore di prole, che non sia uno di noi due medesimi e cioè io -a.k.a. Squabus- o lui, anche detto il chercheur... Ma quanto mi manca avere casa mia tutta per me ogni tanto?).



Il mio entusiasmo scemò abbastanza in fretta, sebbene fossimo arrivati all'orario previsto della festa più 5 minuti appena, seppur gli invitati alla festa fossero pochissimi (7), anche in virtù della condizione di ancor-più-fresco-espatrio della famiglia del festeggiato (ma 7 sono poi davvero pochi per una festa di 2 anni?)... seppur tutto e pur tuttavia, regnava già un discreto caos, alla nostra prima festa di compleanno. Un caos di fronte al quale Pistacchio iniziò subito ad andare in escandescenza. Aggiungiamoci poi che l'amichetto vicino e preferito del festeggiato, quel Oa, bimbo un anno più grande di Pisti, nonchè figlio di una donna che io amo, iniziò le solite scenette di rifiuto verso Pistacchio medesimo. Tipo: Pistacchio che si avvicina per prenderlo per mano e lui che fa come per sputarlo. Proprio così: io ti sputo! Una roba da prendere il cuore di una mamma e scuoiarlo vivo dalla tristezza. Il mio e quello della mamma del piccolo rifiutatore incallito, per altro donna da me adorata e a sua volta adorante Pistacchio. Risultato: ogni due minuti Pisti scoppiava in lacrime.


E quindi nervosismo. Insofferenza. Pessimismo e fastidio. E ad un certo punto anche voglia di basta. Che fare i Tafazzi della situazione, anche no, insomma. Facciamo festa se ci divertiamo, se no, anche no, mica ce l'ha ordinato il medico...

La farò corta (!?)... Pisti manifestava disagio a ripetizione e a tutto spiano. E io più di lui. Si è capito, mi pare. I toni medi erano gridati. I bimbi un po' impazziti e comunque affiatati tra di loro. I giochi continuamente oggetto del contendere. Che te lo dico a fare? Probabilmente un copione visto e sentito dalla notte dei tempi. Ma non da noi, emigrati e sfigati, alla nostra prima festa di compleanno. SOno lì che tengo Pisti rifugiato sulle mie gambe e maledico e benedico allo stesso tempo il mio blocco per il parchetto. Il mio avere deciso un giorno che il nido a quello serve: a socializzare. La mamma anche no, mica è obbligatorio. E che quindi io il mercoledì posso anche risparmiarmi di portarlo al parchetto visto che socializza 4 giorni a settimana e che a me provoca reazioni allergiche. Ma vedere sempre gli stessi bambini del nido è davvero socializzare? O è piuttosto come giocare con 13 fratelli? Alla lunga. 
In quel momento alla festa gridata sono lì con Pisti, attaccato alle mie gonne, mi dico che dovrò superare la parchetto-fobia ed educare mio figlio alla condivisione di luoghi e tempi con altri bimbi sconosciuti. Quanto è importante davvero questa cosa? Quanto è fondamentale che lo faccia io? No perchè ho un attimo i sudori freddi.
Fatto sta che, assoltami per il mercoledì, alla fine dei conti, la più parte delle volte nel week end le questioni sociali al parchetto se le gestisce il chercheur. Tana libera Squabus. Sono salva. Fino al momento della cazzo di festa (pardon my french), in cui -chercheur non parvenuto- mi ritrovo a fare fronte all'evidenza che non sono allenata a quella situazione e soprattutto che molto mal la tollero.




E quindi soffro e fatico, finchè sussurro piano al Pisti, 22 mesi di bimbo tra dieci giorni all'ora della festa: bimbo, quando vuoi tu andiamo a casa. Per tutta risposta, senza neppur lo spazio di un pensierino, il piccolo e deciso quasiventiduemesenne Pistacchio fa ciao con la manina a tutti e si dirige alla porta. Non è neppure la prima volta che manifesta con tanta determinazione di volere andare via. Va benissimo. Lasciami solo raccogliere tutto. Vuoi salutare i bimbini? Vai a dare un bacio a tutti?


    M a i
    p i ù
    i o
    t i
    c h i e d e r ò
    s e 
    t u
    v u o i
    b a c i a r e
    u n
    a l t r o
    b i m b o...
    I o
    t e
    l o
    p r o  m e t t o
    s t e l l i n a
    m i a.

Il bimbino rifiutatore di Pistacchi dolci e teneri, si ferma, sembra che stia accettando il bacio, ma sul più bello si gira e morde Pistacchio sulla guancia. Anche abbastanza forte. Pisti -stavolta più che comprensibilmente- piange, ma smetterà quasi subito, mentre la reazione della madre del rifiutatore morsicante, nonchè donna da me adorata, è fulminea. Lo prende, lo mette sulle sue ginocchia, gli abbassa le mutande e lo sculaccia, davanti agli altri, per fortuna pochi, due, bambini, rimasti. Poi lo porta via in un'altra stanza, lo chiude lì dentro e torna da noi. Si scusa, è cerea e mortificata.
Io sono pietrificata.


Le avevo sentito dire qualche volta al suo piccolo rifiutatore di Pistacchi: se no la smetti... te doy una torta. Era la prima volta che dalla minaccia la vedevo passare all'azione. E così il piccolo Oa, invece del bacino di Pisti, si prende un tortazo en el culo (e in omaggio anche qualche minuto solo chiuso in una stanza).

Sono talmente provata da una giornata di lavoro, il recupero nido, il traffico, la nostra prima festa con tutte le brave aspettative (che ingenua), Pistacchio così sensibile e instabile... che mi scappa da piangere pure a me, giusto un attimino. La verità è che da un po' ho perso il mio zen e non so dov'è finito e lo rivoglio, lo necessito, ridatemelo. L'è brutta la stanchezza.


Nei giorni successivi io e la mamma del rifiutatore ci siamo riviste un po' di fretta al lavoro, per i corridoi, poi in sala da pranzo, abbiamo chiacchiericciato, ma rapidamente, di altro. Finchè il giorno prima delle ferie, ci stiamo salutando, gliela butto lì. Mi spiace per l'altra volta... non ne abbiamo più parlato.




Però, adesso le parlo. POtrei benissimo fare finta di niente, non ho nessuna intenzione di pormi come paladina dell'anti-tortas. Pero lei mi piace assai e non riesco a farne a meno, quindi le sto parlando. Le confesso il mio stupore.... E lei è quel meraviglioso fiume in piena che tanto mi piace.
Una torta de vez en cuando no hace daño. 
Una torta de vez en cuando es la unica via.
De verdad, te lo digo yo, es la unica manera

La lascio parlare, della sua convinzione che la torta sia l'unica via, lei che, de verdad, è così tutto incredibilmente il contrario di quello che sta dicendo. Quando ha finito e solo allora, parlo io, mentre ascoltandola non pensavo di trovare l'energia. Invece ora mi sto ascoltando parlare.
Io parlo a lei fuori e intanto dico alla me dentro:
Ma che minchia stai dicendo? 
Fermati ora (...fermati adesso lascia che il vento ti passi un po' addosso...)

Lei resta ferma e salda sui suoi principi. Rispetta i miei e promette che mai più voleranno torte in alcuna situazione relazionata a Pistacchio. Che poi era quello di cui l'avevo pregata all'uscita della pietrificazione, quella sera stessa.
Ci diciamo anche che eviteremo di insisterli vicini e men che meno a baciarsi, che se vorranno si verranno loro incontro. Speriamo che il tempo...


Io mi sento un po' così, come una che ha parlato assai.

Spero soprattutto che avrò sempre la forza di rispettare questo principio che mi pare così lapalissianamente condivisibile. E invece non lo è affatto. E poi è così labile, il confine, che mi fa paura solo guardarlo. Ma bisogna.


Quanto alle feste di compleanno, alla bolgia, ai litigi, ai pianti, quella sensibilità, al voler andare via e tutto il resto... io ne ho parlato con una mia amica mamma. Soprattutto del timore di proiettare cose mie e solo mie su quel Pistacchietto lì. E lei mi ha detto di aspettare a vedere come andrà la prima festa   in cui Pistacchio giocherà in casa.... Ecco, sarà... qui manca moooooolto poco, ma avverto una leggera ansia. Leggerissima proprio.

14 January 2014

sono proprio io




è me stessa che osservo mettere aposto il camion dei pompieri, il coniglietto, le pentoline. Sono io che prendo una spugna e la passo sul copridivano. Poi sbarazzo tutto, metto i piatti in lavastoviglie, pulisco il tavolo, raccolgo le briciole per terra. Mi sento spossata, stanca, ma anche distaccata, di sicuro ho addosso una faccia molto scura. 


Quella mattina sono tornata al lavoro dopo le vacanze di natale. Sono io quella che parla col medico del lavoro per la visita annuale di routine. Per me è la prima. Sono sempre io che dico che mi paiono strane tutte quelle domande evidentemente volte a capire se c'è una situazione di mobbing o esaurimento. Dico che capisco che sarebbe un conflitto di interesse, ma che io ero abituata a che certe domande le facesse lo stesso capo, in occasione di quei bei bilanci annuali, difficili da fare ma molto utili per centrarsi, guardare avanti e darsi lo slancio.


Non dico che ho avuto un periodo di burn out. No, probabilmente non faccio per niente bene, ma voglio ricominciare daccapo, non ho voglia di una ramanzina su qualcosa che capisco molto bene. Su diverse risposte al questionario sono diversamente sincera. So che non va bene, che devo risolvere certe cose, ma ritengo di potercela fare.

Sono io, proprio io quella lì seduta mentre la dottoressa mi fa le domande di routine. Operazioni, malattie importanti nella famiglia. Diabete, cancro?

Mia madre è morta di cancro ai polmoni.
Che età aveva?
64 anni
Il y a beaucoup de temps?
Il y a deux ans y quelque, dico io. La mia voce è ferma.

Lei fa una certa faccia, come allarmata e dice: ah, da poco... Dice proprio così. E poi mi fa una domanda semplice, anzi la più difficile, con la voce più empatica che si possa immaginare.
E come va? Sei riuscita a  faire le deuil ?


Mentre sto pensando che persino in francese suona meglio che in italiano, sento i rubinetti che si aprono, io sono pura spettatrice, non posso credere ai miei occhi, non posso credere all'acqua che stanno perdendo. Forse piango perchè fuori da quella stanza sembra che nessuno riesca ad immaginare... che più di due anni non sono che un soffio, che no, non sono bastati. Non ci sono ancora riuscita.


Dal punto di vista idraulico ho delle attenuanti molto valide che possano spiegare questa improvvisa sovrappressione, aldilà del fatto stesso che fa già un'ora che chiacchiero con questa  donna. E che questa donna da circa un'ora sembra in qualche modo volermi stanare. E be voilà, tana per Squabus.

Quella stessa mattina Mezzo si è svegliato presto e non ha più voluto dormire. Siamo rimasti accoccolati sul divano al buio a raccontarci le storie fino a che non ha fatto luce. C'era la copertina di lana che mia madre aveva fatto per me neonata, con questa pataccona che sarebbe una lumaca, ma senza le antenne. Mezzo mi chiede cos'è. Lo sa, ma lo vuole sentire: è una lumaca. Per la prima volta... Gli dico l'ha fatta la nonna. Lui dice nonna A.. Per la prima volta dico al Mezzo il suo nome. No l'ha fatta la nonna Sissi.  Mezzo ripete soddisfatto nonna Sissi. Gli piace il suono, nonna Sissi.
Più tardi quella mattina mando una email ad una nuova amica che per l'ennesima volta mi incrocia increspata, triste. Mi dice che le dispiace che Montepello mi metta tristezza. Quale sciocchezza più grande...  Decido di allentare il sacco e tirare fuori qualche ragione. Le dico che ho un peso privo di parole sul cuore e che quel peso si chiama mamma.


Infine, infinitamente straziante, la dottoressa ha il volto di mia madre sul letto di morte, ma nella sua versione viva, sorridente e allegra.  La somiglianza mi dilania il cuore e deve essere quello il particolare per cui, in corrispondenza di quella domanda, si aprono i rubinetti. C'è una spiegazione idraulica molto convincente.


Sono io quella che torna a casa, cammina fino alla fermata del tram, invece di prendere l'autobus, poi se ne va a casa, senza tornare al lavoro, spossata e distrutta. Quel giorno Mezzo vedrà il chercheur far capolino dalla porta al nido.

13 January 2014

Sotto il prossimo!

Natale è un periodo critico. Bello per chi sta bene, difficile per chi non è sereno e in armonia. Natale ti mette di fronte allo specchio e ti costringe a fare la pace, dico io. E se non ci riesci son cavoli amari e bruttura forte.

Il mio ultimo natale ha avuto alcune cose migliori dei precedenti. Mio figlio sopra tutto. Un pizzico di consapevolezza in più e la voglia di andare avanti, anzi soprattutto oltre, che è diverso. E poi, senza ombra di dubbio, la rete. Queste belle donne e uomini con cui ci si incontra spesso in questa piazzetta virtuale. Si cinguetta, si chiacchiera. E poi ogni tanto una pacca sulla spalla al momento giusto, o nel punto giusto. Un'attenzione, un piccolo gesto, una cosa carina. Da cartolina nasce cartolina e poi tutto il resto, che non è mica poco, proprio per niente. Io sono contenta di aver messo da parte il mio proverbiale cinismo ed essermi messa a giocare. Un grazie di cuore va a Francesca e a Daniele ovviamente. Grazie a tutte le altre scrittrici di cartoline per avere giocato con noi!

Questa la raccolta di cartoline, da Francesca le parole


Buon attesa del prossimo natale a tutti :)
Sotto il prossimo che già homeno paura...

05 January 2014

Mille e una Cartoline da 'Tale


'Tale 2013



Natale e io non voglio odiare anche questo.
Le previsioni lo vedono più rosso che mai.
Il nonno, poi,  quest'anno ha fatto persino l'albero.

 
Natale e mi chiudo in camera da sola come un'adolescente per far passare la marea. Un papà che asseconda il mio istinto alla clausura. Che poi ha funzionato, passata l'onda anomala posso tornare in società e sembro anche abbastanza in forma.

Natale che dal nonno mi aspetta un pacchettino giallo. Dentro una lettera ed un altro pacchettino col nastro bianco e rosso, e io non vedo l'ora che Pisti scarti anche quello...

Natale e una passeggiata a Garabombo, un panino e le chiacchiere con un'amica. Natale che in fondo  quest'anno sono stata brava, come sempre impacchetto con la carta di giornale, per la gioia del disappunto familiare,  ma quest'anno il vezzo del filo di lana verde o rosso.

Natale e piccole promesse che sollevano dalla solitudine di certi pensieri e certi racconti che non riescono a prendere il volo.

Natale ed il Sudoku tutto sbagliato che non sono più come quelli giovani.


Natale ed arriva Natale, proprio lui, il protagonista. I nipotini riuniti, il nonno e gli otto chili di carne al fuoco e le troppissime pietanze cucinate. Prima che ancora crede a babbo natale, Secondo che non è più furioso e parla un po' come Verdone, il mio piccolo grande Terzo che oggi è lagnino, ma poi capirò il perchè e mi commuoverò, Quarto che patatosamente patata.. e me lo annuso tutto sperando nella magia e potere taumaturgico del nipotino spupazzato.

 
Natale ed una gita al mare noi tre due e Mezzo con altri due ed il loro mezzo che ci ha scaldato il cuore e poi fatti precipitare nella malinconia nostalgica di quello che non c'è. Pisti che legge il libro del NO col la zia, chiama con gli occhi innamorati Ita Ita e sembra pazzo di gioia di stare in compagnia.

Natale e realizare che in mezzo a tutti i blues possibili qui c'è anche il Toddler blues.
Natale e lasciare il Mezzo che dorme, attraversare un pratone per fare le chiacchiere. Ridere e riproporsi di vedere Non ci resta che piangere.

Natale e vedere comunque poco gli amici, lasciare dai nonni una sera a cena quello
Mezzo e non sentirsi esattamente al proprio posto. E fare un po' di pensieri duri che bisognerà tirare fuori...
Natale e due amici che si sposeranno... ed è bello, ma la cosa proprio tanto triste è che forse noi non ci saremo.


Natale, passeggio con Pisti per il quartiere del Paesello abbandonato, incontro frammenti di passato e sono sempre la solita fontana rotta. Natale ed un 31 triste, ma anche romantico, rimasti soli, anche a capodanno, ci rintaniamo, il
Mezzo dorme e noi mano nella mano stesi nel letto. E sapere che è mezzanotte solo dai botti.

Natale e la speranza che il 2014 non sia anche lui così. Che resti solo il romanticismo sgangherato, quello sì.

 
Natale e la prima tradizionale (io lo spero) passeggiata del primo dell'anno, una Squa, un Chercheur e un Pistacchietto a Milano senza passeggino, lasciato volutamente a Montepello..  'Tale che mal di schiena!
'Tale ed una pennica reale di 3 ore il primo dell'anno per tutti i due e Mezzo della combriccola.'Tale e l'insonnia del primo dell'anno, una chiacchierata di mezzanotte davanti a due camomille. Alcuni propositi folli e allegri, promesse e cose che si dicono solo a capodanno.
'Tale e i propositi miei e solo miei con i quali sto ancora dialogando...

'Tale e compro i semi di zucca aspettando la prossima marea. 'Tale ed un'ultima pizza in compagnia, questa volta anche se un po' titubanti, il Mezzo ce lo portiamo dietro. 'Tale ed il Mezzo mangia la sua pizza, sta seduto al suo seggiolone per quasi due ore con pochissimi capricci, poi corre a rincorrere Ita, pazzo di gioia, poi canta a voce alta O' Sole Mio.


'Tale ed un viaggio lungo lungo lungo ed al piccoletto sembra che inizi a piacergli brumma tu-tu-tu, che significa che la macchina corre (e lui si direbbe felice). 'Tale che questo Mezzo parla e canta il triplo di prima ed è pura gioia ascoltarlo e farsi raccontare le storie. 
'Tale e mangiamo la Gallette des rois e il re è il Chercheur e ci sta tutto!


'Tale che per la prima volta invece di pasta e pummarola ci portiamo in Francia amari e grappini. E mi pare metaforico. 
'Tale che neanche siamo arrivati, c'è in giro il pandemonio, ma cerchiamo di fare miglioramenti alla casa a Sans âme, anche se vogliamo lasciarla presto. 'Tale e quella mensolina là FaiDaTè (chè a me dire DIY mi sta un po' antipatico) che c'ha tutto il suo significato, che va solo cavalcato.


'Tale che per noi oggi finisce, chè in Francia la befana: non pervenuta. 
Tante tante tante cose belle a chi passa di qui !




Potrete leggere i post che hanno partecipato alla #cartolinadalnatale qui.
Avete tempo fino al 7 gennaio per partecipare, se ce l'ho fatta io, potete farcela anche voi!!
 



01 January 2014

Ciao 2 0 1 3, non mi mancherai

P.A.S. (Post Ante Scriptum)
Questo revival è stato un esercizio meraviglioso e facendolo mi sono accorta della meraviglia dei commenti lasciati dopo, quando il blog è scorso via altrove, ma quelle parole sono rimaste. Magia del blog. Se seguirete il revival (che mi è parso come uno di quei video put-purì, strappalacrime) e vi verrà voglia di lasciare una traccia nel passato, fatelo, vi prego...


2013, un anno intenso, durissimo, come direbbe Mario...

2013, l'anno della depressione bianca, che continua ancora, bianco sporco forse, o tinta pastello. Che quando la dico questa depressione, non viene creduta. Ma che dici? No no non sei mica depressa tu. [Ma se stai benissimo] mi pare persino di sentire. Eppure io proprio bene-bene non sto. Quel che hai è una depressione bianca, che comunque sorridi, vai a fare la spesa e giorno per giorno il minimo indispensabile. E tutto il resto è spreco, noia, tristezza, pigrizia atavica.


2013 l'anno che però ci provo, prendo, simbolicamente, un treno a caso, questione di provare. Hai guardato fuori dal finestrino, hai lasciato lo sguardo correre sulle vigne spoglie e abbandonate ad un sole assoluto e ghiacciato. 

L'anno del coraggio disperato... Laptop in grembo, ho pigiato sui tast: blog mamma montpellier. Zio Google è stato gentile con me, restituendomi in uscita tanta speranza e colore (...)
Del dire a Bianca ci incontriamo? Poi l'incontro, le chiacchiere, poi i saluti, i pensieri, i messaggi.


2013 L'anno della lotta alla timidezza, in cui spiego perchè non mi vergogno di abbracciare gli sconosciuti


L'anno che dopo avere fatto jackpot altrove e aver lasciato tutte le monetine nella slotmachine, aver voltato le spalle, verso altri lidi, ho trovato un lavoro nuovo. E non è mica poco. E proprio mentre trovavo questo lavoro nuovo, ho scritto tantissimo di parità e concilicazione, di genitorialità a quattro mani. L'anno che ho descritto in maniera logorroica cos'è un mamadag


Poi ho smesso di scriverne e mi sono fatta più frivola da una parte, tanto cupa dall'altra. Forse ho smesso di scriverne anche perchè, riguardo alla conciliazione, mi ha colto un pensiero amaro che non ho ancora elaborato e digerito, ma l'ho comunque scritto altrove, non sul mio blog -come spesso capita-  ma a casa di una persona che mi piace.


Correva l'anno 2013 quando invece ho deciso che mi merito di giocare anche io.
E  ho giocato e la frivolezza l'ho poi racchiusa in tante cartoline colorate e bellissime, nei racconti d'Olandia che ho voluto regalare a Francesca. Col cuore. E in nuove cartoline che verranno (entro il 7 gennaio! giocate anche voi!!).


2013 e ho ballato tanto con Pistacchio. Quella playlist è cresciuta un pochetto e dopo un po' di dimenticatoio è tornata in auge ultimamente, con Pisti che balla con le braccia e le ditina su e giù. Da un po' vorrei aggiungere My Sharona e non so perchè non ci sono ancora riuscita.


2013 anche su toni molto meno allegri, ho ho fatto tanto-tanto grieving (...) to grieve. E' efficace perche' e' un verbo, descrive un'azione. Cioe' tu sei li' e quello fai. Puo' sembrare che soltanto guardi fuori, cammini su e giu' per la stanza milioni di volte, mangi (troppo) cioccolato, vai al mare -quello li'- per una settimana e te lo guardi tutto, ti svegli all'alba e ti vengono i pensieri, esci e compri quel paio di scarpe, ti rannicchi sul divano e speri che i singhiozzi si calmino, vai a nuotare... ma quello stai facendo: you grieve. And I keep grieving (...)
Il cammino è ancora lungo, lunghissimo.


2013, ho creato il ripostiglio. Che è un posto proprio importante dove ci sono parole visibili ed invisibili. La sfida è tracciare quel che non riesco a pronunciare con inchiostro intellegibile. Sfida ancora più grande è scrivere nuove parole, non sempre le stesse ma in mille salse. Trovare nuovo senso. Riprendere il cammino. Trovare un nuovo senso.



2013 e per arrivare a certe mensole del ripostiglio parto raccontando una storia di burnout, che non ho ancora finito, ma continuerà qui, prima o poi...



2013 e il blog, finalmente per davvero. E si vede che è vero quando io credo di essere criptica e impercettibile. Poi all'improvviso, un senso di spossatezza e di vertigine. Non è successo apparentemente niente. Nulla si è mosso fuori. Solo, silenzioso, quel dolore allo stomaco. Come un pugno. Pedalando lasci sfogare una leggera sovrappressione. Un piccolo mancamento impercettibile. Invece c'è chi capisce a pieno cosa sto dicendo e si preoccupa per me. Grazie amica virtuale, lontana, ma vicina.  Grazie di non avermi mandata a stendere ed esserti presa la briga di chiedere e di spiegare.


2013 e gli amici virtuali appunto. Mica tanti, mica pochi. Giusti. Affettuosi, colorati, delicati. Belli proprio.

2013 e i blogstorming.  Mi sono un po' distratta da genitori crescono, per tanti motivi, in parte anche per la poca accessibilità da smart phone (deco andare a segnalarlo, ora che ci penso).


2013 piccole mamme crescono e fanno critica al mammacentrismo (parte prima).




2013 ed il librino preferito di Pisty [che nell'ultima settimana di dicembre ha potuto leggere con la zia che gliel'ha ce l'ha regalato] che mi ha insegnato come La sfida ai  propri limiti è una cosa seria, ancora più importante di una verità o una menzogna.



2013 ho corteggiato una donna bellissima che ora è amica mia.
(...) da quando sono espatriata, fare amicizie femmine ha preso gli stessi contorni emotivi del corteggiamento di un potenziale fidanzato. Mi emoziono, mi batte forte il cuore, guardo il soffitto prima di addormentarmi, domandandomi Starà pensando a  me? Le piacerò? Io le donne adulte che mi piacciono le corteggio. Ci flirto sperando di essere ricambiata. Le delusioni di un'amicizia che non nasce mi devastano anche più dei primi amori di adolescenza.  


2013 ho giocato un po' a calcetto. Quando ha sentito che persone dell'istituto il mercoledì vanno a giocare a calcetto, squadre miste, Squa le sono brillati gli occhi, come a Mila Hazuki o sua cugina Mimì durante una partita importante. Ferma, entusiasta, convinta, ha chiesto se poteva giocare anche lei.


2013 sono tornata  a recitare. Il fatto è che ci si prepara, ma capita che non ci si senta mai davvero pronti. Poi al momento della Prima le cose funzionano: vuoi perchè il risultato da raggiungere lo sai tu, ma chi ti guarda no. Chi ti guarda, lo fa con altri occhi, quasi sempre più gentili dei tuoi. Che poi, e questa è un po' la magia ...in realtà il risultato, tu che reciti, non lo vedi proprio (e in video non vale mica). Teatro è impegnarsi a fare qualcosa che sarà per tutti, altri attori in scena compresi, tranne che per te. E doversi fidare del ritorno. Una cosa magica.



2013, un anno a guardare i tram. Mi piacerebbe che qualcuno ci fotografasse, mentre ce ne stiamo lì seduti. Lui sul suo passeggino, io affianco, per terra. Restiamo  in silenzio, in attesa. Guardiamo i tram che dormono. Aspettiamo, speriamo che ne arrivi uno. E secondo me siamo bellissimi.


2013 e il toddler -e tutti gli altri- blues


Insomma a revival compiuto, mica male per essere stato un anno duro e difficile...
Salutando il 2013 mi ripeto una cosa che dice così:  le cose non possono toccarti finchè non ti toccano davvero...
Io sono qui. E faccio ciao con la manina

30 December 2013

Grazie Mario!

Questo post doveva intititolarsi Ciao 2 0 1 3, non mi mancherai e doveva iniziare più o meno così:

2013. Un anno parecchio denso. Duro e difficile.

Poi sono scoppiata a ridere mentre lo scrivevo perchè ho pensato al mio amichetto col quale condivido una passione sfrenata per Non ci resta che piangere. Tipo che lui comincia a citare il film e io rido come una scema e gli altri due ci prendono per il culo. Ma in realtà è che sono contenti di vederci ridere e forse tirano persino un sospiro di sollievo, Finchè ridono.... E ridono! Ridono talmente che hanno deciso che lui è Mario e lei Saverio (chi altri poteva essere?). Ridono talmente di gusto che il proposito più a breve termine del 2014 è rivedere quel film con lui per iniziare il 2014 tra grasse risate. 


Mario, il mio amico che ha voglia di ridere, mi ha detto l'altro giorno, massaggiandosi la schiena dolorante: Squa (buffo scriverlo, ma stavolta è vero, perchè lui, insieme a pochi altri, mi chiama davvero Squa nella vita reale)... Squa è stato un anno duro, ma proprio duro, durissimo. Guarda si, proprio difficile. Io sorrido, perchè Mario l'anno scorso di questi tempi mi diceva esattamente la stessa cosa. Uguale. Probabilmente l'anno prima pure. Ma no, Squa, quest'anno di più, credimi. Duro duro duro. E non è che Mario abbia voglia di lamentarsi. E' che è persona di sensibilità sopraffina e le cose le sente, non gli passano sopra. Con una sensibilità così le brutture della vita si sentono forti e chiare, nitide, come schiaffi repentini che poi lasciano la guancia dolorante a lungo. Ma poi pure le cose belle passano lasciando quel velo di malinconia e poca leggerezza. Però io, caro Mario, io ti vedo proprio bene alla fine di questo 2013 e lo dicevo giusto stamattina alla Teddy chattando, e quando vedremo Non ci resta che piangere lo dirò anche a te. 


Un'altra cosa ti ho già detto ieri sera, in questa strana cena per me -forse anche per il chercheur- fuori dallo spazio-tempo... perchè era un anno buono che non mi trovavo in una situazione così e mi ero dimenticata che cosa significa essere circondati da amici atavici, come li chiamo io... e alla fine è inutile girare in tondo a questo stato depressivo e cercare scusanti e ragioni. Questa è una delle ragioni principali. Essere privi di una cerchia di amici che ti sanno, nonostante le contraddizioni intrinseche. Parecchia contraddizione, perchè sanno qualcosa che non c'è più, in fondo. Ma c'è pur  sempre, per altri versi. E allora ti senti di nuovo piccola e scura come il brutto anatroccolo permaloso che eri, mentre il cigno che vorresti diventare, cerca posto, scalpita, si picca, pure lui. Ed è un gran putiferio. Di occasioni perdute. Di rimpianti. Di cose che non saranno mai più. Di nostalgie di mondi ormai inesistenti. Di cose che vanno lasciate andare, come lanterne sull'acqua (un po' come diceva Close in un bellissimo commento).


Te l'ho detto ieri sera, ma non so se mi ha ascoltato, che conviene che ti prepari al prossimo livello, perchè, ascolta a me, il livello 2014 è più duro ancora, ne sono certa. Sicura. Certificata.


 Questo post doveva intitolarsi Ciao 2 0 1 3, non mi mancherai, invece -a celebrare il fatto che è bello cambiare programmi, anzi in fondo è la cosa più bella che possa capitare, quando si ha il potere di scegliere- questo post ora si intitola Grazie Mario!

Ed è dedicato a Mario e alla sua compagna, che il prossimo sia il vostro anno ragazzi. Suerte!

29 December 2013

Toddler blues

Adoro la luce che c'è al tramonto nella cucina di mio padre.
La giornata volge al termine, la notte sta per sopraggiungere e la cucina rossa e arancione si tinge d'oro e di speranza. Sa di promesse e speranza per il futuro


Il presente, invece, ha un suono buffo che fa: Toddler blues.


Tante mamme sono state sopraffatte dal post parto, lo raccontano come un momento nero, un pozzo senza fondo. Io mi vergogno a dirlo, ma oggi mi faccio coraggio. Io non ho avuto la depressione post partum. Io ho avuto l'euforia post partum. Mi sentivo una leonessa, ero felice, centrata, allegra. Quella sensazione è durata fino al primo anno circa dopo il parto, quando ho smesso di allattare. Anzi è finita un poco prima, più o meno quando ho traslocato. Lì si è rotto l'incanto, ma ancora tenevo botta. Quando l'allattamento ha volto al termine c'è stato l'inizio della vera e propria caduta. Il pozzo l'ho visto nell'era del toddler, per così dire. Quando quello che era un baby è diventato un toddler che cammina e dice sempre e solo no. Che si sveglia presto e vuole compagnia. E all'improvviso non ama più stare da solo. E ti prende la mano e pretende che tu ti sieda vicino a lui. E che non puoi cucinare, perchè tu sei suo ostaggio, e non può esistere niente altro al di fuori di lui. La claustrofobia. Poi l'ansia improvvisa che gli è presa e al buio si paralizzava. E a letto non ci voleva andare. Erano i tempi della trincea. Dalla quale mi pare che lentamente, per molti versi, siamo usciti fuori, mi pare.  A botta di lunghe ore a giocare in camera sua insieme, a suon di baci e coccole e abbracci stretti. E canzoni. E storie sussurrate all'orecchio. In questo post-natale Pistacchio sembra finalmente di nuovo sereno, come lo ricordo. Nonostante dorma quasi ogni notte in un letto diverso dalla notte precedente. Nonostante veda tanta gente e non ci sia affatto abituato. Nonostante la sua mamma sia mica troppo troppo spensierata.


Insomma l'euforia post partum -almeno la mia- non era solo una questione fisiologica. Non era solo la biochimica della felicità e dell'allattamento. Quell'euforia là era sostenuta da una vita lieve in un paesino medievale, un lavoro bello che mi aspettava. Un nido allegro dove andare a piedi spingendo un passeggino e tornarci in bicicletta. La comodità di un paesino che lo avessero disegnato non poteva essere più vivibile.

Conciliazione.

Conciliazione non è solo una mamma, un papà, la prole, degli orari, una rete di aiuto al contorno. Concilizione sono servizi, e anche allegria. Anche una vita semplice. Con tutto ben disposto intorno che non si debbano fare i salti mortali per vivere. Che l'importante è vivere, non le attese in coda al confine tra un pezzettino di vita ed un altro.


E quindi credo che non ho avuto il baby blues anche perchè la vita nel paesino medievale era conciliante. Perchè avevo una rete intorno e ho a fianco un papà che condivide a metà la genitorialità. Perchè l'avventura è iniziata con noi al centro, senza interferenze e conflitti di interesse. Poi c'è stata anche una cosa fondamentale nella nostra prima settimana, in Olanda si chiama kraamzorg. La neomamma e il suo piccolo tornano praticamente all'istante a casa dall'ospedale. Il giorno stesso per parti senza complicazioni avvenuti prima del mezzogiorno, l'indomani per tutti gli altri casi. A noi toccarono 24 ore piene piene e abbondanti, nonostante Pisti sia nato alle 7. Dico con certezza che furono le 24 ore peggiori della mia mammitudine. Una famiglia era nata eppure ci ritrovavamo separati ed in terra straniera. Volevo tornare a casa al più presto, nonostante il terrore di quel che mi aspettava. Per fortuna ci aspettavano anche otto ore al giorno di kraamzorg: assistenza post-parto, a spese dell'assicurazione sanitaria. Che significa una persona che passa una giornata a casa della neofamiglia a fare attività di ogni sorta. Pulire, cucinare, rassettare, dare una mano nel ricevimento ospiti che è tanto di moda in Olanda fin dal primo giorno. Ma soprattutto, per i genitori alle prime armi, un corso accelerato di bimbitudine. Controlli quotidiani di neonato e neomamma. Peso, medicazioni. Spiegazioni varie. Primo bagnetto, che in Olanda fanno dal primo giorno, nonostante il moncone ombelicale sia ancora al suo posto. 


Al terzo (o quarto? non ricordo più) giorno dal parto, quando in seguito ad una piccola divergenza di vedute col chercheur scoppiai a piangere e non si trovavano più i rubinetti,  la kraamlady stava giusto per andarsene. Ricordo lei che si ferma sulla porta, con la giacca in mano, torna in dietro, afferra il libretto di istruzioni, che pareva il libretto dei compiti delle vacanze di un bambino di quinta elementare, con disegnini da compilare (quali curve del peso, temperature basali), spazi da riempire (poppate, diari giornalieri di cacche e quant altro). Apre il libretto a pagina x e mi mostra, vedi, lo dice anche qui: il terzo (o quarto?) giorno si chiama weepingday, gli ormoni cadono. Piangete tutte. Ma poi passa. 

Io non sapevo se ridere o piangere più forte. Neppure il beneficio della specialità mi si concedeva. Maledetta benedetta biochimica. Piangete tutte.


Ho scampato il baby blues grazie ad una congiunzione socio-geografico-astrale che mai più si ripeterà. Ora, pensavo, chi mi salva dal toddler blues?
Poi, il giorno di Natale ho visto la luce. Si chiama nipotino Secondo e ha 3 anni. Non vedevo l'ora che i cuginetti si riconoscessero ma allo stesso tempo avevo paura che Secondo, il nipotino pestifero mi corrompesse il dolce pargoletto che fu angelicato, già sulla via nefasta del toddlerume.


Hahahahaha
Il nipotino fu pestifero aveva 2 anni e ora ne ha 3 ed è un ometto versione mignon ragionabilissimo. Ci puoi parlare, chiedere collaborazione, spiegargli. E lui non solo capisce, ma accetta fino. Cioè lui accetta quello che gli dici e fa quello che gli stai chiedendo. Mirabile dictu. Il bimbino pestifero era Terzo a sto giro natalizio, ossia il mio. Secondo era quello coscenzioso e collaborativo. Quarto era il patato di 7 mesi che dove lo metti sta. E mia cognata preoccupata a dire quindi mi stai dicendo che l'anno prossimo tocca a noi *questo*. Sento deglutire. No perché si, ora capisco perché ti sento provata. In effetti è un filino impegnativo. Deglutisce di nuovo.


Ed io che mi dico che cazzo, in mezzo a tutto il resto, sono in un ciclone in effetti. E cazzo pazienza ci vuole. Pazienza e zen. Cazzo, cazzo cazzo. Ce la faremo. E poi che i bimbi fanno davvero del loro meglio. E noi dovremmo fare come loro. Deglutisco anche io. Il toddler blues passerà. E poi sarà la volta di un nuovo blues. E poi un altro ancora. 

Per ora mi godo questo tramonto.

La luce in fondo al Toddler blues



24 December 2013

dedicato a chi ci prova o ci proverà

Il problema del natale è che non c'è una via di fuga credibile. 
Restare inchiodati lì dove non vuoi essere toglie il fiato.


Cioè dove vai? Cosa fai? E con chi? A natale se devi fuggire you are on your own, non c'è alternativa.
Mi ricordo una vigilia di natale in cui quel ragazzino con i capelli lunghi mi aveva promesso una telefonata. Si dai ci becchiamo, ti chiamo. Si dai che bello! Ciao.
L'ho aspettata parecchio quella chiamata salvifica, ma non è mai arrivata. Quell'anno lì però non mi sono data per vinta. Ho trovato una via di fuga solitaria che forse non era credibile, ma era parecchio coraggiosa. Mi rivedo ancora lì, al buio, le lacrime agli occhi, ma tanto orgoglio nel cuore. Cinema Maestoso in piazzale Lodi, anno cosa? 1999 forse. Quale film? Non ricordo. Ventidueanni o giù di lì e l'esigenza di fuggire via. 


Credevo di aver smesso di fuggire, ma forse non è vero. Ho passato una giornata parecchio decadente, crogiolandomi tra pensieri abbastanza tristi. Ma va bene così. Guardo comunque  in faccia al futuro. Guardo avanti. Penso che se proprio mi tocca fuggire, almeno basta coi sensi di colpa. Se deve proprio essere fuga, che sia in allegria, non con contorno di patate e flagellazioni oggettivamente inutili.
Passo in rassegna alcuni propositi, oggi. Detesto fare propositi. Perchè raramente sono affidabile. Un tempo lo ero. Ero una roccia. Se decidevo una cosa andavo fino al suo fondo, la rivoltavo come un calzino finchè non era mia.
Poi forse ho fallito un paio di cose importanti. Ed ho perso la determinazione, la forza, l'entusiasmo. 
Invece a ventanni mi sentivo dio. Un dio triste e malinconico, ma dio onnipotente.


Ci sto provando a sorridere, a scherzare, a giocare. E mi stupisco parecchio di riuscirci in parte. Stasera però voglio pensare a chi non ce la fa. Dedico un pensiero a chi oggi  non ci sta dentro. A chi non ce la fa, a chi è schiacciato dal natale, dalle sue ombre pesanti. E da tutto il resto.
Dedico un pensiero soprattutto alle anime giovani. A ventanni certe cose sono molto faticose. Però non siete soli e se anche siete soli oggi, non lo siete in potenza. Non lo sarete un giorno, se la speranza sarà abbastanza.


Di propositi non ne voglio fare. Vorrei solo riuscire a fare mente locale e ricordare cosa mi ha portato di bello quest'anno, perchè pensare solo a quello che non mi ha portato è troppo semplice ed ingiusto. Soprattutto, più che propositi, voglio farmi una promessa. Voglio stendere una rete di salvataggio e voglio vederla sempre lì sotto, a ricordarmi che non deve essere per forza così difficile. E la scelta è mia.

E' ora di riprendere in mano quella matrioska che è rimasta in brutta copia tra le mie bozze. Tra l'altro, ne ho comprata una blu al mercatino di natale. L'ho comprata perchè mi faccia da promemoria che è ora di riprendere il cammino. Non sono arrivata abbastanza lontano e da sola non ce la faccio. Ho bisogno di aiuto e chissà forse anche di un supporto.   Credevo che avrei continuato a rifiutare di doparmi per stare meglio. Non sono sicura di sapere più le ragioni di questa mia testardaggine. Non so neppure se voglio ricordarmele. Invece ho deciso che mi arrendo. Lotterò come posso, ma poi mi prometto che se va avanti così io accetterò di modificare la mia biochimica. Il natale 2013 è il natale della resa. Mi arrendo. E decido di lottare, due facce della stessa medaglia. E' il fronte della battaglia a cambiare.


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Oggi ho simbolicamente preso in mano un sudoku. Ho iniziato a risolverlo, armata di una penna, rosso natalizio. In memoria di quel natale, che a giudicare dall'ironia che ci ho messo dentro, non era andato neppure troppo male. Lei stava bene. Lui era despota come normale. Succedevano cose. Avevo 30 anni scarsi e la mente ancora fresca. Il sudoku di oggi mi ha messo di fronte ai miei neuroni invecchiati. Oggi neanche io riesco più a risolverlo senza gli appuntini.

Quel post del sudoku è uno dei post a cui tengo di più in assoluto.


E oggi lo dedico di cuore a chi fa fatica. 

buon natale,
che lo amiate o lo detestiate,
che porti qualcosa di buono...

22 December 2013

vino e spumante a natale

Era fine maggio-inizi giugno. Pisti aveva quasi quattro mesi, lui, mio padre, era in visita nel paesello medievale. La mia scusa per convincerlo a venire era che Pisti iniziava il nido ed io a lavorare e che quindi una mano ci avrebbe fatto comodo. Non che non gli facesse piacere venire. Anche lui, come me, adorava il paesello medievale. Usciva di casa al mattino per prendere il giornale. Con 10 minuti appena di passeggiata tra i canali era all'edicola del centro che aveva i giornali internazionali.
Andava a fare la spesa nel piccolo supermercato sotto casa, poi ogni giorno esplorava una viuzza nuova, lungo i canali. Gli piaceva quella dimensione. Deve essersi detto: questo è il paradiso. Il fatto che ad un certo punto avesse lasciato la sua schiuma da barba, il colluttorio e si fosse comprato una tuta e delle ciabatte da lasciare nel cassetto dedicato a lui, nella casa in Fockstraat, la diceva lunga. Il messaggio era arrivato a destinazione: se voi mi invitate io verrò con gioia a passeggiare tra i canali e darvi una mano.


Indossavamo le giacche autunnali in quei giorni di fine maggio, come ogni primavera olandese che si rispetti faceva fresco e minacciava costantemente pioggia. Eppure quel giorno, mentre passeggiavamo, scoppiò un caldo improvviso, che sorprese noi e le nostre giacche pesanti. Tornammo a casa accaldati, io bevvi acqua, lui il suo te quotidiano, sorseggiato a tutte le ore. E alternato al jack daniels. Per fortuna in visita da noi nel paesino medievale limitava gli alcolici ai pasti. O almeno credo. Certo perseverava nella sua ostinazione di non pranzare nè fare colazione. Un solo pasto al giorno, a sera, e litri di te poco zuccherato, tutto il santo giorno. Un'abitudine che aveva da più di trent'anni, iniziata nei suoi primi anni di lavoro, per non perdere tempo col pranzo. Negli ultimi anni si erano aggiunte dosi sempre più massicce di superalcolici. A tutte le ore del giorno.


Quel pomeriggio eravamo nel soggiorno-cucina, era tornato anche il chercheur che ci aveva salutato ed era andato su a fare la doccia. Ci mettiamo a preparare la cena. Lui è ai fornelli, con una mano gira il sugo, nell'altro braccio tiene Pisti. Scuoto la testa, vado a recuperare Pistacchio dalle sue braccia. Cerco di essere calma e serena mentre gli dico che non è molto sicuro tenere il bimbo vicino ai fornelli. Tra me e me penso che non lo so mica se mi sta dando una mano o se piuttosto sta complicandomi la vita. Comuqnue sono contenta che sia lì. Da quando Lei se ne è andata ho potuto provare a recuperare il nostro legame. Quello di quando ero bambina, che a ricordarlo sembra la vita di un'altra persona, non la mia. 


Dopo pochi minuti lo vedo seduto al tavolo. E' pallido e un po' troppo immobile, davanti a lui l'immancabile tazza di te. Gli chiedo seè tutto a posto. Mi dice che non si sente molto bene. Mi allarmo. Se mio padre, che non si lamenta mai di niente, dice che non si sente bene, la cosa è seria. Vado a mettere Pistacchio nella sdraietta posata sul tappeto. Non faccio che sistemarlo, mi giro e vedo mio padre grigio, il volto ha preso un'espressione indicibile, una non-espressione in realtà. Si sta accasciando di lato, io quella non-espressione l'ho vista solo una volta in vita mia. Penso semplicemente che è morto. Grido con tutto il fiato che ho in corpo il nome del chercheur che in quel preciso momento forse è sotto la doccia. Grido e penso che non mi sentirà mai. Mentre urlo, scatto a sostenere mio padre, un secondo dopo comincia a vomitare una roba nera (sangue?). Per quanto forse sia allarmante, invece mi rincuora, penso che se sta vomitando non può essere morto. Non so se poi è proprio così, ma quel pensiero in quel momento scaccia il mantra tetro che mi martellava in cuore E' morto anche lui. E' morto. Mentre io sostengo mio padre, il chercheur chiama l'ambulanza e va a rassicurare Pistacchio, che, lui, piccolo angelo, non ha battuto ciglio e anzi continua a sorridere al nonno.

Poi non ricordo bene. Riprende conoscenza, lo facciamo sdraiare sul divano, arriva molto rapidamente l'ambulanza. Gli fanno delle domande. Lo fanno cambiare. La cosa mi aveva stupita. MIo padre appena collassato adesso è nudo nel mio soggiorno, si infila pantaloni e maglietta puliti. Ci caricano entrambi in ambulanza. Andiamo in ospedale

Passerà la notte lì in osservazione. Accanto a lui una donna picchiata dal marito, per quel che riesco a capire dei brandelli di conversazione che il mio olandese riesce a captare. 

La mattina dopo accompagno Pisti al suo primo giorno di adattamento al nido (!?). Ricordo quando avevo chiesto deglutendo. 
Ma come? E io non resto con lui la prima volta? 
Signora l'adattamento è per lui, non per lei.... 
Batavi...

Lascio Pisti e vado in ospedale. Gli faranno una gastroscopia. Lo accompagno, questione di tradurre per lui e ritradurre per loro il suo inglese un po' scarno.  Il dottore mi dice che devo aspettare fuori, ma di non andare via. GLi faranno un'anestesia che durerà un breve lasso di tempo, si sveglierà, ma sarà confuso e non ricorderà niente, meglio che resti nei paragi per rassicurarlo.


Aspetto. Finchè mi richiamano dentro. Il dottore mi dice che non è nulla di grave, ci sono delle ulcere, hanno preso delle biopsie e stanno facendo delle analisi, ma molto probabilmente non c'è nulla di grave. RAcconto al dottore delle abitudini alimentari di mio padre: digiuni prolungati, parecchio te e soprattutto molto alcol. Non credo di dovregli strizzare l'occhio per cercare una certa complicità, mi pare ovvio che gli farà una ramanzina, gli dirà di darsi una regolata, gli farà prendere almeno un piccolo spavento. Intanto mio apdre si è svegliato. Il dottore gli fa il riassunto. Io ricalco, sa il digiuno, il te, l'alcol.  Quell'idiota dice che nulla di tutto questo è correlato con l'ulcera. Che non c'è nessun problema e può continuare a mangaire e bere quel che vuole. Sono sbalordita. Non dico più nulla.


Ci mandano in un reparto, mio padre sonnecchia, poi riapre gli occhi ed è disorientato, mi chiede dove siamo, cosa è successo. Gli chiedo cosa si ricorda. Non ricorda nulla dell'esame, non ricorda niente del medico. Gli dico dell'esito, ha delle ulcere. Il dottore ha detto che devi assolutamente mangiare almeno 3 volte al giorno, limitare il te e soprattutto gli alcolici.


Ma nulla di questo è stato convincente per lui. Quella sera stessa ci scherzava su. Cosa che in sè non era neppure male. E' stato quando ha preso il vino dalla dispensa che sono esplosa.


A piangere.
E inveire contro di lui.
Papà smettila di scherzare...
 io ti ho visto morto.
Inveivo dell'altro che non ricordo, che se voleva continuare a farsi del male liberissimo, ma che io non volevo stare lì a guardare. Che lo facesse da solo, lontano dai miei occhi. Una cosa così.


Credo che mio padre mi voglia molto bene, e credo che abbia avuto pietà del terrore che ha sentito nella mia voce.  Dal giorno successivo non solo ha fatto colazione, pranzo e cena tutti i giorni, ha eliminato te e caffè, ma soprattutto non ha più toccato un bicchiere di vino o altri alcolici, se non in rare occasioni poche gocce di cortesia. Incredula ho domandato a chiunque si fosse seduto alla sua tavola se la cosa non fosse limitata alla mia presenza. Pare di no. A meno che non abbia sgarrato in solitudine, questo non posso saperlo.


Quel giorno ho mentito a mio padre e non me ne sono pentita neppure un minuto. Dopo avere mentito ho lasciato che vedesse il mio terrore, senza filtri. Mio padre da allora è diventato un uomo migliore. A poco a poco, passo dopo passo. Non è più l'uomo che era. Non è questa la sola ragione. Quella più grande è che ora è un uomo libero.


L'altra sera ci ha mandato una mail. L'oggetto era vino e spumante a natale. Era contento di farci sapere che le sue ulcere sono sparite e che il suo divieto sugli alcolici è stato rimosso dal dottore che gli ha fatto la gastroscopia.


Non ho provato gioia. AL contrario. Ho pensato che uno di noi avrebbe dovuto accompagnarlo e confabulare, di nuovo, col dottore o senza, nello spazio di memoria labile del dopo-gastroscopia.  Per preservare quell'uomo nuovo e difenderlo da quello che fu. 


Alcolizzati, si chiamano, quelli come mio padre fu.