29 March 2014

La titolare

Bocca serrata e sottile, i cui lati puntano verso il basso. Anche lei mi ricorda mia madre, mia madre nei momenti no. La titolare solo a fotografarla, solo ad immortalare quell'espressione quasi terrorizzata, sembra schiacciata dalla vita. Le voci pettegole che si sentono fanno il resto nel dipingere intorno a lei un'aria di sofferenza e fatica. Ma è una fotografia sbiadita, vuota e ormai  irreale, probabilmente di un tempo che fu.

La titolare ha un figlio autistico e un passato di sofferenza marchiato in quella piega delle labbra, sussurrato dalle voci di corridoio.

Pare che tenda a far pesare agli altri i suoi problemi, aveva detto una voce petulante.
Certo è che ha davvero un'aria fragile ho osservato io prima di conoscerla, prima di sorprendermi delle sue battute ciniche e taglienti. Prima di rimanere sbalordita che da quella fotografia in tristezza e sofferenza saltassero fuori una fermezza e una determinazioni incredibili.

E' arrivata da noi a giugno dell'anno scorso, il giorno prima Squabus giocava a calcetto e si domandava come sarebbe stato averla come collega. In mezzo alla schiera di titolari indolenti e scansafatiche, non contenta di dove stava, lei aveva chiesto di cambiare gruppo, rischiando di macchiare, in un certo qual senso il suo cammino professionale. Poteva perdere o guadagnare tutto. E non so fino a che punto è cambiato il suo scenario interiore, non so fino a che punto vede un miglioramento nella sua vita, glielo dovrò chiedere, sono molto curiosa.

E' arrivata un po' schiva e timida, continuando a bere caffè con le persone di prima, nè dell'ex gruppo nè del nuovo. Si è guardata intorno circospetta, come tastando il terreno con attenzione prima di appoggiare il piede. Come chi si è vista sprofondare troppe volte nelle relazioni umane o come chi è irrimediabilemnte paranoico. Il dubbio è forte tutte le volte che mi dice "questo è un covo di serpi", raccontandomi tal o tal altra vicenda, come una lugubre novella 2000. Devo dire che del suo personaggio un po' mi insospettisce quel suo vedere tutto nero e cattivo, accanto all'avermi detto più di una volta che quando doveva decidere in che gruppo andare e poi decise per il nostro non sapeva che c'ero io. Lei lo sa che il suo arrivo da noi rende vana ogni mia speranza di diventare titolare. Ma chi potrebbe mai pretendere un tal riguardo verso una perfetta sconosciuta?


Ha preparato tutte le soluzioni che le servivano nella vetreria solida e luccicante, ha allineato perfettamente tutte le bottiglie sulla mensola del suo bancone. Ha messo il nastro adesivo colorato su tutte le sue cose, e come si usa ci ha scritto il suo nome, a chiare lettere: TITOLARE. Inizialmente ha scelto il nastro rosso, ma dopo qualche mese tutto è diventato verde. Una piccola insegna, anch'essa di nastro adesivo, campeggia sul suo bancone, scritta blu su fondo verde: ZONE VERTE.  Qualcuno deve averle fatto la battuta oppure lei ne ha fatto perfetta metafora, non era pronta ad affondare quel piede, poi ad un certo punto la fiducia l'ha pervasa e al semaforo è scattato il verde. Me la sono figurata intenta e concentrata a staccare tutti quei pezzetti di nastro rossi e sostituirli diligentemente con quelli verdi. Uno ad uno. La titolare è impressionantemente diligente e ordinata. Organizzata, puntuale. Bravissima.  Tutte cose che io non sarò mai a fondo o senza uno sforzo estremo.


Io - come poterlo negare? - rosico.
Rosico in un modo tutto mio, silenzioso e immobile. Incapace di volere male ad una persona così forte e sofferente. Non potrei fare del male neppure a persone che mi mostrano solo cattiveria e stolido disprezzo e che io ho preso a disprezzare a mia volta, pur con altalenanti sensi di colpa (un tal ingegner so tutto io, per esempio, ma quello è un altro ritratto e di tutt'altro calibro). 
Io davanti alla titolare resto abbagliata e anche un filo turbata.

Dal suo coraggio per esempio. O forse dovrei chiamarlo spirito di abnegazione. Dopo appena qualche mese, si è messa senza troppi teatrini a fare le cose tra le più truculente che si possano immaginare in un laboratorio di ricerca. Cose che però sono importanti e possono portare lontano nella comprensione della Scienza, con la esse maiuscola. Cose per le quali si è guadagnata il rispetto di tutti. Cose che io non riesco a dire, altro che immaginare di fare con le mie mani, o anche solo guardare con i miei occhi. Lei fragile, col suo bagaglio enorme di sofferenza marcato in viso, Lei, senza un lamento, ha preso in mano il bisturi e via.

E' lei che un giorno mi ha detto non c'è niente di peggio di un figlio malato. L'ha detto perchè io stavo alludendo ad altre possibili sofferenze, che non sono puntuali, che non hanno un prima e un dopo, che ti  entrano nell'essere fino a colonizzarlo interamente. Tanto che non sai chi sei e chissà se lo saprai mai. Scenari esistenziali e non, che non si possono dire tanto facilmente a chi non li conosce. Scenari che prima vanno smontati pezzo a pezzo e solo dopo se ne può parlare. Finchè sono così sofferenti, delicati, ci rendono delicati, fragili come cristallo. Ammiro e invidio la capità di parlare dei suoi demoni, significa che è andata oltre. L'allusione quel giorno però si è congelata tra i miei pensieri, finchè è scomparsa, volatilizzata. Delusa perchè non ci sono meglio e peggio nella sofferenza. C'è quel senso di tragedia e quella fragilità di cristallo. Il resto non conta. 
Quella stessa sera, quell'allusione volatilizzata mi si è ripresentata sulle labbra nella conversazione con un'altra persona. Mi sono tradita, poi mi sono pentita e non mi sento bene al pensiero di avere lasciato un pezzo di me vagare per menti altrui, senza la mia supervisione.

Molte persone credono -o si comportano come se credessero- che la sofferenza è solo una cosa terribile che ti succede ad un certo punto. Il fatto è che tu riesci o non riesci a fare fronte, a seconda di chi sei stato fino a quel giorno. Io resto sbalordita dall'inconsapevole arroganza di chi crede di essere forte perchè è riuscito a superare un evento difficile. La forza c'era prima, ed è un merito personale fino ad un certo punto, la tragedia certamente serve da filtro. O da palcoscenico.  

Io mi rispecchio invece in tutti coloro che sono cresciuti difettosi. Giorno dopo giorno nel difetto, fin dal principio o quasi. Che non significa che quella forza non ci sarà, un giorno, non significa affatto mollare. La forza verrà allenata, muscolo per muscolo, con fatica.
Significa però che verrà allenata in solitaria, davanti ad un pubblico che ci crede fragili punto, senza ragione. O forse per pigrizia, stupidità, insensatezza, masochismo.
Noi attori silenziosi, soli e incompresi di uno spettacolo criptico e inintellegibile.

Finchè non riusciremo a parlarne.

18 March 2014

L'impresaria

Lei è la mamma di Elle, una compagnuccia del nido di Pisti. L'avevo notata fin dalla prima riunione  (quasi appena Pisti è entrato, la prima di due, in un anno e mezzo, ma è normale??). Non so, mi ispirava, sentivo le antennine che vibravano. Nella breve presentazione iniziale saltò fuori che sia lei che il compagno (erano gli unici presenti in coppia, cosa che mi piacque molto) lavoravano in un istituto di ricerca. Proprio come noi.

Iniziai a corteggiarla, non proprio con quel trasporto, ma insomma sì a corteggiarla. Avevamo gli stessi orari e quindi ci incrociavamo abbastanza spesso in fase vestimento marmocchi, io buttavo lì due tre parole, ma lei non raccoglieva. Forse apparivo troppo tesa e disperata, perchè appena ho smesso di provarci, è stata lei a flirtare con me. O forse bisogna avere pazienza che le fasi siano in risonanza...


Una mattina, appena uscita di casa in bicicletta, girato l'angolo, la vedo uscire da un cancello, anche lei in bicicletta. Quindi vive a Sans âme anche lei!! Chiacchieriamo e scopriamo che sia lei che il compagno lavorano nell'istituto affianco al mio (nonchè di fronte a quello del chercheur). E hanno una logistica molto simile alla nostra a quella che avevamo noi (tranne che loro non sono così pedanti e fanno scambio bici-macchina sul lavoro). Gli stessi orari, lo stesso lavoro, le stesse aspirazioni professionali. Insomma sono i nostri alter ego, più giovani però.


In effetti sono qualche anno più giovani di noi, lui è in post doc, vorrebbero fare un esperienza negli States. Lei lavora come supporto alla ricerca, come me, con già diversi anni di contratti a tempo determinato, rinnovati uno dopo l'altro. Iniziano ad essere troppi secondo la legge, tanti che il contratto che era in corso quando siamo conosciute, terminerà dopo qualche mese senza speranza di essere rinnovato. Per in inciso quella del mondo del precariato nella ricerca francese è una realtà dura e contraddittoria, segnata da una legge - la loi Sauvadet - che sta terrorizzando tutti noi panchinari.


Passano i mesi, io e Lei, ci scambiamo messaggi, ci vediamo un paio di volte dopo il nido, si chiacchiera, ma ad essere franchi non c'è passionissima, nonostante le tante cose in comune. Loro hanno i loro amici e colleghi, una vita sociale ingranata, famiglia a breve distanza che vanno a trovare regolarmente nei week end. Qualche settimana fa ci rincrociamo al nido dopo un lungo periodo. Lei è disoccupata da un mese. Si è iscritta al collocamento, che in Francia è un'istituzione molto seria, si chiamava anpe ai tempi del mio primo espatrio francese, ora si chiama pôle emploi. Non dovesse nel frattempo trovare un altro lavoro percepirà fino ad una durata massima di due anni (mi pare, verificherò) un sussidio pari all'80% del suo salario.

Ha chiesto un bilancio di competenze e sta seguendo una formazione sulla creazione d'impresa alla camera di commercio. Dice che ha avuto un'idea e che le consigliano di brevettarla e di non dirla a nessuno. Io muoio di curiosità e dovrò aspettare per sentire di che si tratta.

Ma soprattutto è dimagrita, rifiorita, allegra, sorridente, ha iniziatro ad arrivare al nido con i capelli in piega, oppure truccata sui tacchi con una camicetta svolazzante. E mi dice:
- Sai, la cosa più sconvolgente? Col mio compagno va molto meglio
- Ah perchè non andava bene? 
- Io mica me ne rendevo conto prima, ma ora che vedo la differenza direi proprio di si. Quando lavoravo, tornati a casa: cucina, pappa, poi tutti al computer in silenzio. Ora parliamo.


Racconto le sue avventure al chercheur che mi dice Brava! Ma allora vuole fare l'impresaria!!? A parte il compatimento per noi poveri italici che stiamo perdendo la lingua madre, brava sì l'Impresaria, con la sua idea, il suo entusiasmo e i suoi corsi di formazione, che si è rimessa in pista. Poi magari è una grossa sòla, a me la curioistà l'ha messa, insieme a un po' di meravigliata contentezza che forse qualcosa di nuovo è possibile farlo. Stiamo a vedere.




Altri racconti di gente di Francia:

08 March 2014

Risorse preziose, la lista

Ehm
Buongiorno
...
Permesso
C'è nessuno?
...
No, si, lo so, ma non sono sicura, certissima, ma forse si.
...
No è che sono stata un attimo in un pozzo nero e profondo.
L'ultimo post in bozza, luuuuuungo come al solito e bigio pesto, non mi somiglia più tanto.
E allora c'ho il famigerato, ricorrente, blocco.
Mi sento imbalsamata
...
Come si fa?
Mi ci vuole un po' di riscaldamento, un po' di finta noncuranza, una lista, quelle funzionano bene di solito a rompere il blocco e tornare nella mischia.
Far finta di far finta di niente, ma con più convinzione
Molto lineare, no?
Eccome

Un promemoria magari.
Una lista promemoria per il prossimo pozzo in cui cado?

No perchè son caduta in un pozzo parecchio profondo e buio. Non serviva ripetermi che nonostante lo spirito fosse provato da certe cose che mi son trovata ad affrontare, il corpo non stava per nulla rendendo la cosa semplice. Un crollo. Quei crolli che ti costringono a ricordarti che sei un tuttuno, mente e corpo, carne e spirito, anima e cellule. No perchè io me lo dimentico. PUnisco il mio corpo, lo metto in attesa pretendendo soltanto da lui  e mi dimentico che è lui ad essere l'interfaccia, il confine col mondo. Un ruolo per nulla semplice che va coccolato, preservato, protetto, stimolato, amato.
Io me lo dimentico.

Però sono stata brava. Ho cominciato a scalare con convinzione le pareti e sono uscita di lì a guardare il cielo. Poi mi sono seduta sul bordo del pozzo a guardare giù con un sorrisino ancora stanco di sollievo, misto paura di venire risucchiata di nuovo. Ora mi tocca iniziare a camminare per andare da qualche parte di sensato per una buona volta. Come è andata?


Una visita dalla dottoressa che preferisco e la concessione di tre giorni a casa in malattia per ritemprare il fisico a terra come una ruota bucata e riordinare le idee.



Parola magica: Risorse. Cosa posso fare per stare bene o almeno meglio? Che io sono pigra e smemorata. Se ci penso lo so. Il chercheur già rideva, prima ancora che io gli dicessi:
- Ora mi faccio una lista e me l'appendo sul frigo.
- Ah brava fai un file excel con tutti i colori.
- Precisamente. Evidentemente sono distratta e mi dimentico, ho bisogno di un memo sotto gli occhi.
- Invece fanne una subito, senza stare lì a pensarci.
- No, no, io oggi che resto a casa malata, io mi faccio la lista


E allora, blogger imbalsamata come mi trovo, ecco qua la lista a pallini di tutte le cose che ho fatto (tutto negli ultimi 15 giorni! sono stata brava, me lo dico da sola) per uscire. La lista delle cose che potrei/dovrei/vorrei fare è più lunga, ed è un'ottima cosa, c'è ancora un sacco di margine. Ma intanto se casco di nuovo in questo o un altro pozzo, qualcuno mi costringa a fare una o più di queste cose, anche contro la mia volontà...


Quindi ecco come ho ho flirtato con l'energia mancante per tirare fuori ogni Risorsa possibile:
  • Ho cercato e trovato una signora che venga a fare le pulizie il venerdì per iniziare il week end con dell'ordine intorno. Trovata su Leboncoin, vive a Sans âme a 200m da casa mia e pare un portento, ho il sospetto che mi sia stata mandata dal cielo e che il cielo non voglia che io me ne vada da Sans âme
  • Il solletico. Mi sono accorta che avevo smesso e invece ho ripreso la routine di solletico al Pistacchio due-tre volte al giorno.
  • I massaggi con l'olio di calendula, sempre al suddetto piccolo individuo, perchè fare bene a lui è uguale a fare bene a me
  • Magnesio
  • Pasticchette di erbe per dormire (valeriana, passiflora, Crataegus, Ballotta nigra)
  • Pappa reale
  • Tisane rilassanti e tonificanti
  • Una visita dall'osteopata, ma un altro
  • Appena il fisico ha recuperato, camminate e pedalate
  • Supermild yoga: 4-6 saluti al sole ogni mattina (uno spettacolo che si è ripetuto miracolosamente ogni mattina per una settimana e che voglio raccontare)
  • Una pizza fuori a due famiglie, prendendo contatto con una persona del paesello ritrovata qui che ha una storia fortissima
  • Un taglio di capelli, ma quanto è importante la sensazione che viene dalla testa? Me lo dimentico...
  • Una passeggiata da sola in Centre Ville (dovrebbe essere prescritto dal medico)
  • Due maglioncini e due sciarpine colorate nuove
  • Un pranzo al sole con due quasi amiche
  • Una domenica mattina, tutti in piscina 
  • Uno o due playtime prima di cena con l'amichetta del nido di Pisti (una manna dal cielo)
  • Un bicchiere di vino a casa della di lei mamma (che se riesco a finire di scrivere il post a lei dedicato, si chiamerebbe l'Impresaria)
  • 15 minuti scarsi ma preziosi dalla mia estetista adorata e a  Sans âme
  • Qualche brevissima ma intensa email scritta con un po' di leggerezza, senza pensare
  • Tre biglietti d'aereo per una settimana a Lisbona, un matrimonio, tanti amici olandici (e due italiani). Il positivo di avere una marea di amici di innumerevoli vite passate che non sono a portata di abbraccio, che mancano da togliere il fiato, ma che ti fanno viaggiare. 
  • Tante telefonate di ricerca casa, oggi andiamo a visitarne una, dopo una lunga pausa
  • Musica da ballare, la playlist Inno all'energia è stata rispolverata
  • Un film molto dolce (About time), consigliato via uazzap da Spilunga, che poi mi chiede di tradurle il Mondo e io lo faccio ed è difficile, ma carino
  • Musica da cantare a squarciagola, Il Mondo incluso che è una canzone bellissima. E ce ne vorrebbe di più di musica, cantare fa bene allo spirito!

Tocca a voi!
Mi dite le piccole grandi cose che fanno stare bene voi? Che spingono l'interruttore del buonumore, che fate spesso o non fate mai, ma a pensarci bene quando le fate tutto è più luminoso?

Mi fate un piccolo regalo? Mi dite un film, un libro che metton oil buonumore, ma soprattutto una canzone cantabilissima e allegrissima che la cantate e vi rende felici?


 E' tutto per oggi, un caro saluto da Motivascional Squa, imbalsamata ma allegra e fischiettante di ritrovato buonumore


16 February 2014

Metti un Pistacchio, una forse otite, un nonno, una squa

avevo progetti, desideri, per Squabus oggi, sapevano di foto di torte e racconti di feste di compleanno.  
Invece...


Invece c'è una radio di sottofondo che mi disturba, per questo ho le cuffie nelle orecchie, ci ho messo dentro Elisa, ho un po' di stanchezza, un chercheur volato oltreoceano per una settimana ad una nuova conferenza di scienziati, un Pistacchio febbricitante con una forse otite, ma forse no, un nonno che mi da una mano. Questa volta è venuto senza la zia Susanna -e si sente- si è fatto un biglietto di due settimane... quando me l'ha detto mi sono sentita deglutire... 


Mi ricorderò la prossima volta che forse è meglio che faccio da sola? Invece poi mi incarto sempre, tra il timore di un'emergenza, il volerlo far sentire utile. E mi ritrovo incastrata ed irritata. Che poi dai va persino meglio di quanto temessi, almeno si trovano abbastanza tra loro due. Venerdì, quando è iniziata la febbre, mi sono fatta coraggio e li ho lasciati soli dalle 9 alle 12, sono tornata per pranzo (evviva i 5 minuti di bici dal lavoro), l'ho messo a nanna e poi di nuovo soli dalle 13.30 alle 16.30, che poi tecnicamente ha rappresentato appena una mezzoretta, perchè ha dormito tutto il tempo. Domani e forse pure dopo ci toccherà bissare. In fondo poi se a quei due fa piacere, chi sono io per non farli restare da soli un pochetto. Chi sono io per non fidarmi? Per avere paura? Per sentirmi per niente tranquilla...
Sono io che non mi trovo. Pistacchio riesce a prendere il meglio di lui, senza alcun problema.  Io invece guardo quest'uomo e mi dico, ma io come ho fatto a crescere con un padre (ed una madre) così? A tratti mi scoppia da ridere, amaramente, certo... Assertività zero, nevrastenia mal celata, incapacità di farsi del bene, incapacità di solitudine costruttiva. Insicurezza.  E con questo panorama mi stresso, non mi sento per niente bene, e soprattutot provo una pena infinita. ma in fondo tocco con mano quanta strada ho fatto lontano da questo modello  (ma pure quanta ancora ne ho da fare).


Penso  e ripenso a questa cosa che mi sono detta giorni fa: Si diceva che le persone sono specchi, che ci restituiscono un'immagine che possiamo apprezzare o meno. Ma è una grossa balla. Possiamo scegliere ogni giorno, ogni minuto, il palcoscenico su cui salire. Se curveremo le spalle, il mondo ci tratterà da paria. Se saremo fieri, ambiziosi e ci rispetteremo, tutti ci rispetteranno. Non esiste altra cosa più importante del rispetto di sè.  Siamo noi stessi lo specchio dei nostri pensieri, motivazioni e il motore di come ci considereranno gli altri.

Poi penso alla titolare che un giorno m'ha detto non c'è niente di peggio di un figlio malato. Io l'ho guardata dritta negli occhi, ma poi li ho abbassati e ho guardato altrove. 


Penso a quel delicato, meraviglioso meccanismo di quando le persone raccontano i loro problemi. Ci sono le mazzate che ad un certo punto la vita piazza sulla strada E poi ci sono armadi dentro ai quali la vita rinchiude, giorno dopo giorno un poco di più. Ci sono-molto semplicisticamente- due categorie di persone, mi sembra. Quelle che ce la fanno e quelle che no. Quelle che ci rimangono sotto e quelle che si dibattono fino a passare sopra. Quelle che il loro dolore ce la fanno a dirlo e riescono a farsi aiutare. Quelli che no. Però la cosa meravigliosa è che ora ci credo che gli uni possano diventare gli altri, in entrambe le direzioni purtroppo. 

Quanta voglia di farcela. Mi commuovo da sola.

Ecco poi, giusto in mezzo a parole inevitabilmente sconclusionate,  arriva quella canzone lì e io mi squasso, che non esiste come verbo, perchè non lo so dire cosa mi prende. Come si fa a stare dritti ascoltando questa canzone? Come si fa a stare in piedi e a non accartocciarsi? Non è una canzone ascoltabile in pubblico. Impossibile.

06 February 2014

in cantiere con una matrioska blu tra le mani

Vorrei una stanza piccola e lontana, con una scrivania e un divanetto comodo e una finestra da cui vedere la luce che arriva al mattino. Piccola perchè sembri il rifugio che sarebbe per i miei risvegli antelucani, appunto. Lontana perchè il ticchettio dei miei pensieri non svegli nessuno - e soprattutto quello piccolo che è diventato tremendamente mattiniero, anche lui. E da allora io sono ostaggio del silenzio e del buio e i miei pensieri non sono liberi di vagare. Mi manco molto.

E quindi vorrei un po' di silenzio, un po' di tempo, un po' di spazio. Vorrei un bimbo che dorme fino alle 8. Volendo sognare, sogno una finestra sul mare.


Ho fatto delle cose dannatamente importanti questo gennaio. Ora mi ci vuole la massima concentrazione e taaaaaaaanta buona volonta per continuare a posare un mattone dietro l'altro e non abbandonare il cantiere. Questo gennaio è stato carico di cose. Non mi lamenterò più di leggere e sentire quanti propositi fanno le persone, finchè sentirò  intorno a me la precisa e sana buona volontà di fare davvero succedere le cose. E l'ho sentita, sono stata tirata in mezzo ed è stato bello. Ho visto gente, ho fatto cose, sono quasi a posto per tutto l'anno a  venire, se confronto con quello passato.  

Io ho fatto uno ed un solo proposito per il 2014, nome in codice matrioska blu. L'ho tenuto per me, per una sorta di scaramanzia. Avevo immaginato di metterci questa foto accanto al proposito. L'avrei rubata e sono sicura che a Daniele non sarebbe dispiaciuto . Quando ho letto quel tweet io ho pianto, dannata fontana rotta, perchè era quello e solo quello l'augurio che bisognava farmi.


Un giorno, una settimana fa, mi sono data malata, ho scritto questo, e dell'altro che ho lasciato in un cassetto, poi ho chiuso i computer e ho fatto delle telefonate molto importanti. Ho preso i primissimi appuntamenti per cercare casa. Nella stessa giornata ho rischiato di vuotare l'ultimo scatolone dell'ultimo trasloco. Sarebbe stato un bel simbolo.

Ma, soprattutto, ho chiamato la porta potenziale per uno strato oltre della matrioska. Ho sorriso perchè la candidata-porta riceve a Sans âme, ma anche nel Centre Ville, credo che questo dettaglio mi abbia galvanizzato. Sicuro mi ha messo di buonumore. La incontrerò domani, a Sans âme, e dire che sono emozionata non è abbastanza. Ho cercato di fare mente locale e pensare da dove iniziare. Da mia madre, forse. Ma dalla sua morte o dalla sua vita? Dalla depressione bianca? Da qualche parte bisogna iniziare. E' tutta la settimana che rifletto.

Però ecco ora sta a me. Sta a me organzizzare un appraisal col mio capo. Sta a me riflettere su tutte le volte che non alzo la mano. Sta a me continuare a cercare casa ed il filo dei circoli virtuosi di cui ho molto bisogno. 

Sta a me parlare con la mia matrioska blu e non già scrivere...

nome in codice matrioska blu

04 February 2014

don't leave before you leave

Il chercheur mi ha consigliato -insistentemente- di guardare questo TED talk, puntualmente mi ci addormentavo davanti e lui si spazientiva: guardalo, resisti che è importante. Ieri ce l'ho fatta e lo condivido con voi. Lo dedico soprattutto a Robin nel nido, -non perchè ci sia un qualche messaggio specifico che penso sia indirrizato a lei- ma perchè credo che siano parole interessanti. In realtà per Robin oggi volevo postare le domande dell'appraisal olandese ma non ci sono riuscita.


Potete anche ritrovare il video seguendo questo link e scegliere i sottotitoli o il doppiaggio nella lingua che preferite e anche il testo, che riporto qui sotto in inglese (il grassetto, le sottolineature e i colori sono miei), ma che potete ritrovare anche in italiano sempre seguendo il link.




02 February 2014

liberiamo una ricetta tardiva #liberericette

Volevo partecipare a Liberiamo una ricetta e ho fatto tardi :(

Avevo/ho una ricetta proprio bella. Me la sono fatta passare dalla titolare, che un giorno brava e spavalda come solo una titolare può essere ha portato in ufficio questi muffin mignon al potentissimo gusto di limone, che si chiamano financier. Mi son detta, può essere che resterò panchinara a vita, ma i financiers li saprò fare pure io! Così mi sono cimentata, e seppur io ultimamente in cucina abbia pochissima pazienza, sono venuti buonissimi al primo colpo.

Meglio tardi che mai, l'importante è che questa ricetta deliziosa sia libera, no?


Financiers au citron
Per circa 12 financiers, poi dipende dalla grandezza del pirottino/stampino che usate.

100g burro
50g di polvere di mandorle
120g di zucchero a velo
40g di farina (o maizena per financiers gluten-free)
scorza di mezzo limone (sembrerà poca roba, ma è potentissimo e l'aroma sarà deciso)
3 bianchi d'uovo ***


Preriscaldare il forno a 210°C. Fare fondere il burro a bagnomaria.
Mescolare la polvede di mandorle, lo zucchero a velo, la farina, la scorza di limone. Aggiungere i bianchi d'uovo poco a poco, quindi il burro. Mescolare bene.

Riempire i pirottini o stampini, non fino al bordo, perchè gonfieranno.
Cuocere 15-20 minuti a seconda del forno. Non farli dorare troppo che poi si seccano!

Sono buoni!!!!

Queste titolari sono proprio brave, mannaggia a loro!!


*** con i rossi io faccio una pasqualina, pasta sfoglia, spinaci, ricotta, sale qb... gnam pure quella!


"Le storie sono per chi le ascolta, le ricette per chi le mangia.Questa ricetta la regalo a chi legge. Non è di mia proprietà, è solo parte della mia quotidianità: per questo la lascio liberamente andare per il web"




30 January 2014

di insoddisfazione, coaching, burnout - venting

Avvertenza, il mode venting valve è ON.
Questo post lo ho fatto a pezzi senza pietà, ma lo stesso sa un po' di vulcano che erutta, lo posto lo stesso chè sono stufa di  bozze qui a marcire come faccio di solito, anzi, voglio liberarmene, persino in malo modo... se saranno rose -con i loro rovi- fioriranno e se ne parlerà ancora. Altrimenti, e benvenga, pace. Sciò.


C'è tutta una storia di matrioske, coaching, psicoterapia in una terza lingua, una storia che io ho promesso che mi racconterò. Ma poi la vita mica aspetta a te che non trovi le parole, quella preme per essere raccontata comunque. Quindi succede che qui mica stiamo ad aspettare che si decida, la me che vorrebbe raccontare le puntate precedenti, di come ha vissuto un burnout e ne è uscita, forse acciaccata. O forse è il burnout e la sua guarigione che ha lenito, come un balsamo paradossale, alcune delle sue ferite...


Che poi, anche nel puro ora, i racconti si intrecciano. Io che vado dalla dottoressa del lavoro e sono diversamente sincera per quanto riguarda le domande sulla soddisfazione nel lavoro. Poi riguardo al resto sono cristallina come il mare del primo mattino. E poi in mezzo ad un allagamento, che col lavoro ha poco a che fare, rifletto sulle ragioni per quella sincerità bugiarda

Il mio capo, generalmente buzzurro e direi mediamente antipatico e  sgradevole, ha un momento di illuminazione e ci tira in mezzo tutti che vuole fare un percorso di coaching. E quindi un coach verrà a parlarci e intesseremo un percorso di gruppo (!!?) non ancora ben definito.
Avete mai fatto un coaching? Significa che una persona, si presume qualificata a farlo, sta lì a sentire come stai, quali sono le tue prestazioni, se c'è qualcosa che non ti soddisfa. E poi ti da dei consigli, prova a suggerirti altri punti di vista, ti rivede dopo un po' e discute con te se ci sono stati progressi. Più o meno così. E può essere una cosa fichissima. Per quelli che ci credono e ci vedono un'utilità e riconoscono il bisogno. Fare coaching in un gruppo non tanto piccolo (14 persone) la vedo una cosa complessa e sono molto curiosa di vedere che ne salterà fuori. Se davvero il capo parte senza un là preciso, come ha detto, mi immagino molti silenzi e sorrisi imbarazzati...


Succede pure che in mezzo all'ennesimo fastidio che provo in relazione ad un collega che secondo una parte di me -lavorativamente parlando- non mi tratta comme il faut, prendo il capo a quattrocchi e gli dico che vorrei fare una seduta di valutazione. Come la facevo negli Stati Uniti ed in Olanda ed ho scoperto che qui no. Nelle mie esperienze precedenti una parte di quelle domande -tra le righe di tutto il resto che è più importante e concreto- le affrontavi col tuo supervisore. Senza timore di conflitto di interessi. Si presuppone che se hai un problema con lui, con lui tu debba riuscire a discuterne. E se non ci riesci le alternative di fondo ci sono, le risorse umane stanno lì dietro a tua disposizione. Ma col tuo capo ci DEVI parlare in maniera strutturata del tuo lavoro, del tuo rendimento, delle tue aspirazioni, una volta all'anno. Dove lavoro ora no. E' il medico del lavoro che pone quelle domande specifiche e così vaghe.
E quindi ho chiesto al mio capo questo spazio di discussione strutturato, mezza Lisa SImpson che implora ti prego dammi un voto, mezza Tafazzi, chè scrivere un rapporto di autovalutazione non è mica acqua di rose. 

Maledetta Squa che stai sempre appesa al feedback, pure quando del lavoro, in fondo, non te ne frega una beata minchia. Che poi sta qui il nodo di tutto, no? O no?
Mo' tocca che tra il coach e questa seduta di autovalutazione autoimposta qualcosa io dovrò tirare fuori. Non posso continuare a fare lo struzzo. Se nel primo caso non so ancora quali domande mi verranno poste, anche se le posso immaginare, nel secondo le conosco, me le sto ponendo da sola...


Poi la storia va avanti, ma io ho deciso che davvero mi voglio impegnare a postare corto e quindi magari un'altra volta...

E voi? Che effetto vi fanno le domande qui sotto? Siete felici del vostro lavoro? Sapete di cosa avreste bisogno per cambiare la situazione? Perchè il maledettissimo punto è quello, se non lo sapete -e io mica lo so bene- è proprio un pasticcio.







27 January 2014

una torta de vez en cuando

(ma non di compleanno)


Era fine novembre quando Pistacchio e io, decisamente emozionata, ci recavamo alla prima festa di compleanno a cui fossimo stati invitati nella vita sua bimbinesca, lui, e di mamma, io. Simpatiche sorprese degli espatri plurimi, dell'isolamento e dell'averci messo un anno a fare qualche amicizia... che non sia rimpatriata :(

Direttamente dall'uscita del nido ci infilammo in un traffico da bolgia dantesca per recarci alla festa. Pisti ripetendo come un mantra il nome dell'amichetto del festegiato Oa-Oa-Oa, un bimbo un anno più grande di lui, dal quale è rimasto come folgorato, Oa-Oa.Oa a tutto spiano, nonostante non sia per nulla ricambiato, ma per nulla proprio. Il papà-chercheur avrebbe dovuto raggiungerci lì, ma non pervenne mai a destinazione. Maledetto. Al telefono la sua voce pareva quasi canzonatoria. Ma chè davvero pensavi che sarei venuto? Finalmente un paio d'ore tutte per me e per giunta in casa mia... (ne vogliamo parlare? nessuno ne parla mai, forse perchè tutti hanno qualcuno che prelevi regolarmente la prole per passeggiarla? Noi che invece non abbiamo nessun passeggiatore di prole, che non sia uno di noi due medesimi e cioè io -a.k.a. Squabus- o lui, anche detto il chercheur... Ma quanto mi manca avere casa mia tutta per me ogni tanto?).



Il mio entusiasmo scemò abbastanza in fretta, sebbene fossimo arrivati all'orario previsto della festa più 5 minuti appena, seppur gli invitati alla festa fossero pochissimi (7), anche in virtù della condizione di ancor-più-fresco-espatrio della famiglia del festeggiato (ma 7 sono poi davvero pochi per una festa di 2 anni?)... seppur tutto e pur tuttavia, regnava già un discreto caos, alla nostra prima festa di compleanno. Un caos di fronte al quale Pistacchio iniziò subito ad andare in escandescenza. Aggiungiamoci poi che l'amichetto vicino e preferito del festeggiato, quel Oa, bimbo un anno più grande di Pisti, nonchè figlio di una donna che io amo, iniziò le solite scenette di rifiuto verso Pistacchio medesimo. Tipo: Pistacchio che si avvicina per prenderlo per mano e lui che fa come per sputarlo. Proprio così: io ti sputo! Una roba da prendere il cuore di una mamma e scuoiarlo vivo dalla tristezza. Il mio e quello della mamma del piccolo rifiutatore incallito, per altro donna da me adorata e a sua volta adorante Pistacchio. Risultato: ogni due minuti Pisti scoppiava in lacrime.


E quindi nervosismo. Insofferenza. Pessimismo e fastidio. E ad un certo punto anche voglia di basta. Che fare i Tafazzi della situazione, anche no, insomma. Facciamo festa se ci divertiamo, se no, anche no, mica ce l'ha ordinato il medico...

La farò corta (!?)... Pisti manifestava disagio a ripetizione e a tutto spiano. E io più di lui. Si è capito, mi pare. I toni medi erano gridati. I bimbi un po' impazziti e comunque affiatati tra di loro. I giochi continuamente oggetto del contendere. Che te lo dico a fare? Probabilmente un copione visto e sentito dalla notte dei tempi. Ma non da noi, emigrati e sfigati, alla nostra prima festa di compleanno. SOno lì che tengo Pisti rifugiato sulle mie gambe e maledico e benedico allo stesso tempo il mio blocco per il parchetto. Il mio avere deciso un giorno che il nido a quello serve: a socializzare. La mamma anche no, mica è obbligatorio. E che quindi io il mercoledì posso anche risparmiarmi di portarlo al parchetto visto che socializza 4 giorni a settimana e che a me provoca reazioni allergiche. Ma vedere sempre gli stessi bambini del nido è davvero socializzare? O è piuttosto come giocare con 13 fratelli? Alla lunga. 
In quel momento alla festa gridata sono lì con Pisti, attaccato alle mie gonne, mi dico che dovrò superare la parchetto-fobia ed educare mio figlio alla condivisione di luoghi e tempi con altri bimbi sconosciuti. Quanto è importante davvero questa cosa? Quanto è fondamentale che lo faccia io? No perchè ho un attimo i sudori freddi.
Fatto sta che, assoltami per il mercoledì, alla fine dei conti, la più parte delle volte nel week end le questioni sociali al parchetto se le gestisce il chercheur. Tana libera Squabus. Sono salva. Fino al momento della cazzo di festa (pardon my french), in cui -chercheur non parvenuto- mi ritrovo a fare fronte all'evidenza che non sono allenata a quella situazione e soprattutto che molto mal la tollero.




E quindi soffro e fatico, finchè sussurro piano al Pisti, 22 mesi di bimbo tra dieci giorni all'ora della festa: bimbo, quando vuoi tu andiamo a casa. Per tutta risposta, senza neppur lo spazio di un pensierino, il piccolo e deciso quasiventiduemesenne Pistacchio fa ciao con la manina a tutti e si dirige alla porta. Non è neppure la prima volta che manifesta con tanta determinazione di volere andare via. Va benissimo. Lasciami solo raccogliere tutto. Vuoi salutare i bimbini? Vai a dare un bacio a tutti?


    M a i
    p i ù
    i o
    t i
    c h i e d e r ò
    s e 
    t u
    v u o i
    b a c i a r e
    u n
    a l t r o
    b i m b o...
    I o
    t e
    l o
    p r o  m e t t o
    s t e l l i n a
    m i a.

Il bimbino rifiutatore di Pistacchi dolci e teneri, si ferma, sembra che stia accettando il bacio, ma sul più bello si gira e morde Pistacchio sulla guancia. Anche abbastanza forte. Pisti -stavolta più che comprensibilmente- piange, ma smetterà quasi subito, mentre la reazione della madre del rifiutatore morsicante, nonchè donna da me adorata, è fulminea. Lo prende, lo mette sulle sue ginocchia, gli abbassa le mutande e lo sculaccia, davanti agli altri, per fortuna pochi, due, bambini, rimasti. Poi lo porta via in un'altra stanza, lo chiude lì dentro e torna da noi. Si scusa, è cerea e mortificata.
Io sono pietrificata.


Le avevo sentito dire qualche volta al suo piccolo rifiutatore di Pistacchi: se no la smetti... te doy una torta. Era la prima volta che dalla minaccia la vedevo passare all'azione. E così il piccolo Oa, invece del bacino di Pisti, si prende un tortazo en el culo (e in omaggio anche qualche minuto solo chiuso in una stanza).

Sono talmente provata da una giornata di lavoro, il recupero nido, il traffico, la nostra prima festa con tutte le brave aspettative (che ingenua), Pistacchio così sensibile e instabile... che mi scappa da piangere pure a me, giusto un attimino. La verità è che da un po' ho perso il mio zen e non so dov'è finito e lo rivoglio, lo necessito, ridatemelo. L'è brutta la stanchezza.


Nei giorni successivi io e la mamma del rifiutatore ci siamo riviste un po' di fretta al lavoro, per i corridoi, poi in sala da pranzo, abbiamo chiacchiericciato, ma rapidamente, di altro. Finchè il giorno prima delle ferie, ci stiamo salutando, gliela butto lì. Mi spiace per l'altra volta... non ne abbiamo più parlato.




Però, adesso le parlo. POtrei benissimo fare finta di niente, non ho nessuna intenzione di pormi come paladina dell'anti-tortas. Pero lei mi piace assai e non riesco a farne a meno, quindi le sto parlando. Le confesso il mio stupore.... E lei è quel meraviglioso fiume in piena che tanto mi piace.
Una torta de vez en cuando no hace daño. 
Una torta de vez en cuando es la unica via.
De verdad, te lo digo yo, es la unica manera

La lascio parlare, della sua convinzione che la torta sia l'unica via, lei che, de verdad, è così tutto incredibilmente il contrario di quello che sta dicendo. Quando ha finito e solo allora, parlo io, mentre ascoltandola non pensavo di trovare l'energia. Invece ora mi sto ascoltando parlare.
Io parlo a lei fuori e intanto dico alla me dentro:
Ma che minchia stai dicendo? 
Fermati ora (...fermati adesso lascia che il vento ti passi un po' addosso...)

Lei resta ferma e salda sui suoi principi. Rispetta i miei e promette che mai più voleranno torte in alcuna situazione relazionata a Pistacchio. Che poi era quello di cui l'avevo pregata all'uscita della pietrificazione, quella sera stessa.
Ci diciamo anche che eviteremo di insisterli vicini e men che meno a baciarsi, che se vorranno si verranno loro incontro. Speriamo che il tempo...


Io mi sento un po' così, come una che ha parlato assai.

Spero soprattutto che avrò sempre la forza di rispettare questo principio che mi pare così lapalissianamente condivisibile. E invece non lo è affatto. E poi è così labile, il confine, che mi fa paura solo guardarlo. Ma bisogna.


Quanto alle feste di compleanno, alla bolgia, ai litigi, ai pianti, quella sensibilità, al voler andare via e tutto il resto... io ne ho parlato con una mia amica mamma. Soprattutto del timore di proiettare cose mie e solo mie su quel Pistacchietto lì. E lei mi ha detto di aspettare a vedere come andrà la prima festa   in cui Pistacchio giocherà in casa.... Ecco, sarà... qui manca moooooolto poco, ma avverto una leggera ansia. Leggerissima proprio.

14 January 2014

sono proprio io




è me stessa che osservo mettere aposto il camion dei pompieri, il coniglietto, le pentoline. Sono io che prendo una spugna e la passo sul copridivano. Poi sbarazzo tutto, metto i piatti in lavastoviglie, pulisco il tavolo, raccolgo le briciole per terra. Mi sento spossata, stanca, ma anche distaccata, di sicuro ho addosso una faccia molto scura. 


Quella mattina sono tornata al lavoro dopo le vacanze di natale. Sono io quella che parla col medico del lavoro per la visita annuale di routine. Per me è la prima. Sono sempre io che dico che mi paiono strane tutte quelle domande evidentemente volte a capire se c'è una situazione di mobbing o esaurimento. Dico che capisco che sarebbe un conflitto di interesse, ma che io ero abituata a che certe domande le facesse lo stesso capo, in occasione di quei bei bilanci annuali, difficili da fare ma molto utili per centrarsi, guardare avanti e darsi lo slancio.


Non dico che ho avuto un periodo di burn out. No, probabilmente non faccio per niente bene, ma voglio ricominciare daccapo, non ho voglia di una ramanzina su qualcosa che capisco molto bene. Su diverse risposte al questionario sono diversamente sincera. So che non va bene, che devo risolvere certe cose, ma ritengo di potercela fare.

Sono io, proprio io quella lì seduta mentre la dottoressa mi fa le domande di routine. Operazioni, malattie importanti nella famiglia. Diabete, cancro?

Mia madre è morta di cancro ai polmoni.
Che età aveva?
64 anni
Il y a beaucoup de temps?
Il y a deux ans y quelque, dico io. La mia voce è ferma.

Lei fa una certa faccia, come allarmata e dice: ah, da poco... Dice proprio così. E poi mi fa una domanda semplice, anzi la più difficile, con la voce più empatica che si possa immaginare.
E come va? Sei riuscita a  faire le deuil ?


Mentre sto pensando che persino in francese suona meglio che in italiano, sento i rubinetti che si aprono, io sono pura spettatrice, non posso credere ai miei occhi, non posso credere all'acqua che stanno perdendo. Forse piango perchè fuori da quella stanza sembra che nessuno riesca ad immaginare... che più di due anni non sono che un soffio, che no, non sono bastati. Non ci sono ancora riuscita.


Dal punto di vista idraulico ho delle attenuanti molto valide che possano spiegare questa improvvisa sovrappressione, aldilà del fatto stesso che fa già un'ora che chiacchiero con questa  donna. E che questa donna da circa un'ora sembra in qualche modo volermi stanare. E be voilà, tana per Squabus.

Quella stessa mattina Mezzo si è svegliato presto e non ha più voluto dormire. Siamo rimasti accoccolati sul divano al buio a raccontarci le storie fino a che non ha fatto luce. C'era la copertina di lana che mia madre aveva fatto per me neonata, con questa pataccona che sarebbe una lumaca, ma senza le antenne. Mezzo mi chiede cos'è. Lo sa, ma lo vuole sentire: è una lumaca. Per la prima volta... Gli dico l'ha fatta la nonna. Lui dice nonna A.. Per la prima volta dico al Mezzo il suo nome. No l'ha fatta la nonna Sissi.  Mezzo ripete soddisfatto nonna Sissi. Gli piace il suono, nonna Sissi.
Più tardi quella mattina mando una email ad una nuova amica che per l'ennesima volta mi incrocia increspata, triste. Mi dice che le dispiace che Montepello mi metta tristezza. Quale sciocchezza più grande...  Decido di allentare il sacco e tirare fuori qualche ragione. Le dico che ho un peso privo di parole sul cuore e che quel peso si chiama mamma.


Infine, infinitamente straziante, la dottoressa ha il volto di mia madre sul letto di morte, ma nella sua versione viva, sorridente e allegra.  La somiglianza mi dilania il cuore e deve essere quello il particolare per cui, in corrispondenza di quella domanda, si aprono i rubinetti. C'è una spiegazione idraulica molto convincente.


Sono io quella che torna a casa, cammina fino alla fermata del tram, invece di prendere l'autobus, poi se ne va a casa, senza tornare al lavoro, spossata e distrutta. Quel giorno Mezzo vedrà il chercheur far capolino dalla porta al nido.